NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 12 marzo 2015

Bellezza e utilità del latino e del greco, II parte


Presenterò l’intero percorso a Pesaro, nella libreria Il catalogo, il 24 marzo alle 18, 30


Il fatto è che se non saliamo sulle spalle dei giganti che abbiamo nel sangue e ci lasciamo confondere dal frastuono ignorandoli, rimane assai limitata la nostra visione, non solo quella esterna del mondo, ma anche quella interiore, di noi stessi.
A questo proposito ricordo un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo) attribuisce a Bernardo di Chartres1: "Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre, non utĭque proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantēa" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, senza dubbio non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.

Del resto la coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo2 diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"3); e Callimaco4 afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"5, non canto nulla che non sia testimoniato.


Un grave difetto, un’altra carenza capitale è quella della conoscenza della storia.
L’ignoranza del passato è una limitazione mentale che impedisce di progettare il futuro
Lo afferma Cicerone nell'Orator 6: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona.
Lo fa notare C. Pavese: "C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini"7.
Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani e anziane, infantilmente insensate8: "Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche preparatorie"9.
La Memoria è madre delle Muse e la perdita della Memoria significa anche la rinuncia alla bellezza e alla poesia. Del resto la poesia è a sua volta madre della storia.
La "La storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", afferma Giambattista Vico10.
Si dice che oggi la scuola è decaduta rispetto a quella selettiva del buon tempo antico. In parte è vero. Ma, come sempre, c'è un rovescio della medaglia, c'è una possibilità di sostenere il contrario, secondo una logica aperta al contrasto che divenne metodica con i Dissoì lògoi 11 i “Discorsi in contrasto”, presenti pure nelle Antilogie perdute di Protagora12 il quale "fu il primo a sostenere che intorno ad ogni argomento ci sono due asserzioni contrapposte tra loro" come ricorda Diogene Laerzio13.
Con alcune ragioni si può sostenere che la scuola è peggiorata, ma con altre che è diventata migliore.
Il bello della scuola dei miei tempi era che lo studente arrivato alla laurea trovava il lavoro, subito, o quasi subito, ed era un impiego a tempo indeterminato.
Il brutto di quella scuola era che imponeva uno studio mnemonico, generalmente acritico e dogmatico di alcuni aspetti delle materie, talora nemmeno i più rilevanti.
Il greco e il latino, erano in massima parte studiati su grammatiche e sintassi, in minima sugli autori dei quali si imparavano a memoria le vite e le opere attraverso dei manuali privi anche di brani antologizzati. La storia sembrava fatta solo dalle battaglie dei grandi condottieri. Le lingue europèe si studiavano poco e male. Ora i giovani hanno maggiori opportunità e vie per informarsi.
L'attuale formazione dell'Europa che porta con sé non pochi sconvolgimenti da una parte, dall'altra può indurci a prendere coscienza di appartenere a una civiltà nobile e antica, di sentire "il benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza. E' questo ciò che oggi si designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"14.
Togliere il latino e il greco dalla scuola significa, a parer mio, disanimarla.
Vero è che in troppe scuole, da parte di tanti professori, le lingue classiche sono state insegnate male, e chi lo faceva bene, ossia mostrando l'albero ramificato della cultura europea cresciuto sulle radici e il tronco del greco e del latino, è stato magari molto amato e seguito dai ragazzi, ma spesso poco capito e benvoluto, talora addirittura ostacolato da colleghi e da presidi. Ne scrivo per esperienza.

Facevo del comparativismo quando non era ancora di moda: il preside Magnani del liceo Galvani chiamò in tre anni due ispezioni contro di me. Per fortuna gli ispettori ministeriali, Adelelmo Campana e Antonio Portolano, erano più aggiornati e preparati di lui e sbugiardarono quel burocrate ottuso, messo su da colleghi ottusi. 

Il difetto dell'insegnamento tradizionale, quello impartito a noi che frequentavamo i licei classici nei primi anni Sessanta, era che riduceva il classico a una serie di tecnicismi. Non dico che la morfologia e la sintassi non siano necessarie, ma ho sempre sostenuto che devono essere i primi gradini, non i punti d'arrivo.
"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva: "Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"15.
I testi degli ottimi autori greci e latini inducono a pensare e non possono essere ridotti a raccolte di formule o di ricette: “ ‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono beffardo, ‘come se l’Odissea fosse un libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati e rimasticati parola per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di ogni lezione ci dicono: vedete come il poeta ha saputo esprimere questo? Avete potuto intuire il mistero della creazione poetica! Così ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli ingoiare senza restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ”16

La grammatica serve a leggere i testi, la metrica aiuta a memorizzarli.
Io credo le cosiddette regole grammaticali e sintattiche andrebbero mostrate attraverso i testi più belli degli autori più bravi, siccome la bellezza e la bravura colpiscono la sfera emotiva e questa potenzia la memoria favorendo il ricordo. Del resto le regole non possono essere date all'ingrosso: "Qualcuno, chissà chi, v'ha scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"17.

Ricordo che nella primavera del 1959, quando facevo la quarta ginnasio al Terenzio Mamiani di Pesaro, venne in classe il preside e mi domandò, con aria severa, come si dicesse fato in latino. Voleva sapere, disse, se meritavo il nove che aveva appena letto nella mia pagella.
Risposi "fatus". "Bugiardo! gridò quel brav'uomo, rosso in volto. Poi disse che l'avevo deluso, che con la mia colossale ignoranza l'avevo ferito, e profondamente, dato che con i miei voti avrei dovuto sapere che si dice fatum, fatum, assolutamente fatum. Ci restai molto male, pensando di avere fatto un errore gravissimo, del tutto indegno di me e del mio curriculum. In effetti se fossi stato più bravo, avrei replicato che nel Satyricon si trova fatus18.

Il fatto che il greco e il latino siano stati insegnati male per decenni, da troppi docenti, e digeriti male da molti studenti, non deve portarci alla conclusione che il loro studio vada abolito. Va piuttosto riformato e approfondito.
Il latino e, attraverso la mediazione del latino, il greco, sono largamente presenti nel linguaggio e nel pensiero scientifico, del diritto, della medicina, delle letterature nell’Europa moderna sia neolatina sia germanica, dalla Gran Bretagna alla Svezia, sia slava, e pure nella zona ugrofinnica, dall’Ungheria - Pannonia alla Finlandia.
Le lingue classiche hanno contribuito a formare gli idiomi dell’Europa di oggi. In Grecia il moderno demotico non sarebbe nato senza la continuità col greco colto antico e medievale. Una lingua germanica come l’inglese è al 75% del suo vocabolario latina e neolatina. In Italia il prevalere del fiorentino antico sugli altri dialetti è stato in gran parte determinato dalla sua prossimità al latino.
Come l’inglese, l’italiano è poco chiaro per chi lo usa senza la capacità di muoversi nel retroterra classico.

Sul tradurre
Cicerone afferma che nel tradurre non è opportuno attenersi alla lettera, ma si deve piuttosto interpretare l’originale: “Nec tamen exprimi verbum e verbo necesse erit, ut interpretes indiserti solent ” (De finibus bonorum et malorum III, 15), non sarà del resto necessario che si traduca parola per parola, come sono soliti i traduttori stentati.
In un passo degli Academica, l’Arpinate afferma che i poeti arcaici, Ennio, Pacuvio, Accio, e molti altri, piacciono “qui non verba, sed vim Graecorum expresserunt poetarum” (III, 10), poiché resero non le parole ma la forza dei poeti greci.
Io mi trovo d’accordo piuttosto con Leopardi.
Leggiamo qualche riga dello Zibaldone sulla traduzione perfetta: “La perfezione della traduzione consiste in questo, che l’autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano, greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale egli è in greco o in francese. Questo è il difficile, questo è ciò che non in tutte le lingue è possibile” ( 2134).
La lingua italiana la quale è “piuttosto un aggregato di lingue che una lingua, laddove la francese è unica” ha maggiore facoltà rispetto alle altre “di adattarsi alle forme straniere…Queste considerazioni rispetto alla detta facoltà della nostra lingua, si accrescono quando si tratta della lingua latina, o della greca. Perché alle forme di queste lingue, la nostra si adatta anche identicamente, più che qualunque altra lingua del mondo: e non è maraviglia, avendo lo stesso genio, ed essendosi sempre conservata figlia vera di dette lingue, non solo per ragioni di genealogia e di fatto, ma per vera e reale somiglianza e affinità di natura e di carattere” ( 964 e 965).
“Amava moltissimo l’italiano perché era una lingua molteplice: come il greco, era un aggregato di molte lingue piuttosto che una lingua sola, e gli concedeva la libertà di tentare ogni stile. Se ebbe sempre molte riserve sulla metafisica, la morale e la cosmogonia di Platone, la sua ammirazione per il Fedro non aveva limiti. Trovava nello stesso testo “non dico tre stili, ma tre vere lingue”; la prima nel dialogo tra Socrate e Fedro, la seconda nelle due orazioni di Lisia e Socrate, la terza nell’orazione di Socrate “in lode dell’amore”19.
Ma sentiamo direttamente di nuovo Leopardi: “Chi vuole vedere un piccolo esempio della infinita varietà della lingua greca, e come ella sia innanzi un aggregato di più lingue che una lingua sola, secondo che ho detto altrove, e vuol vederlo in uno stesso scrittore e in uno stesso libro; legga il Fedro di Platone. Nel quale troverà, non dico tre stili, ma tre vere lingue, l’una nelle parole che compongono il dialogo tra Socrate e Fedro, la quale è la solita e propria di Platone, l’altra nelle due orazioni contro l’amore, in persona di Lisia e di Socrate; la terza nell’orazione di questo in lode dell’amore.” (Zibaldone, 2717)

Come si devono insegnare le lingue
Se devo dire parole mie, credo che le lingue si debbano insegnare attraverso gli autori, partendo da quelli che scrivono con chiarezza e bellezza.
Posso fare degli esempi di testi belli, chiari e funzionali all’apprendimento del greco e del latino: il Nuovo Testamento, o, per stare nei classici, le Troiane di Euripide o l’Edipo re di Sofocle, i carmi del Liber di Catullo o l’Eneide di Virgilio tra i latini. Per quanto riguarda la prosa, indicherei le orazioni di Lisia, o di Isocrate per i Greci; Sallustio, o Seneca, o, perché no20, Petronio per i latini.
Una grammatica di base è necessaria, per carità, ma non deve essere il punto d’arrivo, bensì solo il primo gradino.
Il fatto è che talora i tecnicismi sono stati impiegati da insegnanti spiritualmente distorti in maniera mortificante, come " una misura di polizia per rintuzzare le intelligenze "21.
Riporto un messaggio mandatomi da una mia allieva, un'alunna di trent'anni fa .
"Ciao, ho letto il tuo pezzo sul lavoro .. e la perdita del lavoro... e
di Odisseo che viaggia viaggia ma brama il ritorno a Itaca, approdo
desiderato e sicuro. Dopo tanti discorsi sul lavoro un po' rituali e un
po' troppo ascoltati, un'immagine chiara ....del desiderio di movimento,
di attività, di pensiero, di sogno .. ma alla fine di approdo sicuro.
Cati
(ex IV F ginnasio del Liceo Minghetti che spesso ricorda le tue lezioni
e la montagna di libri che ci facevi leggere in un'età dove di solito si
leggono solo manualetti di grammatica e letteratura)".
Di nuovo Pascoli: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"22.
"Lo studio del greco e del latino si caratterizza soprattutto come uno studio linguistico di impronta grammaticale chiuso in se stesso e funzionale solo in minima parte alla lettura dei testi. In queste condizioni la realtà difficilmente può ripagare gli studenti degli sforzi fatti"23.

Ho insegnato per 2 anni nel liceo di Imola (uno al biennio uno al triennio) e per cinque al Minghetti (due nel biennio, tre nel triennio), poi per 28 anni al Galvani: dall'82 al 91 nel ginnasio; dal 92 al 2010 nel liceo. Dal 2000 ho avuto il semiesonero dopo avevo vinto un concorso.
Per 10 anni ho insegnato didattica della letteratura greca, a contratto, nella SSIS. Traggo alcune di queste considerazioni dalla metodologia che ho elaborato in tutto questo tempo, leggendo, imparando e insegnando. Insomma ho utilizzato "una lunga esperienza delle cose moderne et una continua lezione delle antique"24.
Ebbene, già insegnando al ginnasio, avvicinavo i ragazzini ai testi belli fin dalla quinta. Un anno di pura morfologia bastava. E d'altra parte, già trattando questa, davo grande spazio allo studio e all'apprendimento del lessico. Con il senno di adesso direi che sarebbe forse ancora meglio partire dal lessico: mostrare in un testo non difficile i vocaboli greci imparentati etimologicamente e somiglianti con parole italiane, o latine, o inglesi, o tedesche.
Nel secondo anno si potevano confrontare le regole della grammatica con testi come l' Edipo re. o le Troiane, l'Eneide o il Vangelo. Gli allievi portati per le lingue classiche, con questo metodo, studiavano volentieri, i refrattari meno malvolentieri che se mi fossi fermato ai tecnicismi delle due lingue.

Anche il nostro aspetto influisce sull’attenzione dei ragazzi.
Il maestro caratterizzato dalla ajmorfiva desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche fisica nel giovane discepolo. Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano: "aijboi', ponhroiv g' oi\\da. tou;" ajlazovna" - tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (Nuvole, vv. 102 - 103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Voglio dire che il greco e il latino vanno collegati non solo alla successiva letteratura europea ma anche alla vita. E che noi docenti dobbiamo avere cura anche del nostro aspetto.

Torno al tradurre e concludo.
Credo che tradurre gli ottimi auctores, i nostri accrescitori, sia un modo, un ottimo modo per incrementare la nostra capacità linguistica, la nostra facoltà estetica di intendere il bello e pure il nostro senso etico. Il bello e il bene infatti sono congiunti nella kalokajgaqiva.
Bisogna insegnare il significato di molti vocaboli partendo dagli autori
Un buon metodo mi sembra questo: si prende un autore non difficile, si traducono alcune frasi, poi si mostrano le ricadute nel latino, nell’italiano, e magari nell’inglese e nel tedesco del maggior numero possibile di parole.
Nell’insegnare le parole bisogna dare la precedenza a quelle da significato più vasto e dalle occorrenze più frequenti.

giovanni ghiselli


Bibliografia:
Vittorio Alfieri, Vita, Mondadori, Milano, 1987
M. Bettini, Con i libri , Einaudi, Torino, 1998.
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000.Pietro Citati, Leopardi, Mondatori, Milano, 2010.
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , trad. it. Bietti, Milano, 1968.
T. S. Eliot, Opere , trad. it. Bompiani, Milano, 1986.
H. Hesse, Sotto la ruota, trad. it. Mondadori, Milano, 1997.
Italie. Lezioni sulla storia dell’Italia unita, Edizioni Polistampa, Regione Toscana, 2013.
A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000. Dalla didattica alla didassi, Pàtron, Bologna, 1999.
S. Kierkegaard, Diario del seduttore, Rizzoli, Milano, 1055
S. Mazzarino, Il pensiero storico classico , Laterza, Bari, 1974.R. Musil, L'uomo senza qualità, trad. it. Einaudi, Torino, 1972.
F. Nietzsche, La nascita della tragedia , trad. it. Adelphi, Milano, 1977.
F. Nietzsche, Considerazioni Inattuali , trad. it. Einaudi, Torino, 1981.
C. Pavese, Il mestiere di vivere , Mondadori, Milano, 1968.
M. Proust, Il tempo ritrovato, trad. it. Einaudi, 1978.
Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa , Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1978.
S. Settis, Futuro del 'classico', Einaudi, Torino, 2004.
O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, trad. it. Rizzoli, Milano, 1975

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1 Filosofo scolastico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.
2 525 - 455 a. C.
3 Ateneo (II - III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
4305 ca - 240ca a. C.
5 Fr. 612 Pfeiffer.
6 Del 46 a. C.
7Il mestiere di vivere , 24 dicembre 1937.
8Al capitolo 58 ricorderemo l'attardato bambino pargoleggiante dell’età d’argento di Esiodo.
9 Dialogo di Tristano e di un amico (1832). E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive: "Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) . Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.
10 La Scienza Nuova Pruove filologiche, III.
11 " Un testo che può definirsi la formulazione "relativistica" del pensiero dei sofisti…Gli "agoni di discorsi" tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo di distanza dai Dissoì lògoi… uno scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi 440" (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 1 pp. 258 ss.).
12 Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a. C., all'incirca coetaneo di Euripide dunque.
13 Vite dei filosofi IX, 51
14 F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, cap. 3..
15 A. Giordano Rampioni, op. cit., p. 49.
16 H. Hesse, Sotto la ruota, del 1906, p. 90.
17 Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, p. 116.
18 Dopo avere mostrato qualche trovata stupefacente, Trimalchione affranca i servi e nomina erede Fortunata. Gli schiavi sono uomini, proclama l'anfitrione rimasticando dottrine stoiche: "et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt. ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto " (71), pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati. Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l'acqua libera. Insomma tutti quelli li affranco nel mio testamento. Si noti che fatus invece di fatum. Non è l'unico caso del genere: troviamo balneus (41) per il neutro balneum, bagno, vinus (12) per vinum, caelus (45, 3) per caelum, lasanus (47, 5) per lasanum, vaso da notte, e altri ancora
19 P. Citati, Leopardi, p.58.
20 Negli anni Ottanta il mio utilizzo a scuola del Satyricon era considerata empia o almeno eversiva da certi colleghi, poi un brano di questo capolavoro venne dato da tradurre a un esame di maturità, e gli incauti detrattori dovettero tacere, pur mugugnando
21 Sono parole dello studente Kolia in I fratelli Karamazov (p. 661) . Questo romanzo è l'ultimo di Dostoevskij (1821 - 1881).
22 G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.
23 R. Palmisciano, Per una riformulazione del curriculum di letteratura greca e latina nel ginnasio e nei licei, “AION” Phil. 2004, p. 254.
24 N. Machiavelli, Il Principe (del 1513), Dedica al Magnifico Lorenzo De' Medici.

2 commenti:

  1. Mi piace. Giovanna Tocco

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  2. La sua analisi è ricca di elementi non solo condivisibili e stimolanti, ma utilissimi,anche nella pratica didattica.

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