Presenterò
l’intero percorso a Pesaro, nella libreria Il catalogo, il 24 marzo
alle 18, 30
Il fatto è che
se non saliamo sulle spalle dei giganti che abbiamo nel sangue e ci
lasciamo confondere dal frastuono ignorandoli, rimane assai limitata
la nostra visione, non solo quella esterna del mondo, ma anche quella
interiore, di noi stessi.
A questo
proposito ricordo un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo)
attribuisce a Bernardo di Chartres1:
"Dicebat Bernardus Carnotensis
nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possimus plura
eis et remotiora videre, non utĭque proprii visus acumine, aut
eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur
magnitudine gigantēa"
(Metalogicon
III, 4), diceva Bernardo di Chartres che noi siamo come dei nani che
stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più
cose di loro e più lontane, senza dubbio non per l'acume della
nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto
ed elevati da quella grandezza gigantesca.
Del resto la coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo2 diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"3); e Callimaco4 afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"5, non canto nulla che non sia testimoniato.
Un grave difetto,
un’altra carenza capitale è quella della conoscenza della storia.
L’ignoranza del
passato è una limitazione mentale che impedisce di progettare il
futuro
Lo afferma
Cicerone nell'Orator
6:
"Nescire autem quid ante quam
natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas
hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate
contexitur?" (120), del resto
non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad
essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se
non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la
memoria storica?
Restare
bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona.
Leopardi
trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani e
anziane, infantilmente insensate8:
"Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i
pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per
vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E
questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli
altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza
altre fatiche preparatorie"9.
La
Memoria è madre delle Muse e la perdita della Memoria significa
anche la rinuncia alla bellezza e alla poesia. Del resto la poesia è
a sua volta madre della storia.
La
"La storia romana si cominciò a scrivere da' poeti",
afferma Giambattista Vico10.
Si
dice che oggi la scuola è decaduta rispetto a quella selettiva del
buon tempo antico. In parte è vero. Ma, come sempre, c'è un
rovescio della medaglia, c'è una possibilità di sostenere il
contrario, secondo una logica aperta al contrasto che divenne
metodica con i Dissoì lògoi
11
i “Discorsi in contrasto”, presenti pure nelle Antilogie
perdute di Protagora12
il quale "fu il primo a sostenere che intorno ad ogni argomento
ci sono due asserzioni contrapposte tra loro" come ricorda
Diogene Laerzio13.
Con
alcune ragioni si può sostenere che la scuola è peggiorata, ma con
altre che è diventata migliore.
Il
bello della scuola dei miei tempi era che lo studente arrivato alla
laurea trovava il lavoro, subito, o quasi subito, ed era un impiego a
tempo indeterminato.
Il
brutto di quella scuola era che imponeva uno studio mnemonico,
generalmente acritico e dogmatico di alcuni aspetti delle materie,
talora nemmeno i più rilevanti.
Il
greco e il latino, erano in massima parte studiati su grammatiche e
sintassi, in minima sugli autori dei quali si imparavano a memoria le
vite e le opere attraverso dei manuali privi anche di brani
antologizzati. La storia sembrava fatta solo dalle battaglie dei
grandi condottieri. Le lingue europèe si studiavano poco e male. Ora
i giovani hanno maggiori opportunità e vie per informarsi.
L'attuale
formazione dell'Europa che porta con sé non pochi sconvolgimenti da
una parte, dall'altra può indurci a prendere coscienza di
appartenere a una civiltà nobile e antica, di sentire "il
benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi
totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come
eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi
giustificati nella propria esistenza. E' questo ciò che oggi si
designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"14.
Togliere
il latino e il greco dalla scuola significa, a parer mio,
disanimarla.
Vero
è che in troppe scuole, da parte di tanti professori, le lingue
classiche sono state insegnate male, e chi lo faceva bene, ossia
mostrando l'albero ramificato della cultura europea cresciuto sulle
radici e il tronco del greco e del latino, è stato magari molto
amato e seguito dai ragazzi, ma spesso poco capito e benvoluto,
talora addirittura ostacolato da colleghi e da presidi. Ne scrivo per
esperienza.
Facevo
del comparativismo quando non era ancora di moda: il preside Magnani
del liceo Galvani chiamò in tre anni due ispezioni contro di me. Per
fortuna gli ispettori ministeriali, Adelelmo Campana e Antonio
Portolano, erano più aggiornati e preparati di lui e sbugiardarono
quel burocrate ottuso, messo su da colleghi ottusi.
Il
difetto dell'insegnamento tradizionale, quello impartito a noi che
frequentavamo i licei classici nei primi anni Sessanta, era che
riduceva il classico a una serie di tecnicismi. Non dico che la
morfologia e la sintassi non siano necessarie, ma ho sempre sostenuto
che devono essere i primi gradini, non i punti d'arrivo.
"Pascoli,
invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento
degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva: "Si
legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello
scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei
licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come
un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il
giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio,
Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un
laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"15.
I testi
degli ottimi autori greci e latini inducono a pensare e non possono
essere ridotti a raccolte di formule o di ricette: “
‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono beffardo, ‘come se
l’Odissea
fosse un libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati
e rimasticati parola per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di
ogni lezione ci dicono: vedete come il poeta ha saputo esprimere
questo? Avete potuto intuire il mistero della creazione poetica! Così
ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli ingoiare senza
restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ”16
La
grammatica serve a leggere i testi, la metrica aiuta a memorizzarli.
Io
credo le cosiddette regole grammaticali e sintattiche andrebbero
mostrate attraverso i testi più belli degli autori più bravi,
siccome la bellezza e la bravura colpiscono la sfera emotiva e questa
potenzia la memoria favorendo il ricordo. Del resto le regole non
possono essere date all'ingrosso: "Qualcuno, chissà chi, v'ha
scritto perfino una grammatica. Ma è una truffa volgare. A ogni
regola ci vorrebbe la data e la regione dove si diceva così"17.
Ricordo
che nella primavera del 1959, quando facevo la quarta ginnasio al
Terenzio Mamiani di Pesaro, venne in classe il preside e mi domandò,
con aria severa, come si dicesse fato in latino. Voleva sapere,
disse, se meritavo il nove che aveva appena letto nella mia pagella.
Risposi
"fatus". "Bugiardo! gridò quel brav'uomo, rosso in
volto. Poi disse che l'avevo deluso, che con la mia colossale
ignoranza l'avevo ferito, e profondamente, dato che con i miei voti
avrei dovuto sapere che si dice fatum, fatum, assolutamente fatum. Ci
restai molto male, pensando di avere fatto un errore gravissimo, del
tutto indegno di me e del mio curriculum. In effetti se fossi stato
più bravo, avrei replicato che nel Satyricon si trova fatus18.
Il
fatto che il greco e il latino siano stati insegnati male per
decenni, da troppi docenti, e digeriti male da molti studenti, non
deve portarci alla conclusione che il loro studio vada abolito. Va
piuttosto riformato e approfondito.
Il
latino e, attraverso la mediazione del latino, il greco, sono
largamente presenti nel linguaggio e nel pensiero scientifico, del
diritto, della medicina, delle letterature nell’Europa moderna sia
neolatina sia germanica, dalla Gran Bretagna alla Svezia, sia slava,
e pure nella zona ugrofinnica, dall’Ungheria - Pannonia alla
Finlandia.
Le
lingue classiche hanno contribuito a formare gli idiomi dell’Europa
di oggi. In Grecia il moderno demotico non sarebbe nato senza la
continuità col greco colto antico e medievale. Una lingua germanica
come l’inglese è al 75% del suo vocabolario latina e neolatina. In
Italia il prevalere del fiorentino antico sugli altri dialetti è
stato in gran parte determinato dalla sua prossimità al latino.
Come l’inglese, l’italiano è poco chiaro per chi lo usa senza la
capacità di muoversi nel retroterra classico.
Sul
tradurre
Cicerone afferma
che nel tradurre non è opportuno attenersi alla lettera, ma si deve
piuttosto interpretare l’originale: “Nec
tamen exprimi verbum e verbo necesse erit, ut interpretes indiserti
solent ” (De
finibus bonorum et malorum III, 15),
non sarà del resto necessario che si traduca parola per parola, come
sono soliti i traduttori stentati.
In un passo degli
Academica,
l’Arpinate afferma che i poeti arcaici, Ennio, Pacuvio, Accio, e
molti altri, piacciono “qui non
verba, sed vim Graecorum expresserunt poetarum”
(III, 10), poiché resero non le parole ma la forza dei poeti greci.
Io mi trovo
d’accordo piuttosto con Leopardi.
Leggiamo qualche
riga dello Zibaldone
sulla traduzione perfetta: “La perfezione della traduzione consiste
in questo, che l’autore tradotto, non sia p. e. greco in italiano,
greco o francese in tedesco, ma tale in italiano o in tedesco, quale
egli è in greco o in francese. Questo è il difficile, questo è ciò
che non in tutte le lingue è possibile” ( 2134).
La lingua
italiana la quale è “piuttosto un aggregato di lingue che una
lingua, laddove la francese è unica” ha maggiore facoltà rispetto
alle altre “di adattarsi alle forme straniere…Queste
considerazioni rispetto alla detta facoltà della nostra lingua, si
accrescono quando si tratta della lingua latina, o della greca.
Perché alle forme di queste lingue, la nostra si adatta anche
identicamente, più che qualunque altra lingua del mondo: e non è
maraviglia, avendo lo stesso genio, ed essendosi sempre conservata
figlia vera di dette lingue, non solo per ragioni di genealogia e di
fatto, ma per vera e reale somiglianza e affinità di natura e di
carattere” ( 964 e 965).
“Amava
moltissimo l’italiano perché era una lingua molteplice: come il
greco, era un aggregato di molte lingue piuttosto che una lingua
sola, e gli concedeva la libertà di tentare ogni stile. Se ebbe
sempre molte riserve sulla metafisica, la morale e la cosmogonia di
Platone, la sua ammirazione per il Fedro
non aveva limiti. Trovava nello stesso testo “non dico tre stili,
ma tre vere lingue”; la prima nel dialogo tra Socrate e Fedro, la
seconda nelle due orazioni di Lisia e Socrate, la terza nell’orazione
di Socrate “in lode dell’amore”19.
Ma sentiamo
direttamente di nuovo Leopardi: “Chi vuole vedere un piccolo
esempio della infinita varietà della lingua greca, e come ella sia
innanzi un aggregato di più lingue che una lingua sola, secondo che
ho detto altrove, e vuol vederlo in uno stesso scrittore e in uno
stesso libro; legga il Fedro
di Platone. Nel quale troverà, non dico tre stili, ma tre vere
lingue, l’una nelle parole che compongono il dialogo tra Socrate e
Fedro, la quale è la solita e propria di Platone, l’altra nelle
due orazioni contro l’amore, in persona di Lisia e di Socrate; la
terza nell’orazione di questo in lode dell’amore.” (Zibaldone,
2717)
Come si devono
insegnare le lingue
Se devo dire
parole mie, credo che le lingue si debbano insegnare attraverso gli
autori, partendo da quelli che scrivono con chiarezza e bellezza.
Posso fare degli
esempi di testi belli, chiari e funzionali all’apprendimento del
greco e del latino: il Nuovo
Testamento, o, per stare nei
classici, le Troiane
di Euripide o l’Edipo re di
Sofocle, i carmi del Liber
di Catullo o l’Eneide
di Virgilio tra i latini. Per quanto riguarda la prosa, indicherei le
orazioni di Lisia, o di Isocrate per i Greci; Sallustio, o Seneca, o,
perché no20,
Petronio per i latini.
Una grammatica di
base è necessaria, per carità, ma non deve essere il punto
d’arrivo, bensì solo il primo gradino.
Il
fatto è che talora i tecnicismi sono stati impiegati da insegnanti
spiritualmente distorti in maniera mortificante, come " una
misura di polizia per rintuzzare le intelligenze "21.
Riporto
un messaggio mandatomi da una mia allieva, un'alunna di trent'anni fa
.
"Ciao,
ho letto il tuo pezzo sul lavoro .. e la perdita del lavoro... e
di Odisseo che viaggia viaggia ma brama il ritorno a Itaca, approdo
desiderato e sicuro. Dopo tanti discorsi sul lavoro un po' rituali e un
po' troppo ascoltati, un'immagine chiara ....del desiderio di movimento,
di attività, di pensiero, di sogno .. ma alla fine di approdo sicuro.
Cati
(ex IV F ginnasio del Liceo Minghetti che spesso ricorda le tue lezioni
e la montagna di libri che ci facevi leggere in un'età dove di solito si
leggono solo manualetti di grammatica e letteratura)".
di Odisseo che viaggia viaggia ma brama il ritorno a Itaca, approdo
desiderato e sicuro. Dopo tanti discorsi sul lavoro un po' rituali e un
po' troppo ascoltati, un'immagine chiara ....del desiderio di movimento,
di attività, di pensiero, di sogno .. ma alla fine di approdo sicuro.
Cati
(ex IV F ginnasio del Liceo Minghetti che spesso ricorda le tue lezioni
e la montagna di libri che ci facevi leggere in un'età dove di solito si
leggono solo manualetti di grammatica e letteratura)".
Di
nuovo Pascoli: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano,
s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato
al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"22.
"Lo
studio del greco e del latino si caratterizza soprattutto come uno
studio linguistico di impronta grammaticale chiuso in se stesso e
funzionale solo in minima parte alla lettura dei testi. In queste
condizioni la realtà difficilmente può ripagare gli studenti degli
sforzi fatti"23.
Ho
insegnato per 2 anni nel liceo di Imola (uno al biennio uno al
triennio) e per cinque al Minghetti (due nel biennio, tre nel
triennio), poi per 28 anni al Galvani: dall'82 al 91 nel ginnasio;
dal 92 al 2010 nel liceo. Dal 2000 ho avuto il semiesonero dopo avevo
vinto un concorso.
Per
10 anni ho insegnato didattica della letteratura greca, a contratto,
nella SSIS. Traggo alcune di queste considerazioni dalla metodologia
che ho elaborato in tutto questo tempo, leggendo, imparando e
insegnando. Insomma ho utilizzato "una lunga esperienza delle
cose moderne et una continua lezione delle antique"24.
Ebbene,
già insegnando al ginnasio, avvicinavo i ragazzini ai testi belli
fin dalla quinta. Un anno di pura morfologia bastava. E d'altra
parte, già trattando questa, davo grande spazio allo studio e
all'apprendimento del lessico. Con il senno di adesso direi che
sarebbe forse ancora meglio partire dal lessico: mostrare in un testo
non difficile i vocaboli greci imparentati etimologicamente e
somiglianti con parole italiane, o latine, o inglesi, o tedesche.
Nel
secondo anno si potevano confrontare le regole della grammatica con
testi come l' Edipo re.
o le Troiane,
l'Eneide
o il Vangelo.
Gli allievi portati per le lingue classiche, con questo metodo,
studiavano volentieri, i refrattari meno malvolentieri che se mi
fossi fermato ai tecnicismi delle due lingue.
Anche il nostro
aspetto influisce sull’attenzione dei ragazzi.
Il maestro
caratterizzato dalla ajmorfiva
desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza istintiva, anche
fisica nel giovane discepolo. Fidippide, il figlio di Strepsiade,
rifiuta i cattivi educatori della scuola di Socrate anche per il loro
colore giallastro, malsano: "aijboi',
ponhroiv g'
oi\\da. tou;"
ajlazovna" - tou;" wjcriw'nta" tou;"
ajnupodhvtou" levgei" (Nuvole,
vv. 102 - 103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei
ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Voglio dire che
il greco e il latino vanno collegati non solo alla successiva
letteratura europea ma anche alla vita. E che noi docenti dobbiamo
avere cura anche del nostro aspetto.
Torno al tradurre
e concludo.
Credo che
tradurre gli ottimi auctores,
i nostri accrescitori, sia un modo, un ottimo modo per incrementare
la nostra capacità linguistica, la nostra facoltà estetica di
intendere il bello e pure il nostro senso etico. Il bello e il bene
infatti sono congiunti nella kalokajgaqiva.
Bisogna insegnare
il significato di molti vocaboli partendo dagli autori
Un buon metodo mi
sembra questo: si prende un autore non difficile, si traducono alcune
frasi, poi si mostrano le ricadute nel latino, nell’italiano, e
magari nell’inglese e nel tedesco del maggior numero possibile di
parole.
Nell’insegnare
le parole bisogna dare la precedenza a quelle da significato più
vasto e dalle occorrenze più frequenti.
giovanni ghiselli
Bibliografia:
Vittorio
Alfieri, Vita,
Mondadori, Milano, 1987
M. Bettini, Con
i libri , Einaudi, Torino, 1998.
M. Bettini, Le
orecchie di Hermes, Einaudi, Torino,
2000.Pietro Citati, Leopardi, Mondatori, Milano, 2010.
F. Dostoevskij, I
fratelli Karamazov , trad. it.
Bietti, Milano, 1968.
T.
S. Eliot, Opere
, trad. it. Bompiani, Milano,
1986.
H.
Hesse, Sotto la ruota,
trad. it. Mondadori, Milano, 1997.
Italie.
Lezioni sulla storia dell’Italia unita, Edizioni Polistampa,
Regione Toscana, 2013.
A. Giordano
Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del
2000. Dalla didattica alla didassi, Pàtron, Bologna, 1999.
S. Kierkegaard,
Diario del seduttore,
Rizzoli, Milano, 1055
S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico , Laterza,
Bari, 1974.R. Musil, L'uomo senza
qualità, trad. it. Einaudi, Torino,
1972.
F. Nietzsche, La
nascita della tragedia , trad. it.
Adelphi, Milano, 1977.
F. Nietzsche,
Considerazioni Inattuali
, trad. it. Einaudi, Torino, 1981.
C. Pavese, Il
mestiere di vivere , Mondadori,
Milano, 1968.
M. Proust, Il
tempo ritrovato, trad. it. Einaudi,
1978.
Scuola di
Barbiana, Lettera a una professoressa
, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1978.
S. Settis,
Futuro del 'classico',
Einaudi, Torino, 2004.
O. Wilde, Il
ritratto di Dorian Gray, trad. it.
Rizzoli, Milano, 1975
---------------------------------------------------------------
1
Filosofo scolastico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su
Porfirio.
2
525 - 455 a. C.
3
Ateneo (II - III sec. d. C.) I
Deipnosofisti, VIII, 39.
4305
ca - 240ca a. C.
5
Fr. 612 Pfeiffer.
6
Del 46 a. C.
7Il
mestiere di vivere , 24 dicembre
1937.
8Al
capitolo 58 ricorderemo l'attardato bambino pargoleggiante dell’età
d’argento di Esiodo.
9
Dialogo di
Tristano e di un amico
(1832). E’ una delle Operette
morali delle
quali l’autore scrive: "Così a scuotere la mia povera
patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del
ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo
preparando"(Zibaldone
, 1394) . Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.
10
La Scienza Nuova
Pruove filologiche, III.
11
" Un testo che può definirsi la formulazione "relativistica"
del pensiero dei sofisti…Gli "agoni di discorsi"
tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo di
distanza dai Dissoì lògoi…
uno scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi 440"
(S. Mazzarino, Il pensiero storico
classico, 1 pp. 258 ss.).
12
Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a. C., all'incirca coetaneo
di Euripide dunque.
13
Vite dei filosofi
IX, 51
14
F. Nietzsche, Sull'utilità e il
danno della storia per la vita, in
Considerazioni inattuali
II, cap. 3..
15
A. Giordano Rampioni, op. cit., p. 49.
16
H.
Hesse, Sotto
la ruota,
del 1906, p. 90.
17
Scuola di Barbiana, Lettera a una
professoressa, p. 116.
18
Dopo avere mostrato qualche trovata stupefacente, Trimalchione
affranca i servi e nomina erede Fortunata. Gli schiavi sono uomini,
proclama l'anfitrione rimasticando dottrine stoiche: "et
servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos
malus fatus oppresserit. tamen me salvo cito aquam liberam
gustabunt. ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto
" (71), pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo
stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati.
Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l'acqua libera.
Insomma tutti quelli li affranco nel mio testamento. Si noti che
fatus
invece di fatum.
Non è l'unico caso del genere: troviamo balneus
(41) per il neutro balneum,
bagno, vinus
(12) per vinum,
caelus
(45, 3) per caelum,
lasanus
(47, 5) per lasanum,
vaso da notte, e altri ancora
19
P. Citati, Leopardi,
p.58.
20
Negli anni Ottanta il mio utilizzo a scuola del Satyricon
era considerata empia o almeno eversiva da certi colleghi, poi un
brano di questo capolavoro venne dato da tradurre a un esame di
maturità, e gli incauti detrattori dovettero tacere, pur mugugnando
21
Sono parole dello studente Kolia in I
fratelli Karamazov
(p. 661) . Questo romanzo è l'ultimo di Dostoevskij (1821 - 1881).
22
G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un
rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.
23
R. Palmisciano, Per una
riformulazione del curriculum di letteratura greca e latina nel
ginnasio e nei licei, “AION”
Phil. 2004, p. 254.
24
N. Machiavelli, Il
Principe
(del 1513), Dedica al Magnifico Lorenzo De' Medici.
Mi piace. Giovanna Tocco
RispondiEliminaLa sua analisi è ricca di elementi non solo condivisibili e stimolanti, ma utilissimi,anche nella pratica didattica.
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