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Premessa
Continua l’ambiguità delle notizie relative al virus, un argomento sul quale
noi tutti avremmo bisogno di chiarezza. Siamo arrivati quasi alla fine della
maturità, ma non credo sia inutile per molti di voi che mi leggete, e nemmeno
per me, seguitare a chiarirci le idee attraverso i classici
L’ambiguità del linguaggio. Secondo
Freud l’ambivalenza di talune parole, come l’aggettivo sacer per
esempio, riflette l’ambivalenza affettiva di certi rapporti umani, soprattutto
parentali.
Il latino come lingua della psicoanalisi e come lingua del pudore.
C'è da
aggiungere che proprio attraverso le parole chiave è possibile indicare l'ambiguità del linguaggio,
particolarmente di quello drammatico.
Le parole
cambiano di significato a seconda di chi le pronuncia o del contesto in cui si
trovano, o dell’autore che le usa.
Faccio
un esempio: u{bri" per il Coro dell'Edipo re ,
ossia per Sofocle stesso, è la madre dei tiranni (v. 872), per il Creonte dell'Antigone
(v. 309) è il misfatto di chi si oppone alla sua prepotenza tirannica.
"I
Greci avevano diagnosticato la predisposizione verso la hybris,
termine che significa dismisura demenziale", sintetizza Morin[1].
Può avere un significato del genere l’u{bri~ dell’esercito di Alessandro Magno,
che tornando dall’India, attraversava la Carmania: racconta Plutarco che al
disordine confuso e disperso della marcia, costellata di banchetti e bevute
ininterrotte, canti, suoni, danze e grida dionisiache di donne, si
accompagnavano kai; paidia; bakcikh'~ u{brew~ (Vita di Alessandro,
67, 6), anche gli scherzi tipici della sfrenatezza bacchica.
Si può usare
un derivato di u{bri" quale esempio di transvalutazione lessicale
attribuita ai gusti sessuali delle donne. Nelle Nuvole[2] di Aristofane il Discorso ingiusto (Lovgo"
a[diko" ) sostiene
che Tetide lasciò Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067) e
non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere
sbattuta. Qui è notevole il
capovolgimento del significato di u{bri", la prepotenza, che, applicata alla
libidine della donna, diviene un valore.
Un'idea
non tanto peregrina e paradossale: la ritroviamo in Machiavelli:"Io iudico bene
questo, che sia meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è
donna; et è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede
che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente
procedano. E però, sempre, come donna, è amica de' giovani, perché sono meno
respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano"[3].
Esiodo sostiene,
in un contesto serio, che nella bassa età del ferro, gli uomini non onoreranno
l’uomo rispettoso del giuramento, il buono e il giusto, ma:“ ma'llon kakw'n
rJekth'ra kai; u{brin - anevra timhvsousi” (Opere e giorni, vv. 191 - 192) piuttosto
onoreranno l’operatore di mali e la violenza fatta uomo.
Secondo Freud l’ambiguità, o ambivalenza,
di talune parole, per esempio l’aggettivo sacer, deriva
dall’ambivalenza di certi rapporti umani.
In Totem e tabù l’inventore della psicoanalisi scrive che
“tabù è un vocabolo polinesiano” di traduzione difficile in tedesco, ma
equivalente in modo esatto al latino sacer. Quindi aggiunge: “Anche
l’a[go~ dei greci e il kodausch (kadosch)
degli ebrei deve avere avuto lo stesso significato del tabù per i polinesiani
(…) I divieti tabù più antichi e più importanti sono i due princìpi
fondamentali della legge totemica: non uccidere l’animale totemico e fuggire il
rapporto sessuale con individui di sesso diverso appartenenti allo stesso totem
(…) L’uomo che ha violato un tabù, diventa egli stesso tabù in quanto possiede
la pericolosa capacità di indurre gli altri a seguire il suo esempio”[4].
Il latino e il greco sono anche lingue della
psicanalisi.
Il latino è pure la lingua del pudore: lo stesso
Freud usa termini come fellatio[5] che
permette di menzionare questo atto sessuale senza cadere nell’indecenza.
L’esogamia
dunque venne imposta all’orda primigenia dal padre che, in seguito a una
rivolta della banda dei figli, aizzati e guidati da uno di loro, “il
caporione”, venne ammazzato e sostituito simbolicamente con l’animale totemico.
Questo poi fu alternatamente venerato e ucciso per essere mangiato nel pasto
totemico[6] cui
è succeduta la comunione cristiana. Ebbene l’ambivalenza della parola sacer rifletterebbe
l’ambivalenza del rapporto tra il padre e i figli: “L’imperio dell’esogamia, la cui espressione negativa è l’orrore
dell’incesto, si fondava sulla volontà del padre e continuò questa volontà dopo
il parricidio. Di qui l’intensità del suo tono affettivo e l’impossibilità di
una fondazione razionale, cioè il suo carattere sacro. Siamo fiduciosi che
l’esame di tutti gli altri casi di divieto sacro condurrebbe allo stesso
risultato del caso dell’orrore dell’incesto, e cioè che in origine il sacro non
è altro che la prosecuzione della volontà del padre primigenio. Con ciò si
farebbe anche un po’ di luce sull’ambivalenza, finora incomprensibile , delle
parole che esprimono il concetto di sacro. E’ la stessa ambivalenza che domina
in genere il rapporto con il padre. “Sacer” significa non solo “sacro”,
“consacrato”, ma anche qualcosa che possiamo tradurre soltanto con “infame”,
“esecrando” (“auri sacra fames”[7]). Tuttavia la volontà del padre non era
soltanto qualcosa di intoccabile, qualcosa da tenere altamente in onore, ma
anche qualcosa di fronte a cui si tremava, perché esigeva una dolorosa rinuncia
pulsionale ”[8].
Interessanti
a proposito dell’ambiguità delle parole le osservazioni di E. Benveniste sulla radice
indoeuropea *do - . Essa "significa 'dare' nell'insieme delle
lingue indoeuropee. Tuttavia, a turbarne singolarmente la definizione,
interviene una lingua: in ittita, da - significa 'prendere' e pai
- 'dare'...Le nozioni di 'dare' e 'prendere' sono quindi legate nella
preistoria indoeuropea". Allora "l'ittita, che dà alla radice *do
- il senso di 'prendere', invita a considerare che in indoeuropeo 'dare' e
'prendere' si ricongiungono, per così dire, nel gesto (cfr. ingl. to
take to 'prendere per dare a' )"[9].
Nella Germania di
Tacito, a chiarimento di dotem, troviamo munera ripetuto
in anafora. Munus è un altro sostantivo che significa il
dovere del contraccambio ribadito dal successivo invicem.
Benveniste segnala il legame (attraverso la radice indoeuropea *mei - )
con mutuus (reciproco): anche questi termini fanno parte di
" una grande famiglia di parole indoeuropee che, con suffissi vari,
marcano la nozione di reciprocità (…) La radice è l’indoeuropeo *mei - che
denota lo scambio, che ha dato in indoiranico mitra, nome di un dio
(…) Ma il senso di munus, particolarmente complesso, si sviluppa in due gruppi
di termini che indicano da una parte ‘gratificazione’, dall’altra ‘incarico
ufficiale’. Queste nozioni sono di carattere reciproco , perché implicano un
favore ricevuto e l’obbligo della reciprocità "[10].
Dove non c’è
reciprocità c’è l’uso della persona ridotta a strumento. Il capitalismo esclude
la reciprocità nei rapporti di lavoro: “più l’operaio produce, meno ha da
consumare; quanto più valore egli crea, tanto più diventa privo di valore e
dignità; quanto meglio formato è il suo prodotto, tanto più l’operaio diventa
deforme; quanto più raffinato è il suo oggetto, tanto più l’operaio diventa
rozzo; quanto più potente è il lavoro, tanto più l’operaio diventa impotente
(…) il lavoro produce bellezza ma deformità per l’operaio (…) mangiare, bere,
procreare ecc. sono senza dubbio anche funzioni schiettamente umane. Ma
nell’astrazione che le isola dalla restante sfera dell’attività umana e le
trasforma in scopi ultimi e unici sono funzioni bestiali”[11].
“Non a caso
la nozione di dono è caratterizzata da un’ambiguità semantica dovuta al fatto
che la radice “dō” significa dare o prendere a seconda del contesto
d’intenzione dei parlanti. Nelle antiche lingue anglosassoni il termine gift significava
dono ma anche veleno: proprio come la mela di Biancaneve. Gift in
tedesco conserva principalmente il significato di veleno, in inglese quello di
dono e in olandese mantiene entrambi i significati”[12].
L’esecrazione
del virus universalmente affermata è contraddetta da quanti vorrebbero
riprendere tutti i contatti, ossia molti contagi.
Il
bollettino di oggi di fatto ne segnala un aumento.
giovanni
ghiselli
[5] Un ricordo d’infanzia di
Leonardo da Vinci, del 1910, in Psicoanalisi del genio della
Newton Compton ( p. 166).
[9]E. Benveniste, Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee , trad. it. Einaudi, Torino,
1976, pp. 59 e 60.
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