Jocaste (Bibliothèque nationale de France) |
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Topoi
gestuali. Ostensione del ventre. Giocasta nell’Oedipus e nelle
Phoenissae di Seneca. Il matricidio: l’Agrippina di Tacito e
quella dell’Octavia pseudosenecana.
Excursus
sul matricidio visto in modo problematico. L’orrore dell’uccisione
della madre viene attenuato da Apollo e da Atena nelle Eumenidi. La
difesa del matricida davanti al nonno Tindaro nell’Oreste di
Euripide.
Nerone nei
teatri recitava la parte di Oreste, il matricida giustificato.
L’assoluzione di Oreste viene interpretato quale vittoria del
patriarcato e, da Freud, come “progresso di civiltà”. Proust
considerava l’assassinio dei genitori un delitto di dignità
mitologica.
Altro topos
gestuale: quello della Messalina di Giovenale.
E'
possibile indicare pure dei tovpoi gestuali
come quello dell'ostensione del ventre da parte di madri sciagurate,
o svergognate.
Nell'Oedipus
di Seneca Giocasta invita prima il figlio, quindi la propria mano, a
colpire il ventre:" Eligere nescis vulnus: hunc, dextra, hunc
pete/uterum capacem, qui virum gnatum tulit " (vv. 1038 - 1039),
non sai scegliere il colpo: colpisci destra questo ventre qui, così
capace che ha accolto il figlio come marito!
Nelle
Phoenissae la regina di Tebe cerca di impedire la guerra fratricida
gridando:" civis atque hostis simul/hunc petite ventrem, qui
dedit fratres viro! " (vv. 446 - 447), cittadini e nemici
insieme, colpite questo ventre che diede fratelli al marito.
L'ostensione
del ventre è il gesto estremo di Agrippina: la mamma di Nerone, già
ferita alla testa da una bastonata di uno dei sicari mandato dal
figlio, si volse all'altro, un centurione della flotta che stringeva
un pugnale, e "protendens uterum ‘ventrem feri’ exclamavit
multisque vulneribus confecta est" (Annales, XIV, 8), mettendo
davanti il ventre materno gridò 'colpisci qui', e fu finita con
molti colpi[1].
Cassio
Dione, “il degno erede della storiografia senatoria latina”[2],
racconta che Agrippina, come vide il sicario mandato dal figlio, si
alzò dal letto , si strappò la veste “ kai;
th;n gastevra ajpogumnwvsasa - pai'e - e[fh - tau'thn, jAnivkhte,
pai'e, o{ti Nevrwna e[teken” e, denudato il ventre,
“colpisci - disse - questo, Aniceto, colpisci, poiché ha partorito
Nerone (61, 13).
Nell'Octavia
pseudosenecana Agrippina prega il sicario :"utero dirum condat
ut ensem:/'hic est, hic est fodiendus', ait,/ 'ferro, monstrum qui
tale tulit'./Post hanc vocem cum supremo/mixtam gemitu/animam tandem
per fera tristem/vulnera reddit" (vv. 359 - 365), affinché
affondi la spada crudele nell'utero. "Questo, dice, va scavato
con il ferro questo che portò un mostro del genere". Dopo
questa frase finalmente rese l'anima triste mescolata con un gemito
attraverso le ferite atroci.
Perfino il
matricidio può essere visto in modo problematico. L’orrore
dell'assassino della madre, evidenziato in questi passi, viene invece
attenuato da Apollo e Atena nelle Eumenidi di Eschilo. Nell'ultima
parte dell'Orestea (del 458 a. C.) prevale la tesi di Apollo il
quale, spalleggiato da Atena, la dea nata senza madre, per
minimizzare il crimine di Oreste, risponde alle Erinni infuriate
contro l’assassino della madre, con una affermazione di patriarcato
e di antifemminismo estremo.
Vale la
pena riferirla per quanto è fuori moda adesso:"La cosiddetta
madre non è la generatrice del figlio (tevknou
tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~)
del feto appena seminato: genera il maschio che la monta; quella come
un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per coloro ai quali
gli dèi non l’abbia distrutto"( Eumenidi, vv. 658 - 661). La
madre non è indispensabile continua Febo: "ne è qui testimone
la figlia di Zeus Olimpio, la quale non venne nutrita nelle tenebre
di un utero, ma è come un virgulto (e[rno~)
che nessuna dea avrebbe potuto partorire"(vv.664 - 666).
Un
argomento difensivo che verrà ripreso dallo stesso matricida quando
parla con Tindaro, il padre di sua madre che lo accusa nell’Oreste
di Euripide. Sentiamo dunque cosa dice il nipote al nonno cercando di
giustificarsi:
Oreste
O vecchio,
ho timore di rivolgerti la parola,
poiché sto
per affliggere il tuo animo.
Io sono
empio avendo ucciso la madre,
ma pio è
l’altro nome che mi spetta quale vendicatore del padre.
Vada fuori
dai nostri discorsi
La
vecchiaia tua che mi impedisce di parlare,
io
procederò per la mia strada: ma continuo a temere la tua chioma.
Che cosa
avrei dovuto fare? metti infatti due argomenti contro altri due:
il padre mi
ha generato, tua figlia invece mi partoriva,
è un campo
che ha preso il seme da un altro:
senza un
padre un figlio non ci sarebbe mai.
Ho valutato
dunque che è più importante soccorrere
l’autore
della stirpe che la fornitrice di cibo (vv. 544 - 556).
L’assoluzione
di Oreste porterà il matricida Nerone a recitarne la parte sulle
scene tra le acclamazioni del pubblico.
“Per
Nerone la chiave del mito di Oreste non era che egli fosse un
matricida, ma un matricida giustificato (…) Oreste aveva ucciso la
madre non solo perché la morte di suo padre e il comando di Apollo
chiedevano vendetta, ma perché Clitennestra lo aveva privato della
sua eredità e il popolo di Micene soffriva sotto la tirannia di una
donna”[3].
Freud
considera la sconfitta del matriarcato una vittoria della
spiritualità e un progresso di civiltà: “accadde che
all’ordinamento sociale del matriarcato subentrò quello del
patriarcato, al che naturalmente andò congiunto il sovvertimento dei
precedenti rapporti giuridici. A quanto si crede, l’eco di questa
rivoluzione si avverte ancora nell’Orestea di Eschilo. Ma questo
volgersi dalla madre al padre segna oltracciò una vittoria della
spiritualità sulla sensibilità, cioè un progresso di civiltà,
giacché la maternità è provata dall’attestazione dei sensi,
mentre la paternità è ipotetica, costruita su una deduzione e una
premessa. Schierarsi dalla parte del processo di pensiero piuttosto
che della percezione sensoriale, si dimostra un passo gravido di
conseguenze”[4].
Proust,
pensando all’assassinio di Clitennestra e a quello di Laio, giunse
a considerare l’uccisione dei genitori un delitto di dignità
mitologica : “Furono i tragici Greci e Dostoevkij[5] a fargli
intendere la grande infelicità del peccatore, la sua immensa
solitudine. In un passo che non si trova nelle sue opere, perché
soppresso, in quanto i contemporanei temettero di leggervi l’apologia
del matricidio, Proust ricordava che nessun altare fu considerato
dagli antichi più sacro, circondato da più profonda venerazione e
superstizione quanto le tombe d’Edipo a Colono e di Oreste a
Sparta”[6].
Ma torniamo
ai topoi gestuali. Giovenale[7] presenta Messalina l'altra moglie di
Claudio[8], attraverso un ritratto espressionistico, deformante verso
lo squallore: ogni volta che si accorgeva che l'imperatore dormiva,
la meretrix Augusta (VI, 119) lo lasciava, indossato un cappuccio
notturno, e accompagnata da una sola ancella. Poi, nascondendo il
nigrum crinem (v. 120) sotto una parrucca bionda, entrava nel
lupanare, riparato dal freddo con una vecchia tenda fatta di stracci
cuciti insieme ("veteri centone [9] ", v. 121). Lì aveva
una cella riservata: "tunc nuda papillis/prostitit auratis
titulum mentita Lyciscae/ostenditque tuum, generose Britannice,
ventrem! " (vv. 122 - 124), allora si metteva in vendita nuda
con i capezzoli dorati, facendo passare per suo il cartello di
Licisca[10], e mostrava il ventre da cui eri nato tu, nobile
Britannico![11].
[1] Nel 59
d. C.
[2] A. La
Penna, Aspetti del pensiero storico latino, p. 40.
[3] E.
Champlin, Nerone p. 125.
[4] S.
Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, , terzo saggio
(del 1938) p. 432. E’ l’ultimo libro di Freud, insieme con il
Compendio di psicoanalisi , anche questo uscito nel 1938, del resto
incompiuto.
[5] “Padre
Zosima (letteratura per letteratura!) ha subito saputo distinguere,
tra quelli che si erano ammassati nella sua cella, Dmitrj Karamazov,
il parricida. Allora si è alzato dalla sua seggioletta ed è andato
a prosternarsi davanti a lui. E l’ha fatto (come avrebbe detto più
tardi al Karamazov più giovane) perché Dmitrj era destinato a fare
la cosa più orribile e a sopportare il più disumano dolore” (P.
P. Pasolini, Scritti corsari, p. 64) ndr.
[6]
Giovanni Macchia, L’angelo della notte, p. 166.
[7] 55 ca -
140 ca d. C.
[8] Che a
sua volta può impersonare aspetti topici dell'eterno marito
dostoevschiano. Fu imperatore dal 41 al 54 d. C.
[9] Il
cento e il titulus del v. 123 si trovano nel bordello del Satyricon
(7, 2 e 4).
[10] .
Licisca, ragazza lupa, era un nome comune per le prostitute che
mettevano un cartello con il nome e il prezzo.
[11]
Britannico era il figlio di Claudio e Messalina. Fu fatto uccidere da
Nerone nel 55 d. C.
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