Premessa
Sembra che i
sacrifici umani siano di nuovo leciti. Aumentano i contagi e i morti, ma
l’economia ha bisogno di queste vittime sacrificali.
Si possono smontare altri pezzi della pietas di
Enea. I sacrifici umani e la ferocia del figlio di Venere.
La barbarie di quanti praticavano i sacrifici umani: gli Etruschi, i
Tirii, i loro coloni Cartaginesi, gli stessi Romani (la questione appenninica),
i Celti, i Galli e i Britanni.
Durante la
battaglia successiva alla morte di Pallante, il duce troiano cattura
dall'esercito di Turno otto giovani vivi: "viventis rapit inferias
quos immolet umbris/captivoque rogi perfundat sanguine flammas"[1],
li cattura vivi, per sacrificarli come offerte infernali alle ombre e irrorare
le fiamme del rogo con il sangue dei prigionieri. Vero è che a monte si trova
il modello omerico[2],
ma Achille non è mai stato insignis pietate vir!
Un altro
atto del “pio” Enea potrebbe entrare benissimo nella categoria dell'empio e del
disumano: dopo avere abbattuto Tàrquito gli taglia la testa che stava
supplicandolo, quindi gli dice che la madre non lo seppellirà:"alitibus
linquēre feris aut gurgite mersum/unda feret piscesque impasti volnera lambent"
(Eneide, X, 559 - 560), sarai abbandonato agli alati rapaci oppure
l'onda ti porterà sommerso nel gorgo e i pesci digiuni leccheranno le tue
ferite.
Tito
Livio condanna l’uso del sacrificio dei prigionieri da parte degli Etruschi
come barbarico e vergognoso: dopo un successo militare contro l'incauto console
Fabio, i Tarquiniesi sacrificarono trecentos septem milites romanos,
un supplizio brutale che rese ancora più notevole l'onta subita dal popolo
romano[3].
Anche Curzio
Rufo[4] dà
un giudizio negativo sui sacrifici umani quando racconta che i Tirii, assediati
da Alessandro Magno nel 332 a. C., pensarono di ripristinare questo uso
desueto: “ sacrum quoque, quod equidem dis minime cordi esse crediderim (…) ut
ingenuus puer Saturno immolaretur”, addirittura un atto sacrificale, del
quale io sono propenso a credere che non possa essere per niente gradito agli
dèi (…) cioè di sacrificare a Saturno un fanciullo nato libero. Sacrilegium,
verius quam sacrum (Historiae Alexandri Magni, 4, 3, 23) un
sacrilegio più che un sacrificio, di cui si dice che venne praticato a
Cartagine usque ad excidium urbis suae , fino alla distruzione
della città, avvenuta nel 146 a. C.
Se non
si fossero opposti gli anziani di Tiro “humanitatem dira superstitio
vicisset”, una terribile superstizione avrebbe vinto il senso di umanità.
Cartagine
dunque, colonia di Tiro, aveva praticato i sacrifici umani “Lo stesso rito
repugnante del sacrificio umano rimase in vigore in Cartagine fin nel IV
secolo”[5](d.
C).
Mentre
Agatocle, tiranno di Siracusa, era in Africa (310 - 307) “fu fatta un’immane
ecatombe espiatoria di fanciulli, cinquecento si dice, tra cui duecento delle
famiglie più ragguardevoli, deponendoli l’un dopo l’altro, per farli
precipitare tra le fiamme, sulle braccia protese della statua colossale d’un
nume assetato di sangue che i Greci chiamavano Crono”[6].
(Diodoro, Biblioteca storica, XX, 14).
Tertulliano
nell’Apologeticum[7] ritorce
contro i pagani le accuse che vengono rivolte ai cristiani scrive: “infantes
penes Africam Saturno immolabantur palam usque ad proconsulatum Tiberii”
(9, 2), in Africa si sacrificavano pubblicamente dei fanciulli a Saturno, fino
al proconsolato di Tiberio. E commenta: si capisce come Saturno che non
risparmiò i propri figli, abbia continuato a non risparmiare quelli degli
altri.
Poi
questo costume cadde in disuso: “Gli è che l’influsso irresistibile della
civiltà greca aveva addolcito a grado a grado i costumi”[8].
Di fatto a Roma i sacrifici umani furono praticati.
Tito
Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia
aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in
foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante
hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57,
6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i
quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro
boario, in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime
umane, con un rito però non romano. E’ una contraddizione con quanto detto
sopra sugli Etruschi, ma “i fatti della storia non sono sillogismi”[9]
Mazzarino ne
ricava una concezione cisappenninica della vera Italia cui consegue l’idea
della exterminatio dei due popoli transappenninici: Galli e
Greci.
Appiano[10] nell’Annibalica (8,
34) introduce il suo racconto della battaglia del Trasimeno e sostiene che la
vera Italia è quella tirrenica, mentre quella adriatica e ionica è terra di
Galli e di Greci. Nello stesso anno 216 del resto i decemviri sacris
faciundis ricavarono dai libri sibillini l’ordine di mandare a Delfi
Fabio Pittore. Un’altra contraddizione.
C’era
comunque fino a Canne una questione appenninica: gli antichi intuivano il
contrasto fra l’economia padana ed economia appenninica.
Cesare spiega
con un chiasmo che i sacrifici umani vengono praticati dai Galli poiché pensano
che non si possa placare la maestà dei numi immortali “pro vita hominis nisi
hominis vita reddatur “(De bello gallico, 6, 16, 2), se per la
vita di un uomo non si paga la vita di un uomo.
Tacito ricorda
che i Britanni facevano sacrifici umani: quando venne conquistata da Svetonio
Paolino[11] l’isola
di Mona (vicina al Galles) vennero abbattuti i boschi, sacri alle loro feroci
superstizioni: excisique luci saevis superstitionibus sacri: nam cruore
captivo adolēre aras et hominum fibris consulere deos fas habebant” (Annales,
XIV, 30), infatti i Britanni consideravano cosa santa far fumare gli altari col
sangue dei prigionieri e consultare gli dèi con le viscere degli uomini.
giovanni
ghiselli
p. s. il blog è
arrivato a 996630. Sto partendo per Pesaro dove festeggerò il milione di
letture
[3] Storie, VII, 15. Siamo negli anni del IV secolo a. C.
successivi all’invasione gallica, intorno al 364 a. C.
[4] Autore del I sec. d. C. Sotto il regno di Claudio scrisse Historiae
Alexandri Magni in dieci libri. Ne sono andati perduti i primi due.
[10] Vissuto nel secondo secolo d. C. crisse una Storia di Roma in greco.
Sono conservati 11 libri con il prologo, la vicenda di Annibale, le guerre
civili.
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