Il Ministero |
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Nei progetti
di riapertura delle scuole non entrano mai propositi relativi all’educazione e
alla cultura. Vero è che minister significa “servo”, ma questa
ministra nemmeno i piccoli conti sa fare e li demanda ai presidi.
Da molte
parti si auspica una riforma strutturale dell’economia mentre, per quanto
riguarda la scuola, si pensa alla disposizione dei banchi e poco altro. Intanto
le parole chiave si dicono in inglese in modo che molti non le capiscano e
tutti gli sprovveduti ingannati disprezzino l’italiano. Lo fanno anche perché
durano fatica a bofonchiarlo e a capirlo oramai. Per non dire del latino e del
greco che una volta selezionavano una classe dirigente di sicuro non inferiore
a questa. A tale selezione purtroppo riuscì a sottrarsi Mussolini che non aveva
fatto il liceo classico e straparlava di rinnovato impero.
Finito
questo preambolo, aggiungo un capitolo della mia metodologia scritta per amore
della cultura classica e per il desiderio di spronare chi mi legge a
conservarla, se la conosce, e ad acquisirla, a nutrirsene se ne è digiuno.
Ognuno ne trarrà forza non solo linguistica e salute non soltanto mentale.
Filarco viene
criticato dal pragmatico Polibio per la presenza di gesti patetici nelle
sue Storie tragiche. L’eccidio di Mantinea (223 a. C.). Le
torture degli iraqeni. Giuliano Ferrara e Marco Travaglio Le Baccanti di
Euripide e le Deux femmes courant sur la plage di Picasso. La storiografia drammatica è mal
reputata. La teatralità di Demetrio Poliorcete, quella di Antonio e quella di
Cleopatra. La maschera tragica e la maschera comica di Antonio (Plutarco).
L'immagine topica dei capelli
sciolti e quella dei seni scoperti per suscitare compassione è fortemente
biasimata da Polibio, lo
storico antitragico il quale è critico nei confronti dei colleghi storiografi
che danno spazio alle lacrime nelle loro opere per suscitare la partecipazione
sentimentale di chi le legge.
Il suo
obiettivo polemico è soprattutto Filarco[1] considerato
uno storico "tragico" poiché ha cercato di colpire la sfera emotiva
dei lettori, adoperandosi per invitarli alla compassione e renderli partecipi
dei suoi sentimenti riguardo a quanto viene raccontato. Egli dunque introduce
abbracci di donne (periploka;" gunaikw'n) e chiome scarmigliate (kovma"
dierrimmevna") e
denudamenti di seni (mastw'n ejkbolav"), e, oltre questo, lacrime e lamenti di uomini e
donne (davkrua kai; qrhvnou" ajndrw'n kai; gunaikw'n ) trascinati via alla rinfusa
con figli e vecchi genitori"[2].
Ci fu per
esempio l'eccidio di Mantinea. Durante la guerra cleomenica, la città fu
conquistata dai Macedoni alleati degli Achei, nel 223: secondo Filarco e Plutarco
( Vita di Arato 45, 6 - 9) la città subì un massacro che Polibio
tende a nascondere o minimizzare. Lo storico di Megalopoli, figlio di
Licorta stratego della lega Achea, si limita a dire (II, 54) che il
re di Macedonia Antigono Dosone, dopo essere stato nominato capo delle forze
alleate della lega ellenica costituitasi contro Sparta e gli Etoli, riuscì a
sottomettere prima Tegea, poi Mantinea, che nel 229 erano state prese dal re
spartano Cleomene.
Filarco
viene biasimato per avere "faziosamente" descritto le sofferenze di
questa gente.
Una critica
del genere venne fatta da alcuni personaggi della nostra televisione a chi
raccontava gli orrori della guerra del Golfo: per esempio “Giuliano Ferrara che
di fronte alle prove fotografiche della tortura fornite dalle stesse autorità
americane, sproloquia di “episodi circoscritti” (almeno venticinque prigionieri
morti per le sevizie dei militari Usa!), del virus che “ci indebolisce nella
guerra”: non la tortura, beninteso, ma “la voracità morbosa di dire che è colpa
dell’Occidente, di pubblicare immagini delle torture degli occidentali”. Cioè
quel poco di spirito autocritico rimasto nelle opinioni pubbliche democratiche”[3].
Per quanto
riguarda gli abbracci di donne nella tragedia, vediamo le Troiane di Euripide, per esempio, dove Andromaca
abbraccia il figlio che a sua volta si rifugia tra le ali della mamma come un
uccellino:"neosso;" wJsei; ptevruga" ejspivtnwn
ejmav"",
v.751.
Per le
chiome scarmigliate, o scagliate[4]
c'è il ricordo delle Baccanti :"truferovn te
plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"(v. 150) scagliando nell'aria i riccioli molli,
un ricordo che ho ravvisato anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage (Parigi,
museo Picasso).
Per quanto riguarda il rapporto tra storiografia e
dramma, riferisco alcune parole di Mazzarino: "nell'età ellenistico - romana,
concetti di "teatralità" o simili, formulati a proposito di opere di
storia, implicavano per lo più un giudizio critico negativo su quelle opere, in
due sensi; si impugnava la validità di racconti storici, i quali applicassero
forme letterarie proprie della tragedia, atte a sollecitare commozione nei
lettori, e comunque tali da togliere veridicità al racconto; e in genere si
negava "verità" a racconti storici i quali (sotto qualunque forma
letteraria, ricercata od invece semplicissima e primitiva) avessero un
contenuto di favole largamente irrazionale". Vengono fatti alcuni esempi
in seguito ai quali Mazzarino conclude che "generalmente...il richiamo al
motivo "spettacolare" nell'opera storica indica un giudizio del tutto
negativo."[5]
Del resto atteggiamenti teatrali vengono presi dagli
stessi personaggi di cui ci parlano le opere degli storiografi: Plutarco
racconta che in Demetrio Poliorcete c’era davvero una grande teatralità (tragw/diva
megavlh) quando si avvolgeva nella porpora ornata d’oro e
teneva in testa il cappello a larghe tese con doppia mitra (Vita di Demetrio,
41, 6).
Nella Vita di Antonio, accoppiata con
quella di Demetrio, Plutarco cita due versi dell’Edipo re (il
quarto leggermente modificato e il quinto senza ritocchi) per significare la
dissolutezza pestifera di Antonio: quando il triumviro si recò in Oriente,
l’Asia intera, come quella famosa città di Sofocle (Tebe) era piena di fumi di
incenso, e insieme di peani e di gemiti (24, 3).
Subito dopo Plutarco racconta che Antonio entrò in
Efeso preceduto da donne vestite come le Baccanti e da uomini e fanciulli
abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di edera, tirsi, zampogne e
flauti e la gente acclamava Antonio come Dioniso che dà gioia e amabile. Per
alcuni sarà stato tale, ma per i più era
j Wmhsth;~ kai; jAgriwvnio~ (24, 4 - 5), Dioniso Crudivoro
e Selvaggio.
Quando Cleopatra si recò da lui risalendo il fiume
Cidno, con teatralità ancora più vistosa[6], si diffuse dappertutto la voce che
Afrodite con il suo corteo andava da Dioniso per il bene dell’Asia (wJ~ hJ
jAfrodivth kwmavzoi pro;~ to;n Diovnuson ejp j ajgaqw`/ th`~ jAsiva~, 26, 5). Quindi Plutarco racconta alcune buffonate che i due amanti
compivano divertendo gli Alessandrini i quali dicevano che Antonio con i Romani
usava la maschera tragica e con loro quella comica ( levgonte~ wJ~
tw`/ tragikw`/ pro;~ tou;~ JRomaivou~ crh`tai proswvpw/, tw`/ de; kwmikw/`
pro;~ aujtouv~, 29, 4).
Concludo con due citazioni una da Nietzsche, l’altra
da Thomas Mann
Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno
dell’ignoranza e dell’impotenza, può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la storia dei grandi
uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di
sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua
utilità nel non lasciarvi maturare per dominare e sfruttare voi, gli immaturi.
E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il
signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi,
credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia
divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno
silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[7].
“Cultura è
l’aristocrazia della vita”[8].
giovanni ghiselli
[1] nato a Naucrati ma vissuto ad
Atene, nel III secoloa. C. , autore di Storie in 28 libri che
andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il re di Sparta ben
visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale dichiara di seguire
le Memorie di Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione
della guerra cleomenica che oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni.
Filarco, ci
informa Mazzarino, "ha capito il genio di Cleomene III e la necessità
della rivolta sociale, in mezzo al tramonto della gloriosa libertà greca.
Michele Rostozev (Die hellenistische Welt , trad. ted., I, 146) ha
detto benissimo:"la Grecia era dalla parte di Filarco, e non da quella di
Arato e degli Achei difesi da Polibio" (Il Pensiero Storico Classico ,
II, 1, p. 126). Arato potenziò la lega achea, operò e scrisse in favore degli
abbienti, mentre Filarco era favorevole a Cleomene III di Sparta. Questo re
riformatore fu sconfitto a Sellasia, nel 222, da Antigono Dosone di Macedonia e
dallo stratego acheo Filopemene, e per tale ragione gli scrittori suoi
partigiani possono essere accusati di menzogna dallo storico partigiano dei
vincitori nei quali si è incarnata la verità.
[6] Ella risaliva il fiume su un
battello dalla poppa d’oro, con le vele di porpora spiegate, mentre i rematori
remavano con remi d’argento al suono del flauto accompagnato da zampogne e
cetre. La regina stava sdraiata sotto un padiglione ricamato d’oro, ornata come
Afrodite, con ragazzi simili ad amorini che le facevano vento e le ancelle più
belle, abbigliate da Nereidi e Grazie, stavano al timone e alle funi.
Meravigliosi profumi provenienti da aromi bruciati invadevano le sponde
(Plutarco, Vita di Antonio, 26, 1 - 3). Lo ricorda Shakespeare che
leggeva Plutarco nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella francese
(del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)[6]. “The
barge she sat in, like a burnish’ d throne/Burn’d on the water: the poop was
beaten gold;/Purple the sails, and so perfumed that/ The winds were love - sick
with them; the oars were silver,/Which to the tune of the flutes kept stroke…” (Antonio
e Cleopatra, III, 2), la barca dove sedeva, come un trono brunito, splendeva
sull’acqua: la poppa era di oro battuto; di porpora le vele, e così profumate
che i venti languivano d’amore per esse; i remi erano d’argento, e tenevano il
tempo al suono dei flauti.
[7] F. Nietzsche, Sull'utilità
e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali,
II, p. 125.
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