Auli Gellii Noctium Atticarum 1706 |
Aulo Gellio sull’ambiguità delle parole. Il cultus (gradito o
ingannevole) di Ovidio e quello (levis ac parabilis) di Alessandro
Magno. Le cicatrici come decorazioni, come bocche mute o parlanti. Pirandello e
l’impossibilità di intendersi attraverso le parole. L’ambiguità può riguardare
una persona (Nerone), un oggetto, una situazione, e anche un intero dramma. Jan
Kott: l’Alcesti di Euripide e il tappeto rosso dell’Agamennone di
Eschilo. La Mastrocola: l’ambiguità è ricchezza di significati. Frasnedi. Morin
e la polisemia del concetto: la parola “cultura” è un vero e proprio camaleonte
concettuale.
Aulo Gellio[1] ci tramanda l'opinione di Crisippo[2],
terzo scolarca della Stoà dopo Zenone e Cleante: "Chrysippus ait,
omne verbum ambiguum natura esse, quoniam ex eodem duo vel plura accipi possunt"[3],
Crisippo dice che ogni parola è ambigua per natura, poiché da una sola si
possono trarre due o più significati.
Anche uno solo dei tanti significati di una parola può variare a seconda
del contesto: cultus significa,
tra l’altro, la cura della persona. Ebbene Ovidio nell’ Ars amatoria ne dà
un'interpretazione positiva quando afferma che la sua età gli piace quia
cultus adest[4],
come abbiamo già ricordato[5],
mentre nei Remedia amoris, con movimento lucreziano, mette in
guardia gli spasimanti dalla fallacia dell’acconciatura:"auferimur
cultu"[6],
siamo sedotti dall'acconciatura la quale ci porta via la donna in sé (ipsa
puella[7]),
la donna come è veramente.
Scarsità di cultus del resto può essere una scelta
seduttiva: Alessandro Magno, quando giunse a Tarso, la capitale della Cilicia,
alla fine dell’estate del 333, volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si ammalò
gravemente poiché si era gettato, ancora accaldato, nell’acqua fredda. Ma aveva
fretta di spogliarsi e pensava che oltretutto sarebbe stato onorevole mostrare
ai suoi che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente
procurabile: “ decōrum quoque
futurum ratus, si ostendisset suis levi ac parabili cultu corporis se esse
contentum”[8].
In un’altra circostanza, prima della battaglia di Gaugamela (ottobre del 331 a.
C.) Alessandro mise in mostra il “trucco”, o l’antitrucco, delle cicatrici, quali garanzia
delle sue parole e altrettante decorazioni del corpo: “spondere pro se tot
cicatrices[9], totĭdem corporis decŏra”, e,
aggiunse, sono l’unico a non prendere parte del bottino.
Tale cultus incultus fa parte di quello stile della neglegentia (noncuranza
di sé, sprezzatura) di cui tratteremo più avanti (59, 2).
L'ambiguità
del linguaggio e l' impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi:
"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole!…come possiamo intenderci, signore,
se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono
andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso
e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo
d'intenderci; non ci intendiamo mai!"[10].
Luogo simile
si trova nell'ultimo romanzo dell'Agrigentino, Uno, nessuno e
centomila [11]:
"il guajo è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare
come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no.
Abbiamo usato, io e voi la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa
abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le
riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell'accoglierle, inevitabilmente,
le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi
affatto" (p. 39).
L’ambiguità può riguardare una persona. Nerone.
Nerone si
comportava da maschio eterosessuale con le amanti femmine, come la famigerata
Sabina Poppea; probabilmente da maschio incestuoso e assassino con la madre, la
non meno famigerata Agrippina; da omosessuale attivo con il giovinetto Sporo
che sposò e pro uxore habuit, tenne come moglie; e da omosessuale
passivo con il liberto Dorìforo, “cui etiam, sicut ipsi Sporus, ita ipse
denupsit, voces quoque et eiulatus vim patientium virginum imitatus[12] , al quale, come a lui stesso Sporo,
si era dato in moglie, imitando anche i versi e i lamenti delle vergini
sottoposte a violenza. Questo liberto per giunta ha un secondo nome: Tacito e
Cassio Dione lo chiamano Pitagora.
Il ribelle
Vindice parlò ai Galli dubitando che Nerone fosse un uomo: uno che si era
maritato con Sporo e ammogliato con Pitagora: “ oJ Spovron gegamhkwv~, oJ Puqagovra/
gegamhmevno~”[13].
Budicca
regina degli Iceni (Britanni del nord est) nel 61 d. C. si ribellò ai Romani e
pregando la dea Andraste le chiese di aiutarla a sconfiggere quella gente
governata da donne: prima da Messalina, poi da Agrippina e da Nerone che porta
un nome da uomo ma in realtà è una donna (e{rgw/ de; gunhv ejsti): i segni di questa sua identità
sessuale sono il fatto che canta, suona la cetra, e si imbelletta: “shmei'on dev,
a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai”[14].
Dunque tale
Domizia Neronia (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più sui Britanni che sono veri
uomini e tengono tutto in comune, anche i bambini e le donne, né sulle Britanne
che hanno lo stesso valore dei maschi, ma sugli effemminati Romani, gente che
si lava con l’acqua calda, che si ciba di bevande preparate, che beve vino
puro, che si cosparge di unguento profumato, che si corica mollemente,
oltretutto con i ragazzini, che è schiava di un citaredo, per giunta malvagio.
Anche una situazione, o un intero dramma possono essere ambigui: “La puoi dire viva e che è morta
anche”[15] .
L’ambiguità
è il cardine di Alcesti: il tessuto linguistico e la struttura teatrale sono a
essa soggetti; l’azione è ambigua e si rievocano ironicamente i miti che negano
la resurrezione. Ma cosa significa ambiguità? Nel rapporto tra significante e
significato, la superficie del segno - la sua “icona”, la sua “forma” - oppure
il suo significato, la sua sostanza, possono essere ambigui…Ambiguo in maniera
diversa - a livello di significato - è il tappeto rosso sul quale cammina
Agamennone nell’Orestea. Questo tappeto è un vero tappeto, tessuto di
lana di pecora e colorato con succo di porpora, ma nello stesso tempo è il segno
del sangue che Agamennone ha fatto sgorgare e che dovrà ora versare a sua
volta. Il percorso sul tappeto rosso è un sacrificio blasfemo che offende gli
dèi, e diventa contemporaneamente una reale cerimonia sacrificale non appena il
celebrante si trasforma in vittima. Il tappeto rosso di Agamennone è il più
vivo e il più ambiguo dei segni teatrali”[16].
Clitennestra
sollecita il marito reduce “a compiere l’atto sinistramente ominoso (cosa alla
quale Agamennone si decide solo dopo un serrato dialogo con la donna)”[17].
Sul tappeto
rosso torneremo più avanti trattando la polisemia degli oggetti.
“Ambiguo” è
un aggettivo stupendo, che noi purtroppo usiamo sempre e solo in senso
dispregiativo. In realtà ambiguo viene da ambo - e da agere,
“ muovere entrambi”: significa quindi qualcosa che “muove” in sé almeno due
significati, che non è univocamente comprensibile ovvero riconducibile a una
cosa sola: che è quindi ricco, molto ricco!...la letteratura ti fa balenare
sempre almeno un doppio significato: ti abitua all’ambiguità, che è ricchezza
di significati ”[18].
Credo di
avere riconosciuto un’eco del tappeto rosso nel film di Chaplin The
great dictator (1940): Napoloni - Mussolini, in visita da Hynkel - Hitler,
non è disposto a scendere dal treno se non gli distendono davanti un tappeto: “I
never get out without a carpet”.
La polisemia
delle parole può ostacolare la comunicazione, ma pure offrire opportunità
didattiche preziose.
Sentiamo Fabrizio Frasnedi: "La dimensione
infinita della significazione, l'impossibilità cioè, di catturare tutti gli
echi e i rinvii che il dettato può suscitare, se da una parte costituisce la
disperazione dei teorici, dall'altra è esperienza insostituibile e basilare per
chi apprende, e si pone sul cammino di chi farà della lingua l'orizzonte della
sua capacità interpretativa e creativa… le parole sono, insomma, terribilmente pesanti, poiché, come la punta di un iceberg, nascondono
grappoli di ramificazioni, e ciascun ramo di ogni grappolo può portare
molto lontano…Quando si costruiscono percorsi dentro la ramificata complessità
dell'interpretazione, si compie un'altra scoperta fondamentale: quella della
non automaticità della significazione. I lettori scopriranno con meraviglia che
i loro viaggi, compiuti per dettare di senso il dettato linguistico del testo,
non sono uguali. Le parole del testo erano uguali per tutti, eppure…Ecco una
finestra fondamentale per poi, nella grammatica del significato"[19].
La collega Maria Silvana Celentano ha suggerito, citando alcune parole di
Aristotele[20],
che l'ambiguità può giungere fino all'enigma producendo comunque apprendimento.
“Vi è la
polisemia di un concetto che, enunciato in un senso, è inteso in un altro.
Così, la parola “cultura”, vero e proprio camaleonte concettuale, può
significare tutto ciò che, non essendo innato, deve essere appreso o acquisito:
può significare gli usi, i valori, le credenze di un’etnia o di una nazione;
può significare tutto ciò che producono gli umani, la letteratura, l’arte, la
filosofia”[21].
Pesaro 28 giugno 23,50
giovanni ghiselli
[9] Cfr. il console Mario, il quale, nel Bellum Iugurthinum di
Sallustio dice che non può ostentare i ritratti degli antenati, ma trofèi di
guerra “praeterea cicatrices advorso corpore” (85) e in più le cicatrici
sul petto.
Le ferite
spesso parlano: non sempre sono " dumb mouths "(Shakespeare, Giulio
Cesare , III, 2) , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato.
"Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di
dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità
sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite,
che segnano la nostra vita" ( J. Hillman, Il piacere di pensare ,
p. 66)
[10] Sei personaggi in cerca
d'autore ( parte prima). Parla il personaggio del Padre. La commedia andò
in scena la prima volta il 10 maggio 1921 al teatro Valle di Roma.
[20] Il quale nella Retorica afferma che gli enigmi ben
fatti sono piacevoli poiché si produce apprendimento e si esprime una metafora :"mavqhsi"
ga;r, kai; levgetai metaforav"1412a.
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