Mosaico di Dioniso, III sec. d.C. |
Il MITO 1
prima parte: Eracle e Dioniso
Il mito. Hillman. Pluralità di significati di alcuni
personaggi mitici. G. B. Conte. Saturno. Eracle e Dioniso.
Excursus su politeismo, monoteismo e democrazia. Cacciari. Pasolini:
l’espressione “democrazia cristiana” è una contraddizione di termini. Freud:
L’uomo Mosé e la religione monoteistica. Alfieri e Dostoevskij: critiche al
cattolicesimo. George Steiner: Nel castello di Barbablù.
Vari significati del mito. Nietzsche. Miti di origine: di nuovo Hillman.
Il mito di Er. Morin, Pasolini e il film Medea. Cesare Pavese.
Kundera: diversi miti antichi partono
dalla compassione di qualcuno che salva un bambino abbandonato. Mosè,
Edipo, Cipselo e altri casi di compassione. Il film Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick: “the noblest
impulse of man, his compassion for another”.
Difficile e molto tardiva è la distinzione tra mito e storia. Erodoto,
Tito Livio, Curzio Rufo, Arriano. La storia nasce dalla poesia. Vico e Pavese.
S. Mazzarino a proposito del rapporto tra le Storie di
Polibio e la tragedia storica romana (Clastidium di Nevio e Decius di
Accio). Calvino suggerisce di prendere il mito alla lettera.
L'ambiguità
si trova anche in certi personaggi del mito che hanno un'immagine bipolare: "Saturno è allo stesso tempo
immagine archetipica del Vecchio Saggio (…)e anche del Vecchio Re, l'orco
castrato e castrante"[1].
Il mito
infatti può avere sottolineature diverse ed essere usato con significati vari,
come una parola del vocabolario.
Eracle,
per esempio, si presta a essere utilizzato nella poesia con funzioni differenti
a volta addirittura opposte. E' un'idea che viene precisata in un saggio in
inglese di G. B. Conte[2].
Ne riferisco alcuni concetti, tradotti in italiano e con l’aggiunta di qualche
nota. Il professore della Normale di Pisa rileva che ogni mito (con le sue
varianti) possiede una pluralità di significati che si aggregano intorno a una
funzione tematica fondamentale. Ma quando un poeta utilizza un mito o un
carattere mitico, egli opera attraverso una selezione, riorientando la storia
nella direzione del suo testo. Eracle è
stato impiegato dai poeti come eroe
civilizzatore, come maschio esuberante nelle faccende sessuali
(fino al punto di diventare lo schiavo di Onfale[3])
ma è anche un un insaziabile
mangiatore[4]
e un intemperante bevitore di vino[5];
una figura tragica che impazzisce poi ammazza i figli e la moglie[6];
il mitico progenitore dei re spartani e così via. Lo studioso procede in quella
che chiama enumeratio chaotica , poi chiede: vi sareste
aspettato che il sofista Prodico (come Senofonte riferisce nei suoi Memorabili II. 1. 21 - 34) avrebbe un giorno inventato
una favola[7] il
cui protagonista era Eracle, ma questa volta come esempio di saggezza e autocontrollo, come paradigma di virtù
morale?
Prodico
evidentemente ha fatto una scelta tra i vari aspetti di Eracle.
Aggiungo
qualche considerazione.
Nelle Argonautiche di Apollonio
Rodio, Eracle non partecipa all’orgia bacchica e sessuale dell’isola di Lemno,
e anzi richiama i compagni al dovere dell’impresa (I, 855 sgg.), ma poco più
tardi (I, v. 1270 sgg) abbandona la spedizione per cercare il giovane Ila
rapito da una ninfa: “Nell’opera di Apollonio Eracle impersona il codice di
comportamento dell’epica arcaica: gli viene attribuito l’amore pederastico,
tipico dell’etica aristocratica, che lo esclude da questo matrimonio
collettivo”[8].
Alessandro
Magno, che si considerava suo discendente[9],
recitava tutte queste parti dell’eroe dorico.
Non
manca un Eracle perfino incestuoso
e pedofilo. Nella Storia dell'India Arriano racconta che l'eroe
giunse in quel paese lontano e gli Indiani lo chiamano ghgeneva (8, 4), figlio della terra.
Megastene[10] e
gli stessi Indiani sostengono che il suo costume era simile a quello
dell’Eracle tebano. Quindi gli nacquero molti figli maschi, da molte donne, e
una sola figlia femmina: Pandea. Eracle liberò mari e terre da bestie malefiche
e nel mare scoprì un nuovo tipo di ornamento femminile ossia to;n
margarivthn dh; to;n qalavssion (8, 9), la perla marina. L'eroe le raccolse dall’intero Oceano per
adornare sua figlia. Le donne nel regno della figlia di Eracle si sposano a
sette anni. C’è una leggenda per spiegare questo: Eracle, essendogli la figlia
nata tardi, e non trovando un uomo degno di tanto padre cui darla in sposa, si
unì a lei che aveva sette anni ("aujto;n migh'nai th'/ paidiv
eJptaevtei ejouvsh/", 9,
3), lasciando una discendenza di re indiani.
Annibale
venerava e imitava Eracle identificato con il dio punico Melqart: "Ciò che
(…) credo di avere compreso io per primo è la natura di Eracle - Melqart, in
realtà il più universale dei simboli (….) i suoi caratteri incarnano alcune
istanze insopprimibili dell'animo umano (…) La sua polivalenza nasceva dal
tratto essenziale comune alle diverse interpretazioni che vengono date di lui:
sostanzialmente una forza giusta e riparatrice, in grado di punire i malvagi e
di proiettare l'uomo verso un'immortalità da conquistarsi con l'esercizio
costante della virtù (…) Il nume tutelare della spedizione in Italia fu dunque,
di volta in volta, il Melqart che parlava al cuore dei Punici, o l'Eracle greco
nelle sue diverse accezioni, l'Ogimos caro al mondo celtico, il Makeris africano
o la corrispondente figura iberica. Comunque io lo proponessi, ogni membro
della mia armata finiva per coglierne un'identità diversa, quella a lui più
cara; e di questa figura, multiforme e unica a un tempo, io potei quindi
costantemente servirmi come di una chiave, capace di aprirmi tutte le
porte"[11].
Altri
imitatori di Eracle saranno Marco Antonio e il suo bisnipote Nerone.
Possiamo
quindi notare che il Dioniso infantile dell’Iliade (Diwvnuso"
de; fobhqeiv", 6, 135), o
quello ridicolo delle Rane di Aristofane[12],
è spaventato e tremante, mentre quello delle Baccanti di
Euripide è sicuro di sé, impositivo (v. 34), e feroce[13].
Già nell’Odissea del
resto Dioniso viene menzionato come il dio che con le sue accuse spinse
Artemide a uccidere Arianna in Dia[14],
mentre Teseo la portava da Creta al sacro colle di Atene (XI, vv. 321 - 325).
Qui anche la figlia di Minosse ha un ruolo diverso rispetto alla ragazza
abbandonata dal perfido seduttore Teseo, quali li rappresenta Catullo nel carme
64. Da questi versi dell’Odissea sembra che sia stata Arianna ad
abbandonare un l’amante, probabilmente Dioniso.
Arriano sostiene
che c’è un Dioniso diverso da quello tebano, figlio di
Semele; l’altro, nato da Zeus e da Core, è venerato dagli Ateniesi. L’inno
bacchico dei misteri è cantato per questo Dioniso ateniese, non per quello
tebano: “kai; oJ [Iakco~ oJ mustiko;~ touvtw/ tw`/ Dionuvsw/, oujci; tw`/ Qhbaivw/
ejpav/detai”[15].
“Egli è venuto in forma umana a Tebe per portare amore (ma mica quello
sentimentale e benedetto dalle convenzioni!), e invece porta il dissesto e la
carneficina. Egli è l’irrazionalità che cangia, insensibilmente e
nella più suprema indifferenza, dalla dolcezza all’orrore. Attraverso essa non
c’è soluzione di continuità tra Dio e il Diavolo, tra il bene e il male
(Dioniso si trasforma, appunto, insensibilmente e nella più suprema
indifferenza, dal giovane pieno di grazia che era al suo primo apparire in un giovane
amorale e criminale. Sia come apparizione “benigna” che come apparizione
“maledetta”, la società, fondata sulla ragione e sul buon senso - che sono il
contrario di Dioniso, cioè dell’irrazionalità - non lo comprende. Ma è la sua
stessa incomprensione di questa irrazionalità che la porta irrazionalmente alla
rovina (alla più orrenda carneficina mai descritta in un’opera d’arte. Sono gli
I. M., per citare Elsa Morante, gli Infelici Molti, ossia la maggioranza, o la
media, fondata sulla razionalità e sul buon senso, che non comprendono la
grazia di Dioniso, la sua libertà, e, perciò, finiscono atrocemente nella
strage: di cui peraltro la irrazionalità stessa è patrona. "Quanti Péntei, nella
nostra società (…) I Pentéi italiani sono dei mediocri, dei meschini imbecilli,
neanche degni di essere dilaniati dalle Menadi ”[16].
[2] Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., p. 50 ss.
[3] Ricordata nelle Trachinie di Sofocle, dove Eracle è
un donnaiolo e il marito assenteista e infedele della povera Deianira. Nell' Hercules Oetaeus, di dubbia attribuzione senecana,
Deianira descrive il marito come un antico don Giovanni: egli avrebbe compiuto
i suoi agoni acerrimi per conquistare le ragazze:"virginum thalamos
petit " (v. 420) , cerca i letti delle vergini. A volte si
accontenta delle spose:"nuptas ruinis quaerit" (v.
422), cerca le spose con i suoi macelli. Comunque:" causa bellandi
est amor " (v. 425), la causa della guerra è l'amore. L'amore
dopo tutto sarà la somma fatica di Ercole:"amorque summus fiet Alcidae
labor" (v. 475).
[4] Nella commedia Lino di Alessi (380 - 270 a. C.,
autore della commedia di mezzo, zio o maestro di Menandro) l’autore narra che
il mitico citarista dava lezioni a Eracle e voleva spingerlo a leggere i poeti,
ma lo scolaro, spinto dalla voracità, prese dalla biblioteca L’arte di
cucinare di un certo Simo (fr. 140 K. –A.).
[9] Plutarco racconta che è una tradizione cui tutti
prestano fede quella secondo la quale Alessandro discendeva da Eracle
attraverso Carano e Filippo, e da Eaco attraverso Neottolemo e Olimpiade (Vita,
2).
[10] Ambasciatore inviato in India dal re Seleuco I Nicatore (355 ca. 280
a. C.) presso il re Sandracotto, scrisse Indikà in quattro
libri dei quali ci sono giunti frammenti per via indiretta.
[12] Aristofane nelle Rane rappresenta Dioniso che, terrorizzato da Empusa, fugge tra le braccia del suo sacerdote (v. 297).
Più avanti viene apostrofato dal servo Xantia in questo modo: w\ deilovtate
qew'n su; kajnqrwvpwn (v. 486), oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini! . Il
dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (v. 479).
[13] Consiglio a questo proposito il commento di Fulvio Molinari: Euripide, Baccanti,
Loffredo, 1998.
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