Dispiace anche a me la sofferenza di Zanardi, un uomo che ammiro per la
risposta da vir fortis cum fortuna mala compositus[1], da eroe vero, al brutto colpo infertogli
dal destino che gli portò via tutte e due le gambe anni fa. Condivido dunque il
dolore e la simpatia di molti per lui. Mi astengo però dalle geremiadi, le
lunghe lamentazioni[2] contrappuntate da elogi di cui sono
pieni i giornali.
Prendo un titolo dalla prima pagina del solito quotidiano: “Ci ha insegnato
che si può riparare anche il destino” (“la Repubblica” 20 luglio 2020).
Sono parole di sintesi affiancate a un pezzo di Emanuela Audisio.
Non lo leggo perché credo che l’incidente occorso ieri a Zanardi ci abbia
insegnato esattamente il contrario: che al fato non si sfugge, nemmeno se ci dà
dei preavvisi, dei segni premonitori pur forti e duri.
L’ho provato in questa mia vita mortale e l’ho ritrovato nella sintesi
potente di Tacito: "quae fato manent ,
quamvis significata, non vitantur "[3], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato, non si
evita.
Molto azzeccato invece il commento di Roberto
Vecchioni che infatti ha insegnato greco e latino nel classico Beccaria di
Milano: “L’ho conosciuto dopo aver scritto una canzone per lui con Guccini. La
sua storia ricorda Samarcanda” (ancora “la Repubblica” di oggi, p. 5). E’ una
bella canzone che mi segnalarono i miei studenti del liceo Minghetti intorno al
1977. Mi piacque assai e la cantavo spesso. Poi, siccome tutto è collegato con
tutto, nell’82 e nell’89 andai a esaminare i maturandi del Beccaria e mi
capitarono gli allievi di Vecchioni, ben preparati e molto sensibilizzati da
lui. Samarcanda racconta di un uomo che se ne va molto lontano
cercando di evitare il destino, ma questo lo aspetta proprio là dove il
predestinato andava a cercare rifugio.
E’ quello che avviene anche all’Islandese
delle Operette morali di Leopardi il poeta che seppe “sollevar
gli occhi mortali incontra al comun fato nulla al ver detraendo”[4]
Nel Dialogo della Natura e di un Islandese il
primo personaggio “ era una forma smisurata di donna (…) non finta ma viva; di
volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi, la quale
guardavalo fissamente”.
Quindi domandò all’ Islandese:“ Chi
sei? Che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?”
“Sono un povero Islandese, che vo
fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita, per cento
parti della terra, la fuggo adesso per questa”.
Allora la Natura ribatte: “Così fugge lo
scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io
sono quella che tu fuggi”.
infine la smisurata forma di donna
conclude: “Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un
perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di
maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione
del mondo: il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro , verrebbe
parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui
cosa alcuna libera da patimento”.
Sono certo che se Zanardi potrà leggere
queste parole non mie ne trarrà conforto più che dalle lacrime alternate
con laudationes.
Io spero che Alex Zanardi se la cavi e
torni a sorridere.
Chiudo con un pensiero di Seneca che a suo
tempo mi aiutò e credo che possa essere di aiuto a tutti quanti lo
leggono: Nihil indignetur sibi accidere sciatque illa ipsa quibus laedi videtur
ad conservationem universi pertinere (…) placeat homini quid quid
deo placuit (Ep. 74, 20)
Queste parole insegnano a guardare
in faccia il destino, ad accettarlo con forza a renderlo funzionale al nostro
progresso.
Non le traduco perché vorrei che andaste a
leggervi tutta la lettera, poi magari l’opera intera di Seneca
giovanni ghiselli detto gianni
[2] Cfr. Tacito:
"Feminis lugere honestum est, viris meminisse " Germania (27,
1), per le donne è bello piangere, per gli uomini ricordare. Questa distinzione
di genere ovviamente non c’entra, ma credo che ricordare e riflettere sia più
utile che piangere. Tanto per gli uomini quanto per le donne.
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