NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 15 giugno 2020

Consigli per l'esame di maturità. Parte 6. La bellezza


Isocrate
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Premessa
Ha detto bene Conte che occorre investire nella bellezza dell’italia. Qui da noi, è vero, c’è la bellezza in diverse persone, in molti aspetti della natura, in tanta arte, tuttavia non mancano bruttezza e volgarità. Queste andrebbero ridotte. Invece si vogliono riaprire le discoteche, luoghi dove i ragazzi si intontiscono con droghe varie, talora ne muoiono.
La bellezza si associa alla verità, invece la pubblicità è menzogna sistematica e onnipresente. Per lo più reclamizza cose brutte e spesso pure inutili, talora perfino dannose.
Grande parte dell’informazione entra nella stessa categoria del falso. Ora che in nome della dea economia si vuole riaprire tutto e presto, ogni giorno la televisione diffonde dispacci bugiardi: dice che i contagiati calano di numero, mentre, semmai quando va bene, sono cresciuti un poco meno del giorno prima. Di fatto il numero degli ammalati e dei morti aumenta ogni giorno e non è il caso di aprire le discoteche né altri brutti siti di trasgressioni disordinate. Luoghi che penalizzano il logos: non vi si può nemmeno parlare umanamente.
 Dopo questa premessa aggiungo alcune idee di autori sulla bellezza. Potrebbero esservi utili, ragazze e ragazzi maturandi, durante l’esame.
Vi do un’occasione per imparare qualcosa e riferirla ai commissari che vi ascoltano.
Saluti cari a tutti quanti sono impegnati in questa prova

Leggiamo dunque che si dice della bellezza in qualche nostro “libro buono”[1]

Isocrate celebra la potenza della bellezza incarnata in Elena.
Elena ebbe la maggior parte delle prerogative della bellezza che è il più nobile, il più prezioso e il più divino dei beni (Encomio di Elena, 64):.
Le cose che non hanno bellezza non possono essre amate; anzi vengono piuttosto disprezzate
La bellezza è superiore a tutte le cose esistenti (55). Verso chi porta altre qualità possiamo provare invidia; mentre nei confronti dei belli siamo benevoli (eu\noi, 56 ) al primo vederli e li onoriamo come gli dèi.
Preferiamo asservirci a uno bello che comandare sugli altri (57)
Anche Zeus il kratw`n pavntwn (59) il signore dell’Universo, divenne umile nell’accostarsi alla bellezza e prese varie forme per unirsi a lei: pioggia con Danae (e nacque Perseo), cigno con Nemesi (Elena), Anfitrione con Alcmena (Eracle)..
Elena dimostrò la sua potenza (duvnamn) a Stesicoro che scrisse la Palinodia dopo avere usato parole irriverenti verso di lei che lo rese cieco.

Ancora Isocrate: la bellezza delle parole ( Panegirico, 47 - 49).

Tîn d lÒgwn tîn kalîj kaˆ tecnikîj
cÒntwn oÙ metÕn to‹j faÚloij, ¢ll¦ yucÁj eâ fronoÚ-
shj œrgon Ôntaj, kaˆ toÚj te sofoÝj kaˆ toÝj
¢maqe‹j dokoàntaj enai taÚtV ple‹ston ¢ll»lwn diafš-
rontaj, œti d toÝj eÙqÝj ™x ¢rcÁj ™leuqšrwj teqram-
mšnouj ™k mn ¢ndr…aj kaˆ ploÚtou kaˆ tîn toioÚtwn
¢gaqîn oÙ gignwskomšnouj, ™k d tîn legomšnwn m£lista
katafane‹j gignomšnouj, kaˆ toàto sÚmbolon tÁj paideÚ-
sewj ¹mîn ˜k£stou pistÒtaton ¢podedeigmšnon, kaˆ toÝj
lÒgJ kalîj crwmšnouj oÙ mÒnon ™n ta‹j aØtîn dunamšnouj,
¢ll¦ kaˆ par¦ to‹j ¥lloij ™nt…mouj Ôntaj

Dei discorsi belli e ben costruiti non hanno parte gli sciocchi, ma essi sono opera di una mente capace di pensare.
 Le persone reputate sagge e quelle ritenute ignoranti, sono differenti tra loro soprattutto in questo, e coloro i quali sono stati educati da persone libere, non si riconoscono dal coraggio, e dalla ricchezza e da altri beni del genere, ma riescono evidenti soprattutto dai loro discorsi, e questo è il segno più sicuro e rivelatore dell’educazione di ciascuno di noi
 Quelli i quali impiegano con bellezza l’eloquenza non solo sono potenti nelle loro città, ma vengono onorati anche presso gli altri

Altro punto di vista: Teognide
 Il bello (kalòn ) è il valore supremo, ed esso coincide con il morire per la patria
" è bello morire (Teqnavmenai ga;r kalovn) da uomo valoroso cadendo tra i primi
 e combattendo per la propria patria"(fr. 10 W., vv.1 - 2).

Vediamo dal De officiis di Cicerone che cosa è il decōrum, il prevpon, ciò che si addice a una persona per bene.
Coincide con l’honestum.
Quello che decet è agire prudenter, considerate, con prudenza e ponderazione, mentre dedecet falli, errare, labi lasciarsi andare, decipi .
E’ decorum quello che si compie viriliter animoque magno (I, 94). Del decorum fanno parte moderatio et temperantia, moderazione ed equilibrio. La natura ha assegnato al personaggio uomo partes constantiae, moderationis, temperantiae, verecundiae, e ci insegna a non trascurarle. La pulchritudo corporis è data dall’apta
compositio membrorum (I, 98), dalla proporzionata disposizione delle membra, quando inter se omnes partes cum quodam lepōre consentiunt, costituiscono un insieme armonico con una certa piacevolezza. Così lo stile di una persona deve essere caratterizzato ordine et constantia et moderatione dictorum omnium et factorum. Dunque il decorum, quod decēre dicimus, è non violare, non offendere homines.
Fondamentale è l’armonia con la natura quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus (I, 100). Bisogna approvare motus corporis qui ad naturam apti sunt e pure motus animi qui item ad naturam accomodati sunt, appropriati. L’appetitusoJrmhv, deve obbedire alla ratio. Non siamo bruti e non dobbiamo vivere “seguendo come bestie l’appetito”[2]Efficiendum autem est, ut appetitus rationi oboediant (I, 101).
 
In queste parole c’è anche è la paura dell’istinto che Nietzsche considera sintomo della decadenza. Una paura che risalirebbe a Platone ammaestrato da Socrate.

Nel Fedro di Platone l’appetitus è raffigurato nel cavallo nero che è brutto: skoliov~, storto, poluv~, grosso, eijkh'/ sumpeforhmevno~[3], ammassato a casaccio, kraterauvchn, di collo grosso, bracutravchlo~, dal collo corto, simoprovswpo~, dal muso schiacciato, melavgcrw~, di pelo nero, glaukovmmato~, dagli occhi chiari (grigio - azzurri), u{faimo~, sanguigno, u{brew~ kai; ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno della prepotenza e della iattanza, peri; w\ta lavsio~ , villoso intorno alle orecchie, kwfov~, ottuso, mavstigi meta; kevntrwn movgi~ uJpeivkwn, una bestia che a stento si assoggetta a una frusta con pungoli.
Nel sistema platonico il cavallo bianco è lo qumoeidev~, la parte irascibile che si allea alla razionalità, logistikovn, contro il cavallo nero, l’ejpiqumhtikovn, l’elemento appetitivo.
Per comprendere questo bisogna vedere com'è la natura dell'anima.
E' immortale poiché si muove da sola: yuch; pa'sa ajqavnato"/ : to; ga;r aujtokivneton ajqavnaton. Descriviamola con immagini: assimilandola alla potenza della stessa natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga. Uno dei cavalli però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il nero l'appetito.
Il cavallo bianco è bello, buono e di buona razza, l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo""(Fedro, 246c).
Le anime seguono gli dèi in una processione festiva intorno al cielo e danno ordine alle cose. La meta del giro è la piana della realtà ( jAlhqeiva" pedivon, 248b) dove la processione si ferma e gode di un riposo sabbatico. Nella pianura c'è il pascolo congeniale alla parte migliore dell'anima. Questa piana si trova fuori dall'Empireo: è un uJperouravnio" tovpo" (247c), un sito sopraceleste dove si trovano le idee: essenze che essenzialmente sono, senza colore, figura, toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non riesce a controllare il cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano in cielo finché non siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante il ricordo delle idee. Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.
La bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più manifesta e amabile qua sulla terra. Del resto nella pianura della realtà, met’ ejkeivnwn, tra quelle idee, e[lampen o[n, brillava come essere (Fedro, 250d).
 Chi vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera religiosamente, e gli spuntano le ali.
Il ricordo fa crescere l’ala attraverso tutta l’anima: pa'sa ga;r to; pavlai pterwthv (251b), infatti un tempo l’anima era tutta alata.
Se invece uno non è un nuovo iniziato (mh; neotelhv~) o è corrotto (diefqarmevno~), non si eleva da quaggiù a lassù ejnqevnde ejkei'se, verso la bellezza in sé (pro;~ aujto; to; kavllo~), sicché non onora la bellezza, ma hJdonh'/ paradou;~ tetravpodo~ novmon, dandosi al piacere secondo l’uso delle bestie, cerca di montare e di seminar figlioli (baivnein ejpiceirei' kai; paidosporei'n, 250e), oppure si dà a rapporti contro natura. 
Vedendo la bellezza, ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv, senza dolori e puri, e contemplavamo, ejpopteuvonte", intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata , in pura luce e non eravamo marchiati da questa tomba che ora portiamo in giro e chiamiamo corpo, chiusi al modo di ostriche (250). Ognuno si innamora di una bellezza che gli ricorda il dio che seguiva. Chi andava dietro a Zeus è attirato da un amante filosofov" te kai; hJgemoniko;" th;n fuvsin, 252e.
Si tende a dare all'amato la natura del proprio dio.
Il cavallo nobile è bello, pudìco e ragionevole e si lascia guidare senza la frusta, con l'uso della ragione; è di figura diritta e snella, ha il mantello bianco, gli occhi neri e ama la gloria.
 L'altro ha una struttura contorta e massiccia, mantello nero e occhi chiari, è insolente, vanitoso e peloso fino alle orecchie.
Questo porta l'amante verso l'amato.
L'auriga quando vede la bellezza, cade riverso all'indietro. Allora il cavallo bianco, smarrito, inonda di sudore l'anima intera, ma il nero infuria, rizza il collo e la coda ( ejgkuvya~ kai; ejkteivna~ th;n kevrkon) e tira avanti impudico:"met j ajnadeiva" e{lkei"254d.
L'auriga tira indietro il morso, gli insanguina la lingua malvagia e le mascelle e lo dà in preda ai dolori. Allora il cavallo brutto e cattivo si lascia frenare, e quando vede la bellezza muore dalla paura (254 e)
Così l'amato diviene oggetto di culto e accoglie l'innamorato presso di sé: infatti tra i buoni non può non nascere l'amicizia (255b). L'amato sente che nessun altro, compresi i famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli offre questo amico posseduto da un dio.
Allora il flusso d’amore scorre dall’innamorato all’innamorato, li riempie e trabocca (e[xw ajporrei`, 255c). Il flusso della bellezza (tou` kavllou~ rJeu`ma) allora va e viene dall’uno all’altro
 Quindi la corrente di bellezza attraverso gli occhi raggiunge l'anima, la eccita al volo e irrora i condotti delle penne (ta;~ diovdou~ tw`n pterw`n) stimolando la crescita delle ali.

Se prevalgono gli elementi migliori dell'anima, questi si oppongono ai peggiori met j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se stessi, kai; kovsmioi.

Allora le parti più elevate dell’anima conducono a una vita ordinata e alla filosofia (256b).
Quindi, alla fine della vita, costoro hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche necessarie per tornare in cielo.
I due amanti che fanno l'amore, pur senza mettere le ali, sentono la sollecitazione a rivestirsene purché siano fedeli.
Ma l'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera grettezza e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di intelletto256e.
 Dunque, dice Socrate, Amore, io ho fatto la palinodia; tu non negarmi il tuo talento amoroso e fammi amare dai belli, più di prima:" divdou d j e[ti ma'llon h] nu'n para; toi'" kaloi'" tivmion ei\nai". Fai ravvedere anche Lisia e volgilo all'amore della sapienza come il fratello Polemarco. Lisia dunque è stato battuto perché non sa cosa sia l'amore.

 Ancora il Fedro di Platone. Alcuni altri particolari
 L’anima umana dunque è formata da tre parti: un auriga, un cavallo buono, di colore bianco, ben fatto, amante di gloria e di temperanza; e un cavallo nero, contorto massiccio, messo insieme a casaccio (eijkh`/,), amico della protervia e dell’impostura 253e. Il bianco è obbediente all’auriga (oJ me;n eujpeiqh;~ tw`/ hJniovcw/, 254a) ed è tenuto a freno dal pudore e si trattiene dal balzare addosso all’amato.
L’altro invece si porta avanti skirtw`n de; biva/, balzando con violenza. L’auriga e il bianco vengono trascinati e si sentono costretti a cose vergognose e inique. Giunti vicino all’amato, l’auriga ricorda la natura del Bello e lo vede collocato con la Temperanza (meta; swfrosuvnh~, 254b) su un piedistallo immacolato. Sicché l’auriga tira indietro le redini e i due cavalli devono piegarsi sulle cosce; il riottoso contro la sua volontà.
Quando riprende fiato, il cavallo nero lancia insulti con ira (ejloidovrhsen ojrgh`/, 254c) contro l’auriga e il compagno accusandoli di viltà e debolezza. Quindi riprende a tirare e trascina con impudenza (met j ajnaideiva~ e{lkei , 254d). Ma l’auriga tira indietro il freno del cavallo protervo con maggior forza e insanguina la lingua maldicente e le mascelle e gli fa piegare a terra le cosce. Dopo che questa mossa si è ripetuta più volte il malvagio fa cessare la sua protervia, umiliato dalla previdenza dell’auriga, e quando vede il bello si sente venir meno per la paura: kai; o{tan i[dh to;n kalovn, fovbw/ diovllutai (254e). 

Lo scopo cui tende amore, secondo Diotima del Simposio platonico è la procreazione nel bello secondo il corpo e secondo l'anima:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" ( 2O6b).

 Plotino riprende Platone.
 Le cose belle sono quelle congeniali alla Yuchv che è una manifestazione del Nou`~ il quale è il primo prodotto dell’Uno.

Plotino (205 - 270 d. C.): 6 Enneadi, ciascuna con 9 scritti.
Furono edite dal discepolo Porfirio che scrisse una Vita di Plotino.
La sesta parte della prima Enneade riguarda il bello: Peri; tou' kalou'. C’è il bello nella combinazione delle parole, nei ritmi, nella virtù. Alcune cose come i corpi sono belli non per la loro stessa sostanza, ajlla; meqevxei, per la loro partecipazione. La natura della virtù invece è bella per se stessa. Tutti affermano che la bellezza dei corpi consiste nella simmetria delle parti tra loro (summetriva tw'n merw'n pro;~ a[llhla). Simmetria e misura. Dottrina stoica. Per costoro il bello non è ajplou'n, semplice, ma composto da parti.
Teniamo conto che secondo Plotino noi giungiamo al Sommo, all’Essere originario (to; prw'ton) quando ci innalziamo al di sopra anche del pensiero in uno stato di e[kstasi~ e di a[plwsi~, di semplificazione. Per costoro, i colori, come la luce del sole, sarebbero privi di bellezza perché sono semplici. La simmetria poi può esserci anche tra pensieri cattivi, come quello secondo cui
 la temperanza sarebbe una sciocchezza e la giustizia una generosa ingenuità.
La virtù è una bellezza dell’anima senza che in lei ci siano parti simmetriche. Che cosa è dunque la bellezza dei corpi tiv dh'tav ejsti to; ejn toi'~ swvmasi kalovn; (2).
 L’anima respinge ciò che le è discordante ed estraneo. L’anima (Yuchv) è manifestazione del Nou'~ che è il primo prodotto dell’Uno. L’anima dunque si compiace di contemplare ciò che vede dello stesso genere suo (suggenev~) o le tracce del congeniale ( h] i[cno~ tou' suggenou'~). Allora gioisce e rimane stupita e lo riporta a se stessa e si ricorda di sé e di ciò che le appartiene (cfr. Fedro 250 e Simposio 209). Le bellezze inferiori e superiori hanno una oJmoivoth~, rassomiglianza in quanto in loro c’è la metochv ei[dou~, la partecipazione a una idea, a una forma.

Di nuovo Cicerone
Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis [4] ": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile. Lo stesso criterio si deve adottare nel vestire dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore. Lo stesso, abbiamo visto, afferma Seneca. 

La bellezza può essere quella del corpo, del viso, dei capelli, degli occhi: Properzio scrive “"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).

La bellezza può essere curata attraverso il cultus, ma anche trasandata secondo Ovidio : "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507 - 510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una dea.

La semplicità però, aggiunge Marziale[5], non deve essere rozza, sprovveduta e inopportuna ma voluta e conquistata. L’epigrammista la chiama prudens simplicitas (X, 47, 7) semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita (vitam quae faciant beatiorem , v. 1). Si sente comunque la lezione ovidiana: la simplicitas rudis (A. a. III, 113) non si confà alla Roma moderna.
Pirra è simplex munditiis ( Orazio, Odi I, 5, 5) semplice nell'eleganza.


Ancora Ovidio poi Seneca
Ovidio " nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta di un cultus misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio fra la mundities e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga.
Dunque, né rusticitas né effeminatezza"[6]. L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511 - 512).

Anche per Seneca è auspicabile la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia.
E' interessante notare che nella Repubblica di Platone la rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;" ajnh;r pevnh" hJliwvmeno" (556d) il quale è schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta carne superflua (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/ ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà e capisce che non vale nulla e che quindi il suo potere non è naturale.
In bocca al lupo! 
giovanni ghiselli



[1] Cfr. G. Pascoli, Digitale pupurea, 46
[2] Dante, PurgatorioXXVI, 84.
[3] Da sumforevw.
[4] Del 44 a. C.
[5] 40 ca. - 104 d. C.
[6]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 201.

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