Isocrate |
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Premessa
Ha detto bene Conte che occorre investire nella bellezza dell’italia. Qui
da noi, è vero, c’è la bellezza in diverse persone, in molti aspetti della natura,
in tanta arte, tuttavia non mancano bruttezza e volgarità. Queste andrebbero
ridotte. Invece si vogliono riaprire le discoteche, luoghi dove i ragazzi si
intontiscono con droghe varie, talora ne muoiono.
La bellezza si associa alla verità, invece la pubblicità è menzogna
sistematica e onnipresente. Per lo più reclamizza cose brutte e spesso pure
inutili, talora perfino dannose.
Grande parte dell’informazione entra nella stessa categoria del
falso. Ora che in nome della dea economia si vuole riaprire tutto e presto,
ogni giorno la televisione diffonde dispacci bugiardi: dice che i contagiati
calano di numero, mentre, semmai quando va bene, sono cresciuti un poco meno
del giorno prima. Di fatto il numero degli ammalati e dei morti aumenta ogni
giorno e non è il caso di aprire le discoteche né altri brutti siti di
trasgressioni disordinate. Luoghi che penalizzano il logos: non vi si può
nemmeno parlare umanamente.
Dopo questa premessa aggiungo alcune idee di autori sulla bellezza.
Potrebbero esservi utili, ragazze e ragazzi maturandi, durante l’esame.
Vi do un’occasione per imparare qualcosa e riferirla ai commissari che vi
ascoltano.
Saluti cari a tutti quanti sono impegnati in questa prova
Leggiamo dunque che si dice della bellezza in qualche nostro “libro
buono”[1]
Isocrate celebra la potenza della bellezza incarnata in Elena.
Elena ebbe la maggior parte delle
prerogative della bellezza che è il più nobile, il più prezioso e il più divino
dei beni (Encomio di Elena, 64):.
Le cose che
non hanno bellezza non possono essre amate; anzi vengono piuttosto disprezzate
La bellezza
è superiore a tutte le cose esistenti (55). Verso chi porta altre qualità
possiamo provare invidia; mentre nei confronti dei belli siamo benevoli (eu\noi, 56 ) al primo vederli e li
onoriamo come gli dèi.
Preferiamo
asservirci a uno bello che comandare sugli altri (57)
Anche Zeus
il kratw`n pavntwn (59)
il signore dell’Universo, divenne umile nell’accostarsi alla bellezza e prese
varie forme per unirsi a lei: pioggia con Danae (e nacque Perseo), cigno con
Nemesi (Elena), Anfitrione con Alcmena (Eracle)..
Elena
dimostrò la sua potenza (duvnamn) a Stesicoro che scrisse la Palinodia dopo
avere usato parole irriverenti verso di lei che lo rese cieco.
Ancora Isocrate: la bellezza delle parole ( Panegirico,
47 - 49).
Tîn
d lÒgwn tîn kalîj kaˆ tecnikîj
™cÒntwn
oÙ metÕn to‹j faÚloij,
¢ll¦
yucÁj eâ fronoÚ-
shj
œrgon Ôntaj,
kaˆ
toÚj te sofoÝj kaˆ toÝj
¢maqe‹j
dokoàntaj enai taÚtV ple‹ston ¢ll»lwn diafš-
rontaj,
œti
d toÝj eÙqÝj ™x ¢rcÁj ™leuqšrwj teqram-
mšnouj
™k mn ¢ndr…aj kaˆ ploÚtou kaˆ tîn toioÚtwn
¢gaqîn
oÙ gignwskomšnouj,
™k
d tîn legomšnwn m£lista
katafane‹j
gignomšnouj,
kaˆ
toàto sÚmbolon tÁj paideÚ-
sewj
¹mîn ˜k£stou pistÒtaton ¢podedeigmšnon,
kaˆ
toÝj
lÒgJ
kalîj crwmšnouj oÙ mÒnon ™n ta‹j aØtîn dunamšnouj,
¢ll¦
kaˆ par¦ to‹j ¥lloij ™nt…mouj Ôntaj.
Dei discorsi belli e ben costruiti non hanno
parte gli sciocchi, ma essi
sono opera di una mente capace di pensare.
Le persone reputate sagge e quelle ritenute ignoranti, sono
differenti tra loro soprattutto in questo, e coloro i quali sono stati educati
da persone libere, non si riconoscono dal coraggio, e dalla ricchezza e da
altri beni del genere, ma riescono
evidenti soprattutto dai loro discorsi, e questo è il segno più sicuro e rivelatore dell’educazione di ciascuno
di noi
Quelli i quali impiegano con bellezza
l’eloquenza non solo sono potenti nelle loro città, ma vengono onorati anche
presso gli altri.
Altro punto di vista: Teognide
Il bello (kalòn ) è il valore supremo, ed esso coincide con il morire per la patria
" è bello morire (Teqnavmenai
ga;r kalovn) da uomo valoroso cadendo tra
i primi
e combattendo per la propria patria"(fr. 10 W., vv.1 - 2).
Vediamo dal De officiis di Cicerone che cosa è il decōrum, il prevpon, ciò che si addice a una persona
per bene.
Coincide con
l’honestum.
Quello che
decet è agire prudenter, considerate, con prudenza e ponderazione,
mentre dedecet falli, errare, labi lasciarsi andare, decipi .
E’ decorum quello
che si compie viriliter animoque magno (I, 94).
Del decorum fanno parte moderatio et temperantia,
moderazione ed equilibrio. La natura ha assegnato al personaggio uomo partes
constantiae, moderationis, temperantiae, verecundiae, e ci insegna a non
trascurarle. La pulchritudo corporis è data dall’apta
compositio
membrorum (I, 98),
dalla proporzionata disposizione delle membra, quando inter se omnes
partes cum quodam lepōre consentiunt, costituiscono un insieme armonico con
una certa piacevolezza. Così lo stile di una persona deve essere
caratterizzato ordine et constantia et moderatione dictorum omnium et
factorum. Dunque il decorum, quod decēre dicimus, è non violare,
non offendere homines.
Fondamentale
è l’armonia con la natura quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus (I,
100). Bisogna approvare motus corporis qui ad naturam apti sunt e
pure motus animi qui item ad naturam accomodati sunt, appropriati.
L’appetitus, oJrmhv, deve obbedire alla ratio. Non siamo bruti e non dobbiamo
vivere “seguendo come bestie l’appetito”[2]. Efficiendum autem est, ut appetitus rationi
oboediant (I, 101).
In queste
parole c’è anche è la paura dell’istinto che Nietzsche considera sintomo della
decadenza. Una paura che risalirebbe a Platone ammaestrato da Socrate.
Nel Fedro di Platone l’appetitus è raffigurato nel
cavallo nero che è brutto: skoliov~, storto, poluv~, grosso, eijkh'/
sumpeforhmevno~[3], ammassato a casaccio, kraterauvchn, di collo grosso, bracutravchlo~, dal collo corto, simoprovswpo~, dal muso schiacciato, melavgcrw~, di pelo nero, glaukovmmato~, dagli occhi chiari (grigio - azzurri), u{faimo~, sanguigno, u{brew~ kai;
ajlazoneiva~ eJtai'ro~, compagno della prepotenza e della iattanza, peri; w\ta
lavsio~ , villoso
intorno alle orecchie, kwfov~, ottuso, mavstigi meta; kevntrwn movgi~ uJpeivkwn, una bestia che a stento si
assoggetta a una frusta con pungoli.
Nel sistema platonico il cavallo bianco è lo qumoeidev~, la parte irascibile che si allea alla razionalità, logistikovn, contro il cavallo nero, l’ejpiqumhtikovn, l’elemento appetitivo.
Per
comprendere questo bisogna vedere com'è la natura dell'anima.
E' immortale
poiché si muove da sola: yuch; pa'sa ajqavnato"/ : to; ga;r aujtokivneton
ajqavnaton.
Descriviamola con immagini: assimilandola alla potenza della stessa natura di
una coppia di cavalli alati e di un auriga. Uno dei cavalli però non è buono.
L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il nero l'appetito.
Il cavallo
bianco è bello, buono e di buona razza, l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o
me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo""(Fedro,
246c).
Le anime
seguono gli dèi in una processione festiva intorno al cielo e danno ordine alle
cose. La meta del giro è la piana della realtà ( jAlhqeiva"
pedivon, 248b) dove
la processione si ferma e gode di un riposo sabbatico. Nella pianura c'è il
pascolo congeniale alla parte migliore dell'anima. Questa piana si trova fuori
dall'Empireo: è un uJperouravnio" tovpo" (247c), un sito sopraceleste dove si
trovano le idee: essenze che essenzialmente sono, senza colore, figura,
toccabilità. A volte, per colpa dell'auriga che non riesce a controllare il
cavallo nero, gli uomini cadono in terra e non tornano in cielo finché non
siano ricresciute le ali che si possono riottenere mediante il ricordo delle idee.
Chi segue tali ricordi è un entusiasta. L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile
ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.
La bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più
manifesta e amabile qua sulla terra. Del resto nella pianura della
realtà, met’ ejkeivnwn, tra
quelle idee, e[lampen o[n, brillava
come essere (Fedro, 250d).
Chi
vede una bella persona e ricorda la bellezza ideale, la contempla e venera
religiosamente, e gli spuntano le ali.
Il ricordo
fa crescere l’ala attraverso tutta l’anima: pa'sa ga;r to; pavlai pterwthv (251b), infatti un tempo
l’anima era tutta alata.
Se invece
uno non è un nuovo iniziato (mh; neotelhv~) o è corrotto (diefqarmevno~), non si eleva da quaggiù a lassù ejnqevnde
ejkei'se, verso la
bellezza in sé (pro;~ aujto; to; kavllo~), sicché non onora la bellezza,
ma hJdonh'/ paradou;~ tetravpodo~ novmon, dandosi al piacere secondo l’uso delle bestie, cerca di montare e di
seminar figlioli (baivnein ejpiceirei' kai; paidosporei'n, 250e), oppure si dà a rapporti
contro natura.
Vedendo la
bellezza, ci ricordiamo di quando eravamo ajpaqei'" e kaqaroiv, senza dolori e puri, e
contemplavamo, ejpopteuvonte", intere, semplici, immobili e beate visioni favsmata , in pura luce e non eravamo
marchiati da questa tomba che ora portiamo in giro e chiamiamo corpo, chiusi al
modo di ostriche (250). Ognuno si innamora di una bellezza che gli ricorda il
dio che seguiva. Chi andava dietro a Zeus è attirato da un amante filosofov"
te kai; hJgemoniko;" th;n fuvsin, 252e.
Si tende a
dare all'amato la natura del proprio dio.
Il cavallo
nobile è bello, pudìco e ragionevole e si lascia guidare senza la frusta, con
l'uso della ragione; è di figura diritta e snella, ha il mantello bianco, gli
occhi neri e ama la gloria.
L'altro
ha una struttura contorta e massiccia, mantello nero e occhi chiari, è
insolente, vanitoso e peloso fino alle orecchie.
Questo porta
l'amante verso l'amato.
L'auriga
quando vede la bellezza, cade riverso all'indietro. Allora il cavallo bianco,
smarrito, inonda di sudore l'anima intera, ma il nero infuria, rizza il collo e
la coda ( ejgkuvya~ kai; ejkteivna~ th;n kevrkon) e tira avanti impudico:"met j ajnadeiva"
e{lkei"254d.
L'auriga
tira indietro il morso, gli insanguina la lingua malvagia e le mascelle e lo dà
in preda ai dolori. Allora il cavallo brutto e cattivo si lascia frenare, e
quando vede la bellezza muore dalla paura (254 e)
Così l'amato
diviene oggetto di culto e accoglie l'innamorato presso di sé: infatti tra i
buoni non può non nascere l'amicizia (255b). L'amato sente che nessun altro,
compresi i famigliari, può offrirgli qualcosa di paragonabile a quanto gli
offre questo amico posseduto da un dio.
Allora il
flusso d’amore scorre dall’innamorato all’innamorato, li riempie e trabocca (e[xw ajporrei`, 255c). Il flusso della bellezza (tou` kavllou~
rJeu`ma) allora va
e viene dall’uno all’altro
Quindi
la corrente di bellezza attraverso gli occhi raggiunge l'anima, la eccita al
volo e irrora i condotti delle penne (ta;~ diovdou~ tw`n pterw`n) stimolando la crescita delle ali.
Se
prevalgono gli elementi migliori dell'anima, questi si oppongono ai
peggiori met j aijdou'" kai; lovgou, con pudore e ragione, ed essi
sono ejgkratei'" auJtw'n, padroni di se stessi, kai; kovsmioi.
Allora le
parti più elevate dell’anima conducono a una vita ordinata e alla filosofia
(256b).
Quindi, alla
fine della vita, costoro hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche
necessarie per tornare in cielo.
I due amanti
che fanno l'amore, pur senza mettere le ali, sentono la sollecitazione a
rivestirsene purché siano fedeli.
Ma
l'intimità con chi non ti ama, dispensando beni mortali e meschini, genera
grettezza e condanna l'anima a rotolare per novemila anni priva di
intelletto256e.
Dunque,
dice Socrate, Amore, io ho fatto la palinodia; tu non negarmi il tuo talento
amoroso e fammi amare dai belli, più di prima:" divdou d j e[ti
ma'llon h] nu'n para; toi'" kaloi'" tivmion ei\nai". Fai ravvedere anche Lisia e
volgilo all'amore della sapienza come il fratello Polemarco. Lisia dunque è
stato battuto perché non sa cosa sia l'amore.
Ancora il Fedro di Platone. Alcuni altri particolari
L’anima
umana dunque è formata da tre parti: un auriga, un cavallo buono, di colore bianco, ben fatto, amante di
gloria e di temperanza; e un cavallo nero, contorto massiccio, messo
insieme a casaccio (eijkh`/,), amico della protervia e dell’impostura 253e. Il
bianco è obbediente all’auriga (oJ me;n eujpeiqh;~ tw`/ hJniovcw/, 254a) ed è tenuto a freno dal
pudore e si trattiene dal balzare addosso all’amato.
L’altro
invece si porta avanti skirtw`n de; biva/, balzando con violenza. L’auriga e il bianco vengono
trascinati e si sentono costretti a cose vergognose e inique. Giunti vicino
all’amato, l’auriga ricorda la natura del Bello e lo vede collocato con la
Temperanza (meta; swfrosuvnh~, 254b) su un piedistallo immacolato. Sicché
l’auriga tira indietro le redini e i due cavalli devono piegarsi sulle cosce;
il riottoso contro la sua volontà.
Quando
riprende fiato, il cavallo nero lancia insulti con ira (ejloidovrhsen
ojrgh`/, 254c) contro l’auriga e il compagno
accusandoli di viltà e debolezza. Quindi riprende a tirare e trascina con
impudenza (met j ajnaideiva~ e{lkei , 254d). Ma l’auriga tira indietro
il freno del cavallo protervo con maggior forza e insanguina la lingua
maldicente e le mascelle e gli fa piegare a terra le cosce. Dopo che questa
mossa si è ripetuta più volte il malvagio fa cessare la sua protervia, umiliato
dalla previdenza dell’auriga, e quando vede il bello si sente venir meno per la
paura: kai; o{tan i[dh to;n kalovn, fovbw/ diovllutai (254e).
Lo scopo cui
tende amore, secondo Diotima del Simposio platonico
è la procreazione nel bello secondo il corpo e secondo l'anima:"tovko" ejn
kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" ( 2O6b).
Plotino riprende Platone.
Le cose belle sono quelle congeniali alla Yuchv che è una manifestazione del Nou`~ il quale
è il primo prodotto dell’Uno.
Plotino (205 - 270 d. C.): 6 Enneadi, ciascuna con 9 scritti.
Furono edite dal discepolo Porfirio che scrisse una Vita di Plotino.
La sesta parte della prima Enneade riguarda il
bello: Peri; tou' kalou'. C’è il bello nella
combinazione delle parole, nei ritmi, nella virtù. Alcune cose come i corpi
sono belli non per la loro stessa sostanza, ajlla; meqevxei, per la loro partecipazione. La
natura della virtù invece è bella per se stessa. Tutti affermano che la
bellezza dei corpi consiste nella simmetria delle parti tra loro (summetriva tw'n
merw'n pro;~ a[llhla). Simmetria
e misura. Dottrina stoica. Per costoro il bello non è ajplou'n, semplice, ma composto da parti.
Teniamo
conto che secondo Plotino noi giungiamo al Sommo, all’Essere originario (to; prw'ton) quando ci innalziamo al di sopra
anche del pensiero in uno stato di e[kstasi~ e di a[plwsi~, di semplificazione. Per
costoro, i colori, come la luce del sole, sarebbero privi di bellezza perché
sono semplici. La simmetria poi può esserci anche tra pensieri cattivi, come
quello secondo cui
la
temperanza sarebbe una sciocchezza e la giustizia una generosa ingenuità.
La virtù è
una bellezza dell’anima senza che in lei ci siano parti simmetriche. Che cosa è dunque la bellezza dei corpi tiv dh'tav ejsti to; ejn toi'~ swvmasi kalovn; (2).
L’anima
respinge ciò che le è discordante ed estraneo. L’anima (Yuchv) è manifestazione del Nou'~ che è il primo prodotto
dell’Uno. L’anima dunque si compiace di contemplare ciò che vede dello stesso
genere suo (suggenev~) o le tracce del congeniale ( h] i[cno~ tou'
suggenou'~). Allora
gioisce e rimane stupita e lo riporta a se stessa e si ricorda di sé e di ciò
che le appartiene (cfr. Fedro 250 e Simposio 209). Le bellezze inferiori e superiori hanno
una oJmoivoth~, rassomiglianza
in quanto in loro c’è la metochv ei[dou~, la
partecipazione a una idea, a una forma.
Di nuovo Cicerone
Cicerone
consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del
galateo nel De officiis [4] ": quae sunt recta et simplicia
laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est,
color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa
nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam
neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus,
mediocritas optima est " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la
dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore
dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere
impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la
trascuratezza contadinesca e incivile. Lo stesso criterio si deve adottare nel
vestire dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la
migliore. Lo stesso, abbiamo visto, afferma Seneca.
La bellezza può essere quella del corpo, del viso, dei capelli, degli
occhi: Properzio scrive
“"si
nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
La bellezza
può essere curata attraverso il cultus, ma anche trasandata secondo Ovidio : "Forma viros
neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus
acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat
bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat "
(Ars amatoria, I,
vv. 507 - 510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la
figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie;
Fedra amò Ippolito e non era gran
che curato; Adone avvezzo alle selve era oggetto d'amore di una dea.
La
semplicità però, aggiunge Marziale[5], non deve essere rozza, sprovveduta e inopportuna ma
voluta e conquistata. L’epigrammista la chiama prudens simplicitas (X,
47, 7) semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita
(vitam quae faciant beatiorem , v. 1). Si sente comunque la lezione
ovidiana: la simplicitas rudis (A. a. III, 113) non si
confà alla Roma moderna.
Pirra
è simplex munditiis ( Orazio, Odi I, 5,
5) semplice nell'eleganza.
Ancora Ovidio poi Seneca
Ovidio " nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta
di un cultus misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello
stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l'uomo egli rifiuta un
trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi
servitori di Cibele (Ars I 505 sgg.): l'ideale virile è un equilibrio
fra la mundities e la robustezza data dagli esercizi del Campo
Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora
Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga.
Dunque, né rusticitas né effeminatezza"[6]. L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al
Campo Marzio; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511 - 512).
Anche per Seneca è auspicabile
la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5,
3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia.
E' interessante notare che nella Repubblica di Platone la
rivolta contro l'oligarchia parte dal povero snello e abbronzato ijscno;"
ajnh;r pevnh" hJliwvmeno" (556d) il
quale è schierato in battaglia accanto al ricco cresciuto nell'ombra con molta
carne superflua (paratacqei;" ejn mavch/ plousivw/
ejskiatrofhkovti, polla;" e[conti savrka" ajllotriva"), lo vede pieno di affanno e difficoltà e capisce che non vale nulla e che
quindi il suo potere non è naturale.
In bocca al lupo!
giovanni ghiselli
[1] Cfr. G. Pascoli, Digitale pupurea, 46
[2] Dante, Purgatorio, XXVI, 84.
[4] Del 44 a. C.
[5] 40 ca. - 104 d. C.
[6]A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana ,
p. 201.
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