Arturo Martini, Tito Livio |
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La storia comunque fornisce esempi, modelli
e contromodelli.
Secondo Tito Livio[26] la conoscenza della tradizione
storica è necessaria per l'educazione delle persone: essa fornisce a chi la
possiede il grande strumento dei modelli positivi da imitare, e di quelli
negativi da respingere:"Hoc illud est praecipue in cognitione rerum
salūbre ac frugiferum, omnis te exempli documenta in inlustri posita monumento
intueri: inde tibi tuaeque rei publicae quod imitēre capias, inde foedum
inceptu, foedum exitu quod vites"[27], questo soprattutto è salutare e
produttivo nella conoscenza della storia: che tu consideri attentamente esempi
di ogni tipo situati in una tradizione illustre: di qui puoi prendere quanto
c'è da imitare per te e per il tuo Stato, di qui quello che c'è da evitare in
quanto turpe nel movente, turpe nel risultato.
Tito Livio
nella Praefatio (11) celebra il passato remoto come il tempo
della grandezza:"nulla umquam res publica nec maior nec sanctior nec
bonis exemplis ditior fuit ", mai nessuno Stato fu più grande né
più virtuoso né più ricco di buoni esempi, e preferisce i fatti antichi al
punto che, nel raccontarli, scrive più avanti il mio animo diviene,
misteriosamente, antico:"Ceterum
et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus "(XLIII, 13, 2).
La guerra
più grande, per i mezzi e le energie impiegate, è stata quella annibalica. Nel
proemio alla seconda guerra punica Livio scrive:"Nam neque validiores
opibus ullae inter se civitates gentesque contulerunt arma, neque his ipsis
tantum umquam virium aut roboris fuit "(XXI, 1), infatti né
alcune altre città e popoli più possenti per i mezzi combatterono, né mai
queste stesse ebbero tanta forza e vigore.
“Livio:
nella cui praefatio domina l’esaltazione della storia romana,
argomento proprio dell’opera sua: nulla umquam res publica nec maior
nec sanctior…(Liv. Praef. 11); ed anzi, per ciò, la storia
antica è da Livio - a differenza di Tucidide - di gran lunga preferita alla
moderna (Liv. praef. 5)”[28].
Anche
Tacito, negli Annales, antepone la storia e la storiografia antica,
quella della repubblica, ricca di grandi personaggi e grandi avvenimenti, alla
recente, di minor levatura:" Pleraque eorum quae rettuli quaeque
referam parva forsitan et levia memoratu videri non nescius sum "(
IV, 32), mi rendo conto che la maggior parte degli avvenimenti che ho riferito
e riferirò appaiono forse piccoli e indegni di ricordo; mentre chi espose il
passato narrò "ingentia bella...expugnationes urbium, fusos captosque
reges ", grandi guerre, città espugnate, re sbaragliati e fatti
prigionieri, per quanto riguarda la politica estera, e nell'interna"discordias
consulum adversum tribunos, agrarias frumentariasque leges, plebis et
optimatium certamina libero egressu memorabant ", raccontavano
conflitti tra consoli e tribuni, leggi agrarie e frumentarie, lotte tra plebei
e patrizi, spaziando liberamente. Quindi la fatica dei contemporanei si occupa
di un campo ristretto ed è senza gloria:" nobis in arto et inglorius labor" . Lo stesso contenuto
della storia si restringe nel passaggio dalla repubblica all'impero.
“Come
Sallustio[29], anche Tacito pensava spesso in termini di antica grandezza e di
sopravvenuta decadenza”[30].
“Ma
soprattutto: c’è una linea unitaria, come un filum, che nella
storiografia romana conduce da Catone a Sallustio a Tacito. Questi tre storici
insistono particolarmente sulla disciplina et vita dell’Italia
(Catone), sulla cura degli antichi pro Italica gente (Sallustio),
sulla necessità di conservare l’antiquus mos italico e di impedire
- per una malintesa tendenza provinciale - il decadimento economico dell’Italia
(Tacito)…il filum Catone - Sallustio - Tacito è per eccellenza
significativo nella storia della storiografia romana”[31]. Direi che questo filum passa
anche per Tito Livio che celebra gli antiqui mores e lamenta
il decadere della disciplina e il dilagare dei vizi con l’avvento della
ricchezza e del lusso: “ad illa mihi pro se quisque acriter intendat animum,
quae vita, qui mores fuerint, per quos viros quibusque artibus domi militiaeque
et partum et auctum imperium sit; labente deinde paulatim disciplina velut
desidentes primo mores sequatur animo, deinde ut magis magisque lapsi sint, tum
ire coeperint praecipites, donec ad haec tempora , quibus nec vitia nostra nec
remedia pati possumus, perventum est” (Praefatio, 9), a quegli
aspetti ciacuno rivolga attenzione con acutezza, quale tipo di vita, quali sono
stati i costumi, gli uomini e le capacità attraverso i quali l’impero è stato
creato e ingrandito; poi mi si segua con attenzione per vedere come, decadendo
poi un poco alla volta la disciplina, rilassandosi in un primo tempo i costumi,
siano poi scivolati sempre più in basso, poi abbiano preso a cadere a
precipizio, finché si è giunti a questi tempi, nei quali si è giunti al punto
che non possiamo sopportare né i vizi né i rimedi.
Polibio[32] nel Proemio delle sue Storie afferma che per gli
uomini non c'è nessuna correzione (diovrqwsi") più disponibile che la conoscenza
dei fatti passati (th'" tw'n progegenhmevnwn pravxewn
ejpisthvmh" , 1,
1).
Vediamo un
suggerimento correttivo applicato a un naufragio che la flotta romana subì nel
255 nei pressi di capo Passero, durante la prima guerra punica. Delle loro 364
navi solo 80 si salvarono.
Ebbene, gli
insuccessi potranno esserci ancora poiché i Romani affrontano ogni cosa con
violenza (crwvmenoi biva/, I, 37, 7) e ritengono che nulla sia per loro impossibile. Da una
parte essi hanno successo grazie a un simile slancio (dia; th;n
toiauvthn oJrmhvn), ma a
volte falliscono in modo evidente, soprattutto nelle imprese sul mare. Dunque i
disastri potranno ripetersi finché questi vincitori di uomini non correggeranno
tale audacia e violenza e{w~ a[n povte diorqwvswntai toiauvthn tovlman kai;
bivan (I, 37, 10)
per cui credono di poter navigare e marciare in qualsiasi stagione.
Gli
storiografi insomma sono educatori e perfino benefattori del genere umano
Le Storie dopo Polibio di Posidonio
(andavano dal 143 al 70) non sono conservate, ma ve ne è traccia notevole nella
benemerita Biblioteca di Diodoro[33]: e soprattutto nel proemio diodoreo sono sviluppati pensieri che sembrano
risalire appunto al proemio posidoniano. Innanzi tutto l'idea stoica della storia universale come
proiezione della fratellanza universale che collega in un nesso
solidale - come membra di un unico corpo, secondo l'espressione senechiana - tutti
gli esseri umani. La storia universale "riconduce ad un'unica compagine
gli uomini, divisi tra loro nello spazio e nel tempo, ma partecipi di un'unica
reciproca parentela" (Diodoro, I, 1, 3). Oltre che "strumento della
provvidenza (uJpourgoi; th'" qeiva" pronoiva") ", perciò gli storici sono anche benefattori del genere umano: e la
storiografia - prosegue Diodoro - oltre ad essere profh'ti"
th'" ajlhqeiva" è anche "madrepatria della filosofia (mhtrovpoli"
th'" filosofiva")" (I, 2, 2) )”[34].
Diodoro aggiunge che bisogna supporre (uJpolhptevon) che la storia abbia il potere di attrezzare i caratteri per la kalokajgaqiva. La storia ha immortalato le qualità degli eroi. Gli altri monumenti
durano poco tempo, mentre la forza della storia ha nel tempo un custode che
veglia della sua eterna trasmissione ai posteri. L’arte della parola è divisa
in più parti e accade che l’arte poetica allieti più che giovare (sumbaivnei th;n me;n poihtikh;n tevrpein ma'llon h[per w'felei'n, I, 2,
7), la legislazione punisca, ma non educhi, e altri generi non contribuiscono
alla felicità, altri mescolano il danno al vantaggio, altri falsificano la
verità, mentre la storia, siccome in essa le parole si accordano ai fatti (sumfwnouvntwn ejn aujth'/ tw'n lovgwn toi'~ e[rgoi~)
comprende nei suoi scritti tutti gli altri vantaggi. Essa esorta gli uomini
alla giustizia, denunciando le persone ignobili ed encomiando quelle di valore
e fornisce una grandissima esperienza ai lettori (8).
Anche una
città o una costituzione può essere esemplare: è il caso della politeivva ateniese secondo il Pericle
di Tucidide[35] il quale viceversa privilegia la vicinanza
nel tempo poiché "faceva dell'esperienza diretta il primo requisito di una
storiografia seria"[36] ; inoltre lo storico antico considera superiore l'importanza
dell'ultimo conflitto rispetto a tutti i precedenti per la maggior quantità
delle forze economiche e militari entrate in campo. :"Crwvmeqa ga;r
politeiva/ ouj zhlouvsh/ tw'n pevla" novmou", paravdeigma de; ma'llon
aujtoi; o[nte" h] mimouvmenoi eJtevrou"" (II, 37, 1), infatti ci avvaliamo di una
costituzione che non invidia le leggi dei vicini, poiché siamo noi esemplari
piuttosto che imitatori di altri. Il modello pericleo è quello della democrazia
diretta: una governo retto da un uomo colto scelto da un popolo colto che si
lasciava guidare[37] , che andava a teatro a vedere i drammi di Eschilo, Sofocle,
Euripide, Aristofane e altri autori di tale livello.
Analogo
frutto si può cogliere dalle biografie di Plutarco[38] il quale suggerisce di utilizzare le sue Vite parallele quali
modelli positivi o negativi: infatti si dà catarsi non solo assimilando il
valore, ma anche respingendo i vizi; questo accade ponendosi di fronte alla
storia come davanti a uno specchio (w{sper ejn ejsovptrw/), sia imitando la virtù degli
uomini grandi e buoni, il cui esempio aiuta a respingere quella dose eventuale
di pochezza (" ei[ ti fau'lon") o malvagità ("h] kakovhqe"") o volgarità (" h] ajgennev"" ), che le compagnie di coloro
con i quali si deve vivere vi insinuano ("aiJ tw'n
sunovntwn ejx ajnavgkh" oJmilivai prosbavllousin"), sia prendendo quali contromodelli
uomini grandi e cattivi[39]. Queste parole indicano, tra l’altro, gli antivalori della malvagità e
della volgarità.
"E' una concezione che ha qualche punto in comune
con l'idea aristotelica della catarsi - commenta Canfora[40] - , dell'analogia che lo spettatore (in questo caso il lettore) istituisce
tra se medesimo ed i paqhvmata dell'eroe al
quale si accosta".
Catarsi e mimesi nell’Amleto di
Shakespeare.
Non molto
diversamente l’Amleto di Shakespeare che dice: “I have heard - that
guilty creatures, sitting at a play, - have, by the very cunning of the scene,
- been struck so to the soul that presently - they have proclaim’d their
malefactions” (Hamlet, II, 2), io ho udito che delle persone
colpevoli, davanti a un dramma, sono state colpite, dall’abilità della scena,
fin dentro l’anima, in maniera tale che hanno confessato subito i loro
misfatti.
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[26] 59 a. C.
- 17 d. C. Ha scritto Ab Urbe condita libri. L’opera comprendeva
142 libri che partivano dalle origini mitiche e arrivavano al 9 a. C. Ci sono
arrivati i primi dieci, poi quelli dal 21 al 45 e frammenti degli altri.
[28] S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, 3, p. 14
[29] Cfr. cap. 40 e cap. 48 (ndr).
[30] S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, 2, p. 464.
[31] S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, 2, p. 459 e p. 460.
[32] 200 ca - 118 ca a. C. Scrisse Storie che
trattavano il periodo compreso tra il 264 e il 146 a. C. Ci sono arrivati i
primi 5 integrali; degli altri possediamo epitomi e frammenti, anche
consistenti (in particolare quelli dei libri VI - XVIII).
[33]Vissuto nel I sec. a. C. è autore
della Biblioteca storica, una grande compilazione di storia
universale. Andava dalle origini all’età di Giulio Cesare. Constava di 40
libri. Ce ne sono arrivati i primi cinque e frammenti degli altri (n. d. r.).
[34] Canfora, Storia Della
Letteratura Greca , p. 528
[35] Ateniese, visse tra il il 460
ca e il 400 ca a. C. Scrisse la Storia della Guerra del Peloponneso in
8 libri che raccontano, dopo una breve introduzione, con proemio, capitoli
metodologici, archeologia, pentecontaetia, gli anni dal 431 all’autunno del
411. Gli anni successivi della grande guerra tra i Greci si trovano nelle Elleniche di
Senofonte probabilmente composte su carte tucididèe.
[36]A. Momigliano, Lo sviluppo
della biografia greca , p. 51
[37] Tucidide fa l'elogio finale di
Pericle dicendo che era incorruttibile al denaro e teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to;
plh'qo" ejleuqevrw"") e non si faceva condurre più
di quanto la conducesse ( Storie, II, 65, 8).
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