La
conoscenza della tradizione richiede il senso storico: the historical sense "involves
a perception not only of the pastness of the past, but of its presence"[1], il senso storico implica la
percezione non solo della passatezza del passato, ma anche della sua presenza.
Insomma la
topica, o arte dei luoghi, presuppone la conoscenza della storia.
Argomenti
Lo studio della storia presenta varie possibilità di approccio: da
quello politico ed economico, al sociologico, all’antropologico, allo
psicologico. Rostovzev. Auerbach. S. Mazzarino su Tucidide e Tacito con la
crisi dell’agricoltura italica. La storia degli anelli d’oro in Plinio il
Vecchio e nel Satyricon.
Luperini: il legame profondo e necessario tra disciplinarità e
interdisciplinarità. La necessità della conoscenza dei contenuti. La SSIS (la
Mastrocola e il sottoscritto). La storia esemplare con modelli e contromodelli.
Tito Livio, Tacito e la grandezza del passato rispetto alla sopravvenuta
decadenza. Il filum di tradizionalismo che unisce Catone - Sallustio
- Livio e Tacito. Polibio: la storia come correzione (diovrqwsi"). Posidonio e Diodoro: gli storiografi quali benefattori
dell’umanità. Tucidide e la maggiore grandezza del presente. Plutarco e i suoi
estimatori: Montaigne, Shakespeare, Vittorio Alfieri, Foscolo, Nietzsche e la
storia monumentale. Seneca (Naturales quaestiones) sconsiglia di
proporre contromodelli. Machiavelli e Guicciardini. Le interpretazioni
contrastive della Storia inducono il giovane a pensare. Vite composite e
variopinte. Proust. Le Vite di Demetrio Poliorcete e di
Antonio secondo Plutarco. Luciano e la processione della Tuvch. Mussolini e il colonnello Aureliano Buendía di Márquez.
Dalla
storia si possono ricavare tanti e vari argomenti: l'economia, la politica
istituzionale, la psicologia, secondo i gusti di chi la insegna e di chi deve
impararla. Ci furono anni, quando era di moda il marxismo, nei quali era
obbligatorio il discorso economico - strutturale; ora che Marx è stato messo in
soffitta, si preferiscono le sovrastrutture. Quindi sono passati in secondo
piano i "severi/economici studi" e vale più "il proprio
petto/esplorar"[3].
Se una
volta, dietro richiesta dei ragazzi, si studiava il Rostovzev[4] prima ancora di leggere
Tacito, ora si cerca l'approccio antropologico, o si studia la psicologia della
fanciulla Ottavia, che era costretta a celare i propri sentimenti, o si fa
notare il determinismo geografico.
La storiografia antica si presta comunque a
letture diverse. Auerbach sostiene
che gli antichi "non vedono forze, bensì vizi e virtù, successi ed errori;
la loro impostazione del problema non è evoluzionistica né nei riguardi dello
spirito né in quelli della materia; è invece moralistica"[5].
S. Mazzarino invece
ritiene che al pensiero storico classico non manchi un'ampia e approfondita
considerazione dei fatti economici:"Basta pensare, per es.,
all'archeologia di Tucidide, tutta fondata su aJcrhmativa[6] e crhmavtwn th;n
kth'sin[7]; concetti che lì sono fondamentali, non già semplici
riferimenti. Tacito (…) Plinio il Vecchio (…) hanno interpretato con acutezza i
fatti sociali dell'epoca giulio - claudia"[8]. Si pensi alla crisi
dell’agricoltura italica dovuta all’estendersi dei latifondi; per esempio: latifundia
perdidere Italiam" scrive Plinio
il Vecchio[9].
Per quanto riguarda l’autore degli Annales[10]:"Questa idea della crisi economica dell'Italia
domina il pensiero di Tacito,
e dà ad esso toni di tristezza profonda: infatti, la ritroviamo in un passo
degli Annali, XII, 43, meritatamente celebre”[11]:"at
hercule olim Italia legionibus longiquas in provincias commeatus portabat, nec
nunc infecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus,
navibusque et casibus vita populi Romani permissa est ", eppure,
per Ercole, una volta l'Italia mandava vettovaglie per le legioni in province
lontane, né oggi la terra soffre di sterilità, ma noi preferiamo far coltivare
l'Africa e l'Egitto, e la vita del popolo romano è affidata ai rischi della
navigazione.
Lo storico si riferisce all’ultimo periodo del principato
di Claudio (41 - 54), ma già Ottaviano Augusto temeva che le campagne
rimanessero non coltivate a causa dell'ozio della plebe, e decise di abolire le
distribuzioni frumentarie:"quod earum fiduciā cultură agrorum cessaret " [12], poiché, confidando in queste, la gente trascurava la
coltivazione dei campi. Tuttavia l'imperatore non perseverò nel proponimento.
Poi "Una grande crisi scoppiò nel 33 d. C. : i latifondi coltivati da
schiavi rendevano impossibile una qualunque concorrenza da parte di piccoli
proprietari; questi si erano indebitati, ricorrendo a prestiti di latifondisti
senatori, sebbene ai senatori fosse proibita l'usura…Ne derivò la rovina di
molti piccoli proprietari, i quali svendevano i campi per pagare i debiti"[13]. Durante il I sec. d. C. sotto gli imperatori Giulii
e Claudii :" anche in Italia le grandi tenute divennero sempre più estese
e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e i poderetti
contadineschi… Le
tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di
vendita e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi
ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro
proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano
dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano"[14].
La
"mancanza di vendita" di molti prodotti italici era dovuta anche alla
emancipazione economica delle province: “le condizioni del mercato peggioravano
di giorno in giorno a misura che si svolgeva la vita economica delle province
occidentali…A questo mutamento s'accompagnò il crescente raccogliersi della
proprietà rurale nelle mani di pochi ricchi proprietari"[15].
Nello stesso tempo della crisi dilagavano, tra i
ricchi e gli arricchiti, il lusso e lo spreco. La politica finanziaria di
Tiberio cercò, molto blandamente, di porvi un freno. Ecco la tendenza: "lotta
contro il rialzo dei prezzi; e d'altra parte, proprio per quella sua moderatio nei
riguardi degli ottimati, esitazione e anzi rinunzia a prendere rigidi
provvedimenti contro il lusso delle dites familiae nobilium aut
claritudine insignes[16]. Dalle nuove esigenze fu
particolarmente incoraggiato il commercio con l'India, come chiaramente
attestano i reperti numismatici di questa regione. In queste condizioni, il
lamento che la moneta pregiata prendesse la via dei mercati stranieri (pecuniae
nostrae ad externas aut hostiles gentes transferuntur [17] ) restava una protesta platonica, e denunziava
un "drenaggio di oro" a cui Tiberio stesso dichiarava di non poter
porre rimedio"[18].
Passiamo a Plinio il Vecchio e vediamo “un
interessante squarcio di storia sociale scritta da un autore antico”.
“Questo cavaliere dell’Italia settentrionale, freddo e
saggio, ci ha descritto (naturalmente con disdegno) le ambizioni e la luxuria dei
nuovi ricchi dell’epoca Claudia…Come esponente dell’altissima borghesia
equestre, egli si intendeva di fatti economici. Nella travagliata epoca giulio
- claudia, gli sembrava dominante l’ambizione di tutti, di portar anuli
aurei, che in verità sono distintivi dei cavalieri: sotto Tiberio si era
stabilito che solo i nati liberi e di libero avo, con censo equestre e facoltà
di sedere nei 14 ordines al teatro (vale a dire, solo i veri e
propri cavalieri), potessero portare anuli aurei ; con
Caligola, anche i liberti avevano quegli ornamenta, “ciò che prima
non era avvenuto mai”; all’epoca di Claudio (che era stato anche censore), ben
400 persone furono accusate per questo abuso. Nonostante i provvedimenti di
Tiberio, i liberti erano dunque decisi a “sfondare”, anche contro la legge; e,
al solito, il principato di Caligola aveva aperto ad essi la strada; “l’ordine
equestre”, commentava Plinio, “si voleva distinguere dal resto dei liberi, e
doveva subire l’intrusione dei liberti!” Oppure: quelli che non appartengono
all’ordine equestre non si fanno scrupolo di firmare con l’anulus, dalla parte
dove è l’oro: “una trovata dell’epoca di Claudio”; “ed anche i servi
portano anuli coperti, all’esterno, di oro” (la stessa nota
troviamo nel Satyricon di Petronio)” [19].
Entrato
nella sala del banchetto, addobbato di rosso, Trimalchione ostenta gli anelli
portati nella mano sinistra: uno grande placcato d'oro (anulum grandem
subauratum 32, 3) e uno d'oro massiccio, ma tutto come costellato di pezzetti
di ferro ( totum aureum, sed plane ferreis veluti stellis
ferruminatum), quindi denuda il braccio destro armilla aurea cultum
et eboreo circulo lamina splendente conexo (32, 4), ornato da un
bracciale d'oro e di un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina luccicante;
infine si cincischiò i denti con uno stuzzichino d'argento (pinnā argenteā
dentes perfōdit, 33). E' un monumento classico, aere perennius,
al cattivo gusto, alla volgarità dell'eterno cafone arricchito.
"La
storia degli anelli d'oro: il più interessante capitolo di storia del costume
dell'epoca imperiale, particolarmente dell'epoca giulio - claudia…Claudio
eredita da Caligola, ed affina e organizza, il predominio dei liberti imperiali
nella corte. Ma dietro questi tre potentissimi liberti[20] c'è la grande massa di tutti i
liberti, imperiali o non, in tutto l'impero. Sono una borghesia affaristica e
prepotente. Affrontano talora i rischi della legge, pur di portare l' anulus
aureus, gabellandosi per cavalieri. La pressione di questa borghesia
significa soprattutto una cosa: l'intensificazione dell'economia
monetaria…burocrazia (questa burocrazia dei liberti imperiali) significa
economia monetaria, intensità di circolazione dei mezzi legali di pagamento.
L'economia naturale delle grosse domus senatorie è colpita a
morte"[21].
“L’economia
non conosce tradizioni, o, se ne ha, non esita un solo istante a distruggerle
nel caso che non gli siano più utili”[22].
Come si vede
non è impossibile l’approccio “economico” e sociologico ai testi classici. Uno
dei tanti.
Da qualche
tempo è ammessa, anzi è praticata più o meno bene da molti insegnanti,
l’interdisciplinarità che al sottoscritto negli anni Ottanta costò due
ispezioni in tre anni, volute dal preside Magnani del Liceo classico Galvani.
Costui del resto venne sbugiardato pesantemente entrambe le volte dagli
ispettori ministeriali: Adelelmo Campana e Antonio Portolano, due uomini
intelligenti, i quali elogiarono il mio metodo e il mio operato, sebbene allora
fosse innovativo. Ora piuttosto è di moda. Non dico che si debbano seguire le
mode, casomai che si possono prevedere, e che non è male assecondare i gusti
dell'utenza quando questa presenta richieste plausibili.
“Si è
scoperto insomma… il legame profondo e necessario fra disciplinarità e
interdisciplinarità. In altri termini, si è arrivati alla coscienza che, nello
studio della letteratura (ma il discorso vale anche per altre materie
umanistiche), l’interdisciplinarità non comporta affatto una rinuncia ai
contenuti disciplinari e che in esso il ricorso alla storia, alla antropologia,
alla storia dell’arte, alla psicoanalisi, alla filosofia, e persino alla
geografia e alla fisica è finalizzato a insegnare meglio la letteratura, non a
confondere tale insegnamento con altre discipline. Nel campo dello studio della
letteratura, un uso rigoroso della interdisciplinarità non è tuttologia, ma è
il suo esatto opposto: è l’impiego di discipline diverse al fine di capire
meglio o di spiegare meglio un testo letterario o un fenomeno letterario (un
movimento, un tema, un periodo storico)”[23].
In ogni caso
è necessario conoscere i contenuti, le parole e le idèe contenute, appunto, in
un libro, anzi in tanti libri, per insegnare, con un taglio o con un altro, una
materia o anche solo un argomento.
“Oggi c’è la SSIS: Scuola di
Specializzazione per l’Insegnamento Secondario. Si tratta di una scuola per chi
si è laureato nella materia che amava e ora la vuole insegnare. Si dà per
scontato che non la sappia insegnare e quindi glielo si insegna in una scuola
apposita, successiva alla laurea. Una volta ci si laureava e basta, quattro
anni di università e poi automaticamente si andava a insegnare la materia in
cui si era laureati…Oggi invece si fa tre+due, si prende la laurea e poi si
aggiungono i due anni SSIS, dove ti insegnano a insegnare…Cos’è cambiato? Che
prima si pensava così: basta che uno sappia bene la sua materia e la saprà
insegnare di sicuro; si pensava, cioè, che il conoscere bene a fondo la propria
materia fosse di per sé un’assicurazione del saperla insegnare: si dava allora,
evidentemente, molto valore alla conoscenza. Adesso invece si pensa: non
importa che cosa uno conosce o non conosce, l’importante è che sappia
insegnare. Ma insegnare che cosa? Nessuno pensa che il “che cosa” sia
importante: la materia, l’argomento, l’oggetto…il complemento oggetto. Si
insiste sul verbo, e non sul complemento oggetto”[24]. La
Mastrocola generalizza, esagera e sbaglia: io insegno alla SSIS, in quella
dell’Università di Bologna dove tengo un corso di didattica della letteratura
greca con laboratorio, e in quella dell’Università di Bolzano dove faccio
laboratorio di didattica della cultura e della civiltà letteraria italiana:
ebbene l’uno e l’altro corso partono dalla metodologia, ma assai presto questa
viene applicata agli autori e alle loro opere. Certo, gli insegnanti che non
conoscono la materia, quelli che non sanno insegnarla, ci sono, eccome, ma ci
sono sempre stati. La SSIS, io credo, attraverso i docenti esperti, e bravi,
quando lo sono, aiuta i laureati indicando loro le vie meno contorte per
arrivare alla mente e al cuore[25] dei ragazzi, per aiutarli a
crescere in termini tanto culturali quanto umani, e suggerisce sia i metodi,
sia le letture più efficaci per cogliere questo scopo, ossia questo bersaglio.
Il discorso sul metodo che sto componendo riflette questo lavoro, ed è il
lavoro di una vita dedicata allo studio, all’insegnamento e al rafforzamento
della vita stessa, della mia e di quella dei miei allievi.
--------------
[2] Natoli, Parole della
filosofia, p. 109.
[3] Leopardi, Palinodia al
Marchese Gino Capponi, del 1835, vv. 233 - 235.
[4] M. Rostovzev, Storia
economica e sociale dell'impero romano. La prima edizione (in inglese) è
del 1926.
[5] Mimesis (del
1946), p. 45.
[6] Tucidide, Storie, I,
11, 3. Significa scarsità di risorse senza le quali secondo lo storiografo
della guerra del Peloponneso non si possono allestire grandi flotte né fare
guerre grandi come quella del Peloponneso.
[7]I, 13, 1. E' l'accumulo di ricchezze
necessari allo sviluppo di una grande potenza.
[9] Naturalis historia,
XVIII, 7.
[10] Gli Annales, composti
da Tacito negli anni successivi al 111 d. C., dovevano continuare l'opera di
Livio: il titolo dei manoscritti Ab excessu divi Augusti echeggia
il liviano Ab urbe condita. Dell'opera che doveva andare dalla
morte di Augusto a quella di Nerone ci sono arrivati i libri I - IV, un
frammento del V e parte del VI con gli avvenimenti dalla morte di Augusto (14
d. C.) a quella di Tiberio (con una lacuna per gli anni 29 - 31); inoltre i
libri XI - XVI con il regno di Claudio, dal 47, e quello di Nerone fino al
66.
[11] S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, III, p. 458.
[12] Svetonio, Vita di
Augusto, 42.
[13] S. Mazzarino, L'impero
romano I, p. 148.
[14]M. Rostovzev, Storia
economica e sociale dell'impero romano, p.115 ,
[15]M. Rostovzev, Storia
economica e sociale dell'impero romano, p. 114.
[16] Tacito, Annales ,
III, 55, le famiglie ricche dei nobili o distinte nel segnalarsi.
[17] Annales, III, 53.
[18] S. Mazzarino, L'impero
romano I, p. 147.
[19] S. Mazzarino, L'impero
romano, 1, pp. 214 - 215.
[20] Callisto, Pallante e Narcisso.
[21] S. Mazzarino, L'impero
romano, 1, pp. 215 - 216.
[22] P;P: Pisolini, Saggi sulla
letteratura e sull’arte, p. 2695.
[23] R: Luperini, Insegnare
la letteratura oggi, p. 12.
[24] P. Mastrocola, La scuola
raccontata al mio cane, p. 71.
[25] Ai professori che ogni giorno
si apprestano a dare giudizi sulle capacità intellettuali dei loro allievi un
invito a riflettere prima su quanta educazione emotiva hanno distribuito,
perché, a se stessi almeno, non possono nascondere che l’intelligenza e l’apprendimento
non funzionano se non li alimenta il cuore” (U. Galimberti, L’ospite
inquietante, p. 48).
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