Angelika Kauffmann, Ifigenia in Tauride |
Riferisco alcune parole di Emma Dante che leggo nel quotidiano che compro ogni giorno anche se non mi sono mentalmente assuefatto ad approvare senza valutare criticamente quello che vi leggo .
Comunque oggi vi
trovo delle osservazioni della regista che tutto sommato condivido: “Quanta
indifferenza per il teatro (…) Non capisco perché nello sport si possono fare
gli allenamenti, superando anche in modo incauto il distanziamento, e gli attori
in scena non possono lavorare”.
Per la seconda
incomprensione avrei usato il congiuntivo.
Aggiungo che gli
sport del resto non vengono trattati tutti nel medesimo modo: il ciclismo che è
quello più praticato da tutti in una maniera o in un’altra, viene penalizzato
più del calcio.
Ancora alcune
parole di Emma Dante: “Avrei dovuto provare una Ifigenia in Tauride di Gluck a Pavia ma per ora è saltata e chissà
se si riuscirà a fare”.
Io avrei dovuto presentare l’ Ifigenia fra
i Tauri di Euripide a Bivona lo
scorso 9 maggio e a Siracusa il prossimo 15 giugno, ma la pandemia ha stravolto tutti i piani. Avevo
preparato un percorso di una cinquantina di pagine per recitarlo,
sintetizzando. Avrò sicuramente altre occasioni per farlo. Intanto metto nel
blog un decimo circa della conferenza. A chi lo desiderasse, la manderò intera. Gratis
ovviamente, non c’è bisogno di dirlo ma è bene prevenire i maliziosi malevoli.
Euripide, Ifigenia fra i Tauri del 414 o 413-
La
scena è collocata in terra barbara, nella regione dei monti Tauri, presso il
tempio di Artemide decorato da teschi e ossa umane. Ifigenia ne è la
sacerdotessa.
Erodoto
(IV, 10, 3) riferisce che i Tauri onoravano una dea cui offrivano sacrifici
umani.
La
prima parte racconta il riconoscimento tra i fratelli, la seconda la beffa ai
danni di Toante, re del Ponto.
Prologo 1-122
Ifigenia si presenta, poi racconta un
suo sogno.
Figlia
di Agamennone e Clitennestra, nipote di Atreo, bisnipote di Pelope figlio di
Tantalo. – (Figlia qugavthr, daughter,
Tochter.)-
Pelope
figlio di Tantalo giunse a Pisa con le cavalle veloci-qoai'sin i{ppoi" –v.2-e sposò Ippodamia, figlia di Enomao. Da lei nacque Atreo, da lui
Menelao e Agamennone e da Agamennone nacqui io, Ifigenia, figlia della figlia
di Tindaro, che il padre, a quanto sembra, sacrificò per Elena ad Artemide e[sfaxen JElevnh" ou{nec j v. 88- presso i gorghi che l’Euripo- lo stretto tra
l’Eubea e la Beozia
dove c’è l’Aulide- spesso sconvolge con forti venti mettendo il fosco mare in
moto circolare nelle famose insenature di Aulide 9-di fronte a Calcide in
Beozia- Là jAgamevmnwn a[nax radunò la flotta greca-di mille navi-cilivwn naw'n stovlon- JEllhnikovn-
Tucidide-excursus
razionalizza
il mito secondo il quale Agamennone
mobilitò i pretendenti di Elena vincolati dal giuramento fatto a Tindaro
, il padre putativo di lei: chiunque fosse stato scelto come marito, sarebbe
stato sostenuto, nelle difficoltà, da tutti gli altri[1].
Agamennone
invero raccolse la flotta poiché superava in potenza i potenti di allora (tw'n tovte dunavmei prouvcwn La guerra del Peloponneso,
(I,9,1).
(I,9,1).
Il lidio
Pelope infatti aveva portato dall'Asia immense ricchezze venendo in Grecia tra gente
povera (ej"
ajnqrwvpou" ajpovrou", I, 9, 2) e proprio per questo si costruì una potenza politica (duvnamin I, 9, 2) e divenne eponimo di
quella terra, poi chiamata Peloponneso appunto.
E’ uno tra i luoghi più ameni del mondo invero, e
ne consiglio il giro ciclistico: Patrasso, Corinto, Epidauro, Micene,
Sparta-Taigeto, Kalamata, Tempio di Apollo Epicurio, Olimpia, Patrasso; otto
giorni per chi è già un poco allenato, un paio di settimane per chi ha meno
lena.
Più
scolasticamente invece invito i giovani alla lettura dell’ Olimpica I dove Pindaro splendidamente racconta come
Pelope si preparò a conquistare l'isola fatata e destinata a lui.
Il figlio
di Pelope, Atreo, continua Tucidide, ereditò la potenza paterna e la lasciò,
accresciuta, ad Agamennone, il quale, divenuto più forte degli altri anche per
la flotta, poté guidare la spedizione dopo avere raccolto l'armata non con
l'amore più che con la paura:"th;n strateivan ouj cavriti to; plevon h] fovbw/ xunagagw;n"(I, 9, 3).
Questa tesi viene autorizzata con
l'attestazione di Omero e la citazione di un verso dell'Iliade (II, 1O8):"pollh'/sin nhvsoisi kai; [Argei panti; ajnavssein", su molte isole e su
l'Argolide tutta a regnare[2]. Dunque l'Atride aveva una flotta
e da questa spedizione si deve congetturare (eijkavzein de; crhv, I, 9, 4) quanto (meno) grandi siano state le
precedenti imprese militari.
Quella
guerra del resto non poté essere tanto
grande quanto l'ultima combattuta dai
Greci. Lo stesso Omero che, siccome poeta ingrandisce, racconta di 1200 navi
con un carico di uomini non innumerevoli: dai 120 delle imbarcazioni dei Beoti,
ai 50 dei vascelli di Filottete. La conclusione del ragionamento è che, per chi
considera la media, non sembrano molti quelli andati a Troia, visto che erano stati
mandati da tutta la Grecia in comune:"to; mevson skopou'nti ouj
polloi; faivnontai ejlqovnte", wJ" ajpo; pavsh" th'"
jEllavdo" koinh'/ pempovmenoi"( Tucidide, I, 10, 5). L’Iliade è letta da Tucidide con un’analisi politica.
H.
Strasburger ne deduce una volontà emulativa dello storiografo:"Ciò che
indusse Tucidide alla sua opera fu piuttosto, come abbastanza chiaramente egli
stesso lascia capire, la speranza di poter superare la guerra di Troia e quella
contro i Persiani con la sua guerra ,
e conseguentemente Omero ed Erodoto con la sua narrazione"[3].
Ma mentre "il suo rapporto con Erodoto è
sorprendentemente riservato e opaco (...) tanto più insistente, viceversa, il
suo confrontarsi con Omero: egli tenta di ridimensionarne la sublimità poetica
attraverso un'acuta critica di verosimiglianza, ma continua a considerarlo nel
complesso (...) un informato cronista del maggior avvenimento dell'età più
antica; come storico, egli riconosce in Omero un predecessore[4]"[5].
Quale fu
il motivo che causò la lunga durata della guerra troiana? La limitata potenza
dei Greci di quei tempi antichi, causa (ai[tion) della quale a sua volta fu non
tanto la mancanza di uomini (hJ ojliganqrwpiva) quanto la scarsità dei mezzi ( hJ ajcrhmativa, I, 11, 1). Durante quei dieci anni i Greci non poterono
mettere in campo tutte le loro forze, del resto non enormi, perché dovettero
dedicarsi all'agricoltura e alla pirateria per mantenersi: senza queste (a[neu lh/steiva" kai;
gewrgiva", I,11,
2) avrebbero conquistato facilmente la città.
Dunque per
scarsezza di risorse (di
j ajcrhmativan ) furono
deboli (ajsqenh',
I, 11, 3) queste
epoche passate, e anche questi avvenimenti particolarmente celebrati si
rivelano di fatto inferiori alla fama (uJpodeevstera o[nta th'~ fhvmh~) e alla rinomanza che si è stabilita per i racconti dei poeti (dia; tou;~ poihtav~).
Tucidide
percorre tutta la storia greca con questo criterio: formazione dei capitali,
della flotta, della potenza, la quale
non poteva diventare rilevante finché gli Elleni, anche dopo la guerra
di Troia, continuavano a emigrare e a fondare colonie: gli Ateniesi
colonizzarono la Ionia
e gran parte delle isole; i Peloponnesiaci ampie regioni dell'Italia e della
Sicilia:" [ Iwna" me;n jAhnai'oi kai; nhsiwtw'n tou;"
pollouv" w[kisan, jItaliva"
de; kai; Sikeliva" to; plei'ston Peloponnhvsioi( Tucidide, I, 12, 4).
Fine
excursus
Agamennone
dunque voleva conquistare per i Greci la bella corona della vittoria kallivnikon stevfanon (Ifigenia fra i
Tauri , v. 12) e perseguire
l’oltraggio alle nozze di Elena facendo
un favore a Menelao (14).
Ma il
comandante greco incontrando una tremenda impossibilità di navigare e dei vènti-deinh'" t j
ajploiva" pneumavtwn te tugcavnwn (15)- giunse ai sacrificare sul fuoco -ej" e[mpur j h\lqe (16).
Cfr.
Euripide, Ifigenia in Aulide, v 59: i
pretendenti giurano versando libagioni sul fuoco che avrebbero aiutato chi
avrebbe ottenuto la mano di Elena kai; di j ejmpuvrwn
anche versando libagioni su vittime ardenti.
Calcante
poi diede il responso sinistro ad Agamennone: “tu non potrai far salpare la
flotta da questa terra prima che Artemide abbia preso tua figlia Ifigenia
sgozzata-pri;n a]n kovrhn sh;n jIfigevneian [Artemi"-lavbh/ sfagei'san (Ifigenia fra i
Tauri , vv. 19-20) infatti facesti voto di sacrificare alla dea che
porta le torce- fwsfovrw/
quvsein qea'/ (21) la cosa più bella che l’anno avesse
creato.
Ho
tradotto dea che porta le torce ricordando la parodo dell’Edipo re quando il coro chiede la protezione degli dèi e invoca in difesa della città anche
“ le fiaccole/fiammeggianti di Artemide con le quali/si lancia su per i monti
della Licia" ( -tav"
te purfovrou"- jArtemido"
ai[gla" , xu;n ai|"- Luvki j o[rea diav/sei- 206-208).
Clitennestra
aveva generato al comandante della spedizione Ifigenia cui Calcante attribuisce
to; kallistei'on ( Ifigenia fra i Tauri 23) la supremazia della cosa più bella. La
bellezza dunque ha diverse valenze. In questo caso porta la morte.
Nel
prologo dell’Elena di Euripide la
donna fatale racconta il giudizio di Paride che fece vincere Cipride ottenendo
in cambio toujmo;n de; kavllo~ (27), la mia bellezza; ma poi Elena aggiunge: “eij
kalo;n to; dustucev~ (v. 27), se è bella
la disgrazia.
Ifigenia
Racconta che con gli inganni di Odisseo ( j
jOdussevw" tevcnai", 24)
la rapirono alla madre mhtro;~ pareivlont j (Ifigenia fra i Tauri, 25) per le nozze di Achille.
paraijrevw-prendo,
scelgo ai[resi~ scelta, eresia.- ajfaivresi~,
sottrazione di una lettera all’inizio della parola, aferesi.
Nozze mentite. Invece, arrivata in Aulide,
sollevata in alto
sulla
pira, venni uccisa con la spada (ejkainovmhn xivfei, 27)`.
Ma
Artemide mi sottrasse e[lafon
ajntidou`sa , dando in
cambio una cerva, e mi collocò in questa terra dei Tauri dove regna su
barbari il barbaro Toante che pone
il piede veloce come ala-wjku;n
povda tiqei;" i[son pteroi'" 32
e giunse a questo nome podwkeiva~
cavrin (33) per la velocità dei piedi. pouv~ e wjkuv~
La
ragazza deve consacrare le vittime alla dea secondo le norme della festa (novmoisi
eJorth`~, 36|) di cui soltanto il nome è bello (
tou[nom j h|~ kalo;n movnon, 36). Il resto lo taccio per paura della dea-ta; d ja[lla sigw', th;n qeo;n
foboumevnh (Ifigenia fra i Tauri, 37).
La
paura talora paralizza la lingua
Cfr. i primi versi del
Prologo dell’Agamennone di Eschilo
La scena è ad Argo, nel
palazzo degli Atridi
Una guardia recita il
prologo. Aspetta un segnale luminoso che annunci la vittoria degli Achei.
Glielo ha ordinato lo speranzoso cuore dal maschio volere (ajndrovboulon ejlpivzon kevar, 11) di donna, la regina Clitennestra.
Ma, dice il fuvlax, la notte
invece di Sonno mi sta accanto Paura (Fovbo~ ga;r ajnq j
{Ypnou parastatei` (v. 14).
Il palazzo non è più governato per il meglio
come prima.
Finalmente la guardia vede
l’atteso segnale luminoso.
L’uomo esulta e preannuncia danze.
Ma non può dire tutto: “ta; d’ a[lla sigw`: bou`~ ejpi
glwvssh/ mevga~-bevbhken” (Agamennone, 36-37)[6].
E continua:
“La casa stessa potrebbe
parlare, se prendesse voce”.
Ifigenia
si limita a dare inizio al rito consacrando le vittime, sfavgia d j a[lloisin mevlei, Ifigenia fra i Tauri, 40 “lo sgozzamento compete ad altri”.
giovanni
ghiselli
p. s. questo blog è arrivato a 980007. Bologna 8 giugno ore 18,30
p. s. questo blog è arrivato a 980007. Bologna 8 giugno ore 18,30
[1] Il mito come lo leggo nello pseudo- Apollodoro, Biblioteca, 3, 131-132.
[2] Omero fa la storia dello scettro che Agamennone tiene
in mano. Era di origine divina e glielo aveva lasciato Tieste da portare come
simbolo del potere (“a regnare”, appunto).
[4] Vedi in particolare I 9 sg.
[5] Hermann Strasburger, Op. cit., p. 18.
[6] Cfr. The rest is silence di Amleto V, 2.
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