Machiavelli |
Così del resto faceva Machiavelli leggendo. Lo
racconta nella Lettera a Francesco Vettori: "Venuta la sera,
mi ritorno in casa et entro nel mio scrittoio; et in su l'uscio mi spoglio
quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e
curiali; e, rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui
uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum
è mio, e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e
domandarli della ragione delle loro azioni. E quelli per loro umanità mi
rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni
affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi tranferisco
in loro... Die 10 Decembris 1513 ".
La lettura dei classici dunque per il segretario
fiorentino aveva un valore catartico. Lo stesso significato positivo ha per
Plutarco lo scrivere biografie: nella medesima prefazione infatti
l'autore afferma anche: il mio lavoro mi appare proprio come un conversare, un
vivere quotidianamente in intimità con costoro, quando, per narrarne le
vicende, io li ricevo quasi e li accolgo a turno come ospiti uno per uno, e
considero quanto grande e quale sia (" o{sso" e[hn oi|ov"
te"[41]), scegliendo fra le loro azioni quelle che furono le più importanti e le
belle per la conoscenza:"ta; kuriwvtata kai; kavllista pro;" gnw'sin ajpo;
tw'n pravxewn lambavnonte"". Insomma "il biografo si
rimira nello specchio della storia per accordare la propria esistenza ai grandi
paradigmi di virtù fornitigli dai suoi personaggi, vive anzi con loro (come poi
Montaigne), desideroso di preservare nell'animo la memoria fragrante di ciò che
varrà poi ad espellere l'ignobile sentore della quotidianità. Gli exempla
virtutis costituiscono il più sicuro esercizio di virtù per l'autore"[42].
Quindi Plutarco cita un frammento di Sofocle[43]:"feu' feu', tiv touvtou cavrma mei'zon a]n lavboi"", ah, ah, quale gioia potresti prendere maggiore di questa, e,
aggiunge, kai; pro;~ ejpanovrqwsin hjqw'n ejnergovteron ; (I, 4) quale più efficace per il raddrizzamento dei costumi? Lo studio
della Storia allora infonde gioia in chi lo coltiva, come la poesia: Erodoto
narra che in attesa del canto di Arione, nel cuore dei pur spietati marinai
corinzi che lo avevano condannato a morte per derubarlo, si insinuò il
piacere [44].
"Che
profitto trarrà dalla lettura delle Vite del nostro Plutarco?
La mia guida si ricordi a che cosa mira il suo compito; e imprima nella mente
del suo discepolo non tanto la data della distruzione di Cartagine, quanto
piuttosto i costumi di Annibale e di Scipione"[45].
“Per l'uomo
moderno, Plutarco significa Shakespeare"[46], e viceversa. E allora diciamo
subito che alcune tragedie di Shakespeare (il Giulio Cesare, l'Antonio
e Cleopatra, il Coriolano ) dipendono da Plutarco che il drammaturgo
inglese leggeva nella traduzione (del 1579) di Thomas North fatta su quella francese
(del 1559) del vescovo Amyot che tradusse pure i Moralia (1572)[47]. Nonostante la doppia traduzione ci
sono, soprattutto nel Coriolano , situazioni e frasi che
riproducono gli originali di Plutarco, tanto che Elias Canetti in un passo[48] de La provincia
dell'uomo , afferma che " Plutarco non è affatto schizzinoso.
Nelle sue pagine accadono cose terribili, come nelle pagine del suo seguace
Shakespeare".
Plutarco,
biografo di eroi, fu oggetto di culto da parte di Vittorio Alfieri :"Ma il libro dei libri per me, e che
in quell' inverno mi fece veramente trascorrere dell'ore di rapimento e beate,
fu Plutarco, le vite dei veri Grandi. Ed alcune di quelle, come Timoleone,
Cesare, Bruto, Pelopida, Catone, ed altre, sino a quattro e cinque volte le
rilessi con un tale trasporto di grida, di pianti, e di furori pur anche, che
chi fosse stato a sentirmi nella camera vicina mi avrebbe certamente tenuto per
impazzato. All'udire certi gran tratti di quei sommi uomini, spessissimo io
balzava in piedi agitatissimo, e fuori di me, e lagrime di dolore e di rabbia
mi scaturivano al vedermi nato in Piemonte e in tempi e governi ove niuna alta
cosa non si poteva né fare né dire, ed inutilmente appena forse ella si poteva
sentire e pensare"[49].
“ Aspettando
i cavalli in Savona, gli capitò un Plutarco. Qui sentì qualche cosa di più che
il racconto, gli batté il cuore: quelle immagini colossali non lo sbigottivano,
anzi suscitavano la sua emulazione: - Non potrei essere anch’io come loro? - E
il potere c’era, perché le sue forze non erano da meno”[50].
Foscolo nelle Ultime
lettere di Iacopo Ortis scrive:"Col divino Plutarco potrò consolarmi
de' delitti e delle sciagure della umanità volgendo gli occhi ai pochi illustri
che quasi primati dell'umano genere sovrastano a tanti secoli e a tante
genti"[51].
“La
storia occorre innanzitutto all’attivo e al potente, a colui che combatte una
grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non
può trovarli fra i suoi compagni e nel presente…Che i grandi momenti nella
lotta degli individui formino una catena, che attraverso essi si formi lungo i
millenni la cresta montuosa dell’umanità, che per me le vette di tali momenti
da lungo tempo trascorsi siano ancora vive, chiare e grandi - è questo il
pensiero fondamentale di una fede nell’umanità che si esprime nell’esigenza di
una storia monumentale”[52].
"Nella
mancanza di dominio su se stessi, in ciò che i romani chiamano impotentia ,
si rivela la debolezza della personalità moderna"[53].
Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno di
questa impotenza, può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la
storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di
diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del
tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare per dominare e
sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano
quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate
le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi
eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia
divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio
tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[54].
Seneca sconsiglia
di proporre contromodelli: nella Praefatio al III libro
delle Naturales quaestiones afferma che è molto meglio
spengere i propri vizi piuttosto che raccontare ai posteri quelli degli altri:
"quanto satius est sua mala extinguere quam aliena posteris tradere! "
( 5), quanto meglio è spengere i propri vizi che tramandare ai posteri quelli
degli altri! Seguono gli esempi di Filippo e di Alessandro e di tutti gli altri
che furono pestes mortalium non meno rovinose di inondazioni e
incendi. A questo proposito si rifletta sul caso della docente del liceo
classico romano messa sotto accusa per avere fatto leggere degli scritti di
Hitler con altri di altri autori.
Machiavelli dà
questo consiglio: “debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da
uomini grandi e quelli che sono stati eccellentissimi imitare” (Il Principe,
VI).
Anche Guicciardini ricava insegnamenti
dalla storia e dagli storiografi: “Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi
vive sotto a’ tiranni el modo di vivere e governarsi prudentemente, così come
insegna a’ tiranni e modi di fondare la tirannide”[55]. Tuttavia in un altro dei Ricordi (110)
scrive: “Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e Romani!
Bisognerebbe avere una città condizionata come era la loro, e poi governarsi
secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto
disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi il corso di uno
cavallo”.
Il criterio
deve essere quello della discrezione: “E’ grande errore parlare delle cose del
mondo indistintamente e assolutamente e, per dire così, per regola: perché
quasi tutte hanno distinzione e eccezione per la varietà delle circostanze, le
quali non si possono fermare con una medesima misura: e queste distinzione e
eccezione non si truovano scritte in su’ libri, ma bisogna le insegni la
discrezione”[56] .Questi giudizi contrastanti possono indurre il giovane a pensare
criticamente e a giudicare (krivnein) secondo il proprio orientamento psicologico.
Molte vite del resto sono composite e variopinte. Nel secondo volume della Recherche di Proust il pittore Elstir dice a
Marcel:"Le vite che ammirate, le attitudini che giudicate nobili, non sono
state predisposte dal padre di famiglia o dal precettore; sono state precedute
da esordi ben diversi, hanno subito l'influsso del male o della banalità che regnavano
intorno a loro. Rappresentano una lotta e una vittoria"[57].
In effetti
le parti sostenute durante una pur breve esistenza di un uomo possono mutare o
alternarsi.
Plutarco nota questa
alternanza dell’umana sorte nella prefazione alle Vite
di Demetrio e Antonio. Personaggi, entrambi compositi, comunque adatti
piuttosto a fare da paradigmi negativi che positivi: le loro grandi nature
portavano grandi virtù, come grandi vizi: entrambi furono dediti alle passioni
dell’amore e del vino, furono uomini di guerra, munifici, sontuosi,
insomma uJbristaiv ,
eccessivi. Ebbero grandi successi alternati a grandi cadute e chiusero in modo
simile la loro vicenda terrena.(Prefazione alle Vite di Demetrio e Antonio,
1, 8). Più avanti, raccontando la Vita del Poliorcete, Plutarco
aggiunge:”Sembra che non ci sia stato altro re cui la Fortuna abbia imposto
rivolgimenti così grandi e improvvisi come a Demetrio, e che essa in altre
vicende, non divenne altrettante volte piccola e di nuovo grande, né umile da
splendida , e poi di nuovo forte da misera . Perciò dicono pure che Demetrio
nei più gravi sconvolgimenti apostrofasse la Fortuna con il verso di Eschilo:
"Tu davvero mi rendi tronfio, tu sembri bruciarmi[58]"
( Vita di Demetrio, 35, 3 - 4).
Di Antonio si può mettere in evidenza la teatralità[59].
Luciano[60] paragona la nostra vita a una processione in costume guidata dalla Fortuna
che attribuisce le parti agli umani e spesso cambia maschere e ruoli di alcuni
durante il corteo: " Pollavki" de; kai; dia; mevsh" th'"
pomph'" metevbale ta; ejnivwn schvmata"[61].
Si può
pensare alle alterne vicende di Mussolini[62]: fu un maestro di scuola, un
vagabondo, un demagogo, un dittatore e finì davanti al plotone di esecuzione,
come certi personaggi di Márquez. Sentiamo l’incipit di Cent’anni di
solitudine: “ Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il
colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in
cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”[63].
giovanni
ghiselli
[42]G. Camassa, Lo Spazio
Letterario Della Grecia Antica , Vol. I, Tomo III, p. 329.
[43]Fr. 579 Nauck, v. 1.
[44] I, 24:"kai; toi'si
ejselqei'n ga;r hjdonh;n eij mevvlloien ajkouvsesqai tou' ajrivstou ajnqrwvpou
ajoidou'".
[45] Montaigne , Saggi,
(del 1588), p. 206.
[46]Mazzarino, op. cit., p. 138.
L'autore continua così:"significa Robespierre e Verginaud e Danton; solo
uno storico di razza (sia pure uno storico moralista, storico dell' ethos
di grandi individui) poteva trasmetterci l'eredità classica, in quanto eredità
di tradizione storica, in maniera così rilevante e decisiva.
[47]Traduzioni approvate, da Montaigne
che, qualche anno più tardi, scrive nei Saggi :" Io do
giustamente, mi sembra, la palma a Jacques Amyot su tutti i nostri scrittori
francesi, non solo per la semplicità e la purezza del linguaggio, nella quale
supera tutti gli altri, né per la costanza di un così lungo lavoro, né per la
profondità del suo sapere, poiché ha potuto volgarizzare così felicemente un
autore tanto spinoso...ma soprattutto gli sono grato di aver saputo discernere
e scegliere un libro tanto degno e tanto appropriato per farne dono al suo
paese. Noialtri ignoranti saremmo stati perduti se questo libro non ci avesse
sollevato dal pantano; grazie a lui, osiamo ora e parlare e scrivere; le
signore ne dànno lezione ai maestri di scuola; è il nostro breviario"(II,
4, pp. 467 - 468).
[48]In Opere 1932 - 1973 ,
trad. it. Bompiani, Milano, 1990, p. 1812.
[50] F. De Sanctis, Storia
della letteratura italiana, 2, p. 371.
[51]18 ottobre 1797.
[52] F. Nietzsche, Sull'utilità
e il danno della storia per la vita (del 1874), in Considerazioni
inattuali, II, p. 92 e p. 93.
[53] F. Nietzsche, Sull'utilità
e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali,
II, p. 116.
[54] F. Nietzsche, Sull'utilità
e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali,
II, p. 125.
[55] Ricordi, 18. La
redazione definitiva dei Ricordi è del 1530.
[56] Ricordi, 6.
[57] M. Proust, All'ombra
delle fanciulle in fiore, p. 468.
[58] (fr. 259 N. 2)
[59] Nella Vita di Antonio, accoppiata con quella di Demetrio,
Plutarco cita due versi dell’Edipo re (il quarto leggermente
modificato e il quinto senza ritocchi poli~ …) per significare la dissolutezza
pestifera di Antonio: quando il triumviro si recò in Oriente, l’Asia intera, come
quella famosa città di Sofocle (Tebe) era piena di fumi di incenso, e insieme
di peani e di gemiti (24, 3).
Subito dopo Plutarco
racconta che Antonio entrò in Efeso preceduto da donne vestite come le Baccanti
e da uomini e fanciulli abbigliati da Satiri e da Pan; la città era piena di edera,
tirsi, zampogne e flauti e la gente acclamava Antonio come Dioniso che dà
gioia e amabile. Per alcuni sarà stato tale, ma per i più era
j Wmhsth;~ kai; jAgriwvnio~ (24, 4 - 5), Dioniso Crudivoro e Selvaggio.
Quando Cleopatra si recò da
lui risalendo il fiume Cidno, con teatralità ancora più vistosa, si diffuse
dappertutto la voce che Afrodite con il suo corteo andava da Dioniso per il bene dell’Asia (wJ~ hJ jAfrodivth kwmavzoi pro;~ to;n Diovnuson ejp j ajgaqw`/ th`~ jAsiva~, 26, 5). Quindi Plutarco racconta alcune buffonate che
i due amanti compivano divertendo gli Alessandrini i quali dicevano che Antonio
con i
Romani usava la maschera
tragica e con loro quella comica ( levgonte~
wJ~ tw`/ tragikw`/ pro;~ tou;~ JRomaivou~ crh`tai proswvpw/, tw`/ de; kwmikw/`
pro;~ aujtouv~, 29, 4).
[60] 120 ca. d. C. 180 ca.
[62] Più avanti (16, 5) ricorderemo
anche Saddam Hussein barbaramente impiccato da poco.
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