Argomenti
Massimo
Cacciari: topologia e cronologia. I classici contro le mode.
Classico è quanto non passa di moda. Quelli che parlano per luoghi
comuni hanno sempre ragione (Márai, La
donna giusta).
Bruno Vespa. Goethe e Leopardi. Aristotele Poetica e Retorica:
pregi del linguaggio. Leopardi, Musil, Pasolini, Thomas
Mann e Morin.
L’artista
libera il mondo dai ceppi dei luoghi comuni volgari. La metafora
contro la banalità pedestre. La metafora come bomba atomica mentale
Massimo
Cacciari in un seminario tenuto a Bologna nel novembre del 2000
consigliava di opporre la topologia alla cronologia.
Successivamente
il filosofo veneziano ha scritto:"Impossibile sistemare i
classici secondo i rassicuranti metodi della cronologia. Soltanto una
considerazione topologica rende loro "giustizia".
Come il loro Nunc non è il nunc del modo ,
ma il Nunc stans , così il loro tempo non è quello
della cronolatria storicistica, ma quello del "luogo",
tutt'uno col "luogo". Il classico è insieme di topoi;
i classici sono questi "luoghi". E' come se nel classico il
tempo si facesse "luogo". Perciò i classici in -
sistono. Perciò i classici fanno epoca "[1].
Classico, aggiunge Traina, è "uno scrittore che ha parlato per
noi"[2].
In
un intervento più recente[3] Cacciari
ha ribadito che i classici si dispongono per topologie, non secondo
cronologie. Gli autori Greci e Latini hanno fondato luoghi
privilegiati. La funzione degli auctores sta
nell'avere la forza polemica nei confronti dell'ora, e
tale duvnami" devono
trasmettere alla scuola affinché questa non sia una fabbrica
impiegatizia[4] e
i giovani che la frequentano non siano degli "occupati",
ossia degli invasi dalle mode del momento, ma sappiano reagire
criticamente a queste. Infatti se lo studio è soltanto una rincorsa
del nunc, allora davvero il classico è il supervacuum.
Roberto
Pretagostini in un convegno tenuto a Torino - Ivrea[5] ha
affermato che i pensieri formulati dall'autore classico vanno al di
là del contingente.
La
moda allora potrebbe costituire un test: è classico
quanto non passa di moda. Oppure: ciò che passa di moda non è
classico
La
moda è infatti la sorella della morte. Nel dialogo di Leopardi, la
Moda dice alla Morte: “io sono la moda, tua sorella”. E la
Morte: “Mia sorella?” “Sì - risponde la Moda - : non ti
ricordi che siamo nate dalla caducità? (...) e so che l’una e
l’altra tiriamo parimenti a disfare e a rimutare di continuo le
cose di quaggiù (…) la nostra natura e usanza comune è di
rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti
alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei
capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali.
Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare
parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare
quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole
che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini
con istampe roventi…”[6].
Si pensi ai tatuaggi, alla chirurgia estetica e ad altre schifezze
del genere
La
cultura classica, della quale una buona scuola deve dotare i giovani,
può dare la forza di opporsi alla macina quotidiana
della pubblicità , alle chiacchiere dei tessitori di vento, agli
spacciatori della droga dei luoghi comuni volgari e servili,
ai personaggi[7] emblematici
e rappresentativi di questa età "vaga di ciance, e di virtù
nemica"[8].
Quelli
che parlano per luoghi comuni “hanno sempre ragione. E
forse il mondo è così inconcepibilmente ignobile e senza speranza
proprio perché il luogo comune è infallibile, e solo il genio e
l’artista hanno il coraggio di sbeffeggiarlo, di mettere in luce
quanto in esso vi sia di morto, di contrario alla vita…[9].
Si
pensi a Bruno Vespa che poche ore dopo la strage della Banca
dell’Agricoltura del dicembre 1969, disse a un telegiornale:
“Valpreda dunque è un colpevole”. E fece carriera.
All’epoca chi diceva: “ a parte tutto, non credo che
quel disgraziato ballerino sia stato in grado di organizzare un
massacro del genere” era visto di malocchio quale pericoloso
estremista e, se insegnava, rischiava sanzioni. Ne so qualcosa. Poi
la storia ha sbugiardato Vespa, che tuttavia ha continuato a ripetere
i luoghi comuni funzionali al potere e a fare carriera.
“Non
c’è nulla che mi faccia perdere la calma come vedere venire avanti
uno con un luogo comune insignificante, quando io parlo con il cuore
in mano”[10].
“Questo
scambiare modi di dire e realtà è, per quanto ho osservato, un
caratteristico segno d’ignoranza e di infimo livello
culturale”[12].
L’artista
si oppone ai luoghi comuni della volgarità : “Ogni grande libro
spira questo amore per i destini dei singoli individui che non si
adattano alle forme che la collettività vuole loro imporre (…) per
di più una poesia col suo mistero trafigge da parte a parte il senso
del mondo, attaccato a migliaia di parole triviali, e ne fa un
pallone che se ne vola via. Se questo, com’è costume, si chiama
bellezza, allora la bellezza dovrebbe essere uno sconvolgimento mille
volte più crudele e spietato di qualunque rivoluzione
politica! [13]".
Sentiamo
Pasolini: “Io cerco di creare un linguaggio che metta in crisi
l’uomo medio, lo spettatore medio, nei suoi rapporti con il
linguaggio dei mass media (…) nel momento stesso in cui odio le
istituzioni (per esempio le istituzioni e l’ingiustizia italiana
del 1969, i prodotti della televisione, della stampa, la letteratura
convenzionale) e lotto contro di esse, provo un’immensa tenerezza
per questa istituzione della lingua italiana in quanto koinè,
per questa lingua italiana nel significato più esteso del termine,
perché è proprio all’interno di questo quadro che mi viene
concesso di innovare, ed è tramite questo codice che fraternizzo con
gli altri; quel che più importa nell’istituzione è il codice che
rende possibile la fraternità (…) il codice, e soprattutto il
codice linguistico, è la forma esterna indispensabile a questa
fraternità umana che provo sempre in me come qualche cosa che ho
perduto”[14].
«È in
questo senso che un poeta dice: «La realtà è un luogo comune dal
quale sfuggiamo con la metafora». La metafora letteraria stabilisce
una comunicazione analogica tra realtà assai lontane e differenti,
dando intensità affettiva all’intelligibilità che produce.
Generando onde analogiche, la metafora supera la discontinuità e
l’isolamento delle cose»[15].
«Le
due realtà, identificandosi nella metafora, cozzano l’una con
l’altra, si annullano reciprocamente, si neutralizzano, si
materializzano. La metafora diviene la bomba atomica mentale»[16].
Sentiamo
Aristotele e Leopardi sui pregi del linguaggio.
Nella Poetica lo
Stagirita indica le qualità del linguaggio: "Levxew~
de; ajreth; safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (1458a, 18
). Pregio del linguaggio è essere chiaro
e non pedestre.
Il poeta è libero di variare rispetto all’usuale. Il linguaggio si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine:“xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (1458a, 22 ), con peregrino intendo la glossa, la metafora, allungamento e ogni forma contraria all’usuale. Glossa è la locuzione non comune, quella di cui non tutti fanno uso (1457b, 4). Metafora è il trasferimento del nome da una cosa a un’altra: “metafora; dev ejstin ojnovmato~ ajllotrivou ejpiforav” (1457b, 7). In conclusione, la capacità di gran lunga più importante è quella del saper fare uso della metafora - polu; de; mevgiston to; metaforiko;n ei\nai. Questo non si può prendere da altri ed è segno di buone doti naturali. - eujfuivÖa" te shmei`ovn ejsti.
Sapere
usare bene le metafore significa saper vedere il somigliante (to;
ga;r eu\ metafevrein to; to; o{moin qewrei`n ejsti, 1459a
7 - 8).
Un
segno di intelligenza che è suvnesi",
ossia la capacità di mettere insieme (sunivhmi). E’ la
topologia fi Cacciari ed è il metodo comparativo che pratico prima
che venisse di moda e continuerò a praticare quando la moda sarà
passata perché richiede cultura, sensibilità e, appunto
intelligenza. Potete constatarlo.
Nella Retorica Aristotele
torna sull’argomento : «bisogna rendere peregrino il linguaggio
(dei' poie'n xevnhn th;n
diavlekton), poiché gli uomini sono ammiratori delle cose
lontane» (III, 1404b).
La
metafora del resto possiede in massimo grado chiarezza (to;
safev~), piacevolezza (to;
hJduv) e stranezza (to;
xenikovn), e non è possibile prenderla da altri (Retorica,
III, 1405a).
Nello Zibaldone di
Leopardi leggiamo: «le parole lontano,
antico,
e simili sono poeticissime e piacevoli, perché destano idee vaste, e
indefinite, e non determinabili e confuse» (1789). E, più avanti
(4426): «il poetico, in un modo o in altro modo, si trova sempre
consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago».
Il
canto corale, a più voci, entra in questa poetica
del vago e dell’indefinito.
Il
coro infatti è "parte di quel vago, di quell'indefinito ch'è
la principal cagione dello charme dell'antica
poesia e bella letteratura. L'individuo è sempre cosa piccola,
spesso brutta, spesso disprezzabile. Il bello e grande ha bisogno
dell'indefinito, e questo indefinito non si poteva introdurre sulla
scena, se non introducendovi la moltitudine" (2804).
Leopardi
apprezza molto anche la brevità degli autori.“Quanto una lingua è
più ricca e più vasta, tanto ha bisogno di meno parole per
esprimersi, e viceversa quanto è più ristretta, tanto più le
conviene largheggiare in parole per comporre un’espressione
perfetta. Non si dà proprietà di parole e modi senza ricchezza e
vastità di lingua, e non si dà brevità di espressione senza
proprietà” (Zibaldone, 1822).
“Non
era molto ciò che egli sapeva, ma un uomo intelligente sa con dieci
parole dire meglio che uno sciocco con cento”[17].
Bologna
16 giugno 2020 ore 19. giovanni ghiselli
p.
s. questo
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In
bocca al lupo a tutti!
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