John William Waterhouse, Decameron |
Prima parte della conferenza che terrò il 2 settembre alla
festa provinciale dell’Unità di Bologna.
Il tema è Boccaccio
In questa sezione prendo spunto dal Proemio del Decameron per parlare della condizione
delle donne.
Il Decameron fu
scritto da Giovanni Boccaccio tra il 1349 e il 1353.
Il Proemio
La compassione e la gratitudine.
Il Proemio comincia così: “Umana cosa è l’aver compassione
degli afflitti”, che poi sono uomini innamorati non contraccambiati, e
soprattutto le donne innamorate e respinte.
Scrive per gratitudine verso chi gli ha dato conforto in un
amore ormai passato poiché “la gratitudine tra l’altre vertù è sommamente da
commendare ed il contrario da biasimare”.
Cfr. la condanna dell’ingratitudine in Senofonte[1],
e l’elogio della gratitudine nell’Eracle
di Euripide[2].
La condizione femminile. La reclusione della donna .
Il conforto sarà conveniente donarlo “più alle vaghe donne
che agli uomini… Esse dentro a’dilicati petti, temendo e vergognando, tengono
l’amorose fiamme nascoste” fiamme più forti delle palesi e “oltre a ciò, ristrette
da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli
e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito delle loro camere racchiuse
dimorano, e quasi oziose[3]
sedendosi… Seco rivolgono diversi pensieri, li quali non è possibile che sieno
sempre allegri”.
Medea, la donna abbandonata e non rassegnata.
Leggiamo alcuni versi con i quali la Medea di Euripide lamenta
la reclusione in casa delle donne.
“Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,
noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare[4] un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male.
E in questo sta la gara massima, prenderlo cattivo
o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo.
Quella poi giunta tra nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia un'indovina, se non ha appreso da casa
con quale atteggiamento tratterà nel modo più appropriato il marito.
E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
uscito fuori, depone la noia dal cuore
(volgendosi a un amico o a un coetaneo):
per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola “. (Medea, vv. 230-251).
La moglie silenziosa e sottomessa: Andromaca, personaggio delle tragedie di Euripide Troiane e Andromaca.
“Fra tutti gli esseri, quanti sono vivi e hanno raziocinio,
noi donne siamo la creatura più tribolata:
noi che innanzitutto dobbiamo comprare[4] un marito
con gran dispendio di ricchezze, e prenderlo come padrone
del corpo, e questo è un male ancora più doloroso del male.
E in questo sta la gara massima, prenderlo cattivo
o buono. Infatti non danno buona fama le separazioni
alle donne, e non è possibile ripudiare lo sposo.
Quella poi giunta tra nuovi costumi e leggi,
bisogna che sia un'indovina, se non ha appreso da casa
con quale atteggiamento tratterà nel modo più appropriato il marito.
E se con noi che ci affatichiamo in questo con successo,
il coniuge convive, sopportando il giogo non per forza,
la vita è invidiabile; se no, bisogna morire.
Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
uscito fuori, depone la noia dal cuore
(volgendosi a un amico o a un coetaneo):
per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola “. (Medea, vv. 230-251).
La moglie silenziosa e sottomessa: Andromaca, personaggio delle tragedie di Euripide Troiane e Andromaca.
L’Andromaca delle Troiane (del 415) di Euripide è tutt’ altro tipo di sposa. Anche
Ettore del resto non era Giasone
Sentiamo la vedova dell’eroe troiano :
"Io che mirai
alla buona fama (ejgw;
de; toxeuvsasa[5] th'" eujdoxiva", v.643) / dopo averla ottenuta in larga misura,
fallivo il successo (th'"
tuvch" hJmavrtanon, v. 644) [6]./Infatti
quelle che sono le qualità conosciute di una sposa saggia / io le mettevo in
pratica nella casa di Ettore. / Là dunque per prima cosa / che vi sia o non vi
sia / motivo di biasimo per le donne (yovgo" gunaixivn,
v. 648) / la cosa in sé attira / cattiva fama se una donna non rimane in casa [7], / io,
messo via il desiderio di questo, rimanevo in casa ("e[mimnon ejn dovmoi"", v. 650); / e dentro casa non facevo entrare
scaltre chiacchiere di donne /, ma avendo come maestro il mio senno (to;n de; nou'n didavskalon, v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa. / E
allo sposo offrivo silenzio di lingua e volto / calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q
j h{sucon povsei-parei'con", vv.
654-655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo, / e in che cosa bisognava
che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643-656).
La totale abnegazione
di Andromaca in favore del marito.
In un’altra tragedia, Andromaca, la vedova di Ettore istruisce
la più giovane Ermione dicendole che addirittura lei allattava i bastardi del
proprio sposo.
La competizione va abolita per lasciare la
vittoria all'uomo: "Bisogna infatti che la donna, anche se viene data in
moglie a un uomo da poco/lo ami e non
faccia gare di pensieri" (Andromaca, vv. 213-214).
In nome della
sottomissione, Andromaca suggerisce di abbassare la testa e reprimere ogni
sentimento e pensiero che non sia di devozione nei confronti dello sposo.
Quindi, poco più avanti, aggiunge:: "O carissimo Ettore, io per compiacerti
/ partecipavo ai tuoi amori[8],
se in qualche occasione Cipride ti faceva scivolare,/e la mammella ho offerto
già molte volte ai tuoi bastardi /, per non darti nessuna amarezza. / E così
facendo attiravo a me lo sposo / con la virtù ; tu[9]
neppure una goccia di celeste rugiada/ lasci che si posi sul tuo sposo per
paura" (vv. 222-228).
L'abnegazione di Andromaca arriva al punto di
accettare le amanti di Ettore condividendo gli amori di lui, ossia amandole. Se
questo le dava amarezza (pikrovn , v. 225) non importa: bastava toglierla allo sposo.
L’antifemminismo
di Andromaca e quello, vero o presunto, di Euripide
Euripide ha ricevuto da Aristofane, tra l’altro, la reputazione di misogino:
nelle Tesmoforiazuse che rappresenta
le donne alla festa di Demetra, una battuta attribuita al personaggio del
tragediografo manifesta il suo timore delle femmine umane decise a vendicarsi
per tutte le maldicenze, più o meno giustamente, subite: “mevllousi
m j aiJ gunai'ke~ ajpolei'n thvmeron / toi'~ Qesmoforivoi~, o[ti kakw'~ aujta;~
levgw" (vv. 181-182), oggi alle
Tesmoforie le donne vogliono uccidermi poiché dico male di loro[10].
Andromaca
dunque conclude l'episodio (il primo della tragedia) scagliando un anatema
contro tutte le donne immorali, o contro tutte le donne esclusa se stessa, se
vogliamo dare credito alla nomea di antifemminismo del suo creatore:
"E'
terribile che uno degli dèi abbia concesso farmaci
ai mortali
anche contro i morsi dei serpenti velenosi,
mentre per
ciò che va oltre la vipera e il fuoco,
per la
donna, nessuno ha trovato ancora dei rimedi
se è
cattiva: così grande male siamo noi per gli uomini"(269-273).
Un
antifemminismo certamente professato da Andromaca nel secondo episodio:
"non
bisogna preparare grandi mali per piccole cose
né, se noi donne
siamo un male pernicioso,
gli uomini devono assimilarsi alla nostra
natura"(352-354).
Più avanti Ermione, la moglie legittima, parlando con
Oreste, deplora la rovina subita dalle visite delle comari maligne: "kakw'n gunaikw'n ei[sodoi m ' ajjpwvlesan" (v. 930). La sposa che
permette a tale genìa di guastare la sua intesa coniugale, viene come
trascinata da un vento di demenza. Sentiamo la figlia di Menelao pentita di
essersi lasciata montare la testa da queste pessime maestre che hanno provocato
la rovina del suo matrimonio con Neottolemo: "Ed io ascoltando queste
parole di Sirene[11], /
scaltre, maligne, variopinte, chiacchierone, / fui trascinata da un vento di
follia. Che bisogno c'era infatti che io / controllassi il mio sposo, io che
avevo quanto mi occorreva? / grande era la mia prosperità, ero padrona della
casa, / e avrei generato figli legittimi, / quella[12]
invece dei mezzi schiavi e bastardi[13]
servi dei miei. / Mai, mai, infatti non lo dirò una sola volta, / bisogna che
quelli che hanno senno, e hanno una moglie, / lascino andare e venire dalla
moglie che è in casa / le donne: queste infatti sono maestre di mali: / una per
guadagnare qualcosa contribuisce a corrompere il letto, / un'altra, siccome ha
commesso una colpa vuole che diventi malata con lei, / molte poi per
dissolutezza; quindi sono malate / le
case degli uomini. Considerando questo, custodite bene / con serrature e
sbarre le porte delle case; / infatti nulla
di sano producono le visite / dall'esterno delle donne ma molte brutture
e anche dei mali (vv. 936-953).
Secondo Senofonte[14]
la sposa deve occuparsi dei lavori interni alla casa, mentre il marito seguirà
quelli esterni. Infatti per la donna è più bello restare dentro casa che vivere
fuori (" Th'/ me;n ga;r gunaiki;
kavllion e[ndon mevnein h] quraulei'n", Economico , VII, 30); per l'uomo al contrario è più vergognoso
rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.
Nella Lisistra, Aristofane fa dire all'ateniese
Cleonice:"caleph; toi gunaikw'n
e[xodo" "(v. 16), è difficile per noi donne uscire. Infatti,
spiega questa sposa, una di noi deve attendere il marito, l'altra deve
svegliare lo schiavo, l'altra mettere a letto il bambino, l’altra lavarlo,
l'altra imboccarlo (vv. 17-20). Ma, ribatte Lisistrata, ci sono cose più
importanti per loro (v. 20). Si tratta di porre termine alla guerra. Noi donne
di Atene, con quelle di Beozia e con quelle del Peloponneso, sostiene la
protagonista, insieme salveremo la Grecia (koinh'/
swvsomen th;n JEllavda"[15]
(v. 41).
Mettiamoci almeno un
autore latino, un santo per giunta.
Al tipo della moglie
sottomessa appartiene Monica, la madre di Agostino la quale “tradita viro servivit veluti domino” (Confessiones, 9, 9), affidata al marito,
lo servì come un padrone. Non solo: “ita
autem toleravit cubilis iniurias, ut nullam de hac re cum marito haberet umquam
simultatem”, del resto tollerò le offese del letto tanto da non farne mai
motivo di litigio.
E non è finita qui:
aveva imparato a non opporsi al marito infuriato e questa remissività la
salvava dalle botte che invece le mogli litigiose buscavano. E quando ne
parlavano con lei “illae arguebant
maritorum vitam, haec earum linguam”, quelle accusavano la vita dei mariti,
ella la loro lingua. Ricordava pure che il contratto matrimoniale prevedeva la
loro schiavitù, per cui, memori della loro condizione, non era il caso che
fossero arroganti con i loro padroni: “proinde
memores conditionis superbire adversus dominos non oportere”. Ella con il
suo metodo non prendeva botte dal pur violento marito Patrizio. Insomma Monica
era persevērans
tolerantiā et
mansuetudine, persistente nella
tolleranza e nella mansuetudine.
E, per concludere la
rassegna, un autore mitteleuropeo.
Non diversi da quelli di Ettore sono i gusti
del triestino Zeno:"Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla
mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua,
mentre metteva in salvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di
naftalina"[16].
Ma torniamo a Boccaccio
Il Certaldese afferma, come la Medea di Euripide, che gli
uomini, diversamente dalle donne, hanno molte possibilità di alleviare
“malinconia o gravezza di pensieri…che a loro, volendo essi, non manca l’andare
attorno, udire e vedere molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare,
giucare o mercatare” attività con le quali possono trarre l’animo a sé “e dal
noioso pensiero rimuoverlo”.
In conclusione di Proemio, l’autore del Decameron espone la sua intenzione di porre un rimedio al peccato
della fortuna.
Questa “ dove meno era di forza, sì come noi nelle dilicate
donne veggiamo, quivi più avara fu di sostegno”. E allora: “ in soccorso e
rifugio di quelle che amano, perciò che all’altre è assai l’ago il fuso e
l’arcolaio, io intendo di raccontare cento
novelle o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece
giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso
tempo della passata mortalità”.
Giovanni Ghiselli
[1]
Senofonte Nella Ciropedia annette al vizio capitale dell'ingratitudine quello
dell'impudenza che
anzi considera madre di tutte le turpitudini: "e{pesqai de; dokei'
mavlista th'/ ajcaristiva/ hJ
ajnaiscuntiva: kai; ga;r au}th megivsth dokei'
ei\nai ejpi; pavnta ta; aijscra; hJgemwvn" (I, 2, 7),
pare che all'ingratitudine di solito si accompagni
l'impudenza: questa infatti sembra essere
la guida più grande verso tutte le
brutture.
[2]
Il tragediografo mette in evidenza il
grande valore della gratitudine
quale componente dell'amicizia nell'Eracle dove Teseo non ha dimenticato
l'aiuto ricevuto dall'amico che lo ha riportato in luce dal regno dei morti (v.
1222) e, disponendosi ad aiutarlo, gli dice: "cavrin de;
ghravskousan ejcqaivrw fivlwn"
(v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia, e chi vuole godere
delle cose belle ma non imbarcarsi con gli amici quando se la passano male.
[3]
L’ozio è un pessimo consigliere: spinse Egisto a
sedurre la cognata e a preparare la morte del marito tradito e di loro due
amanti. Cfr. Ovidio: "Quaeritis
Aegisthus quare sit factus adulter; / in promptu causa est; desidiosus erat" (Remedia amoris, vv. 161-162),
volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano:
non aveva nulla da fare. Gli altri Greci infatti facevano la guerra e ad Argo
non c'erano processi a impegnarlo.
[4]
Con la dote.
[5]
L'ottima sposa si presenta,
metaforicamente, come un arciere toxovth" che con il suo arco (tovxon)
mira alla buona reputazione cui si accompagna la felicità nella culture of
shame
[6]
Euripide sembra indicare l'insufficienza "della cultura di vergogna"
[7]
Nell'Elettra di Euripide il contadino che ha sposato la figlia di
Agamennone senza del resto consumare il matrimonio, dopo avere visto la moglie
che parla con Oreste davanti alla casupola,
le dice: "gunaikiv
toi-aijscro;n met'
ajndrw'n eJstavnai neaniw'n" (vv.
343-344), per una donna certo è una vergogna stare fuori con uomini giovani.
[8] Cfr. Amarcord di
Fellini.
[9]
Andromaca sta istruendo la più giovane Ermione che è anche la moglie di
Neottolemo il quale la pospone alla vedova di Ettore.
[10] Il
parente che si reca alla festa travestito da donna per difendere Euripide,
risponde all’accusatrice la quale lo rimprovera poiché fa il paladino di un
tragediografo che non ha rappresentato mai una Penelope, gunh; swvfrwn (Tesmoforiazuse, v. 548), una signora per bene. Ecco
le parole del difensore di Euripide :"io infatti conosco la causa: ché,
tra le donne di ora, non potresti menzionarmi una sola Penelope, sono tutte
Fedre, dalla prima all'ultima"(vv. 549-550). Con questo nome si intende la
moglie infedele, anzi sgualdrina come viene chiamata Fedra in compagnia di
Stenebea nelle Rane
(v. 1043). Ma la creatura di Euripide è un'altra cosa. Casomai donna favorevole
ai facili costumi nell’Ippolito è la nutrice di Fedra che cerca di favorire il soddisfacimento della libidine
della sua signora per il figliastro in varie maniere: prima spingendola a non
curarsi dell'integrità morale: "chi è nato per morire non deve passare la
vita affaticandosi troppo" (Ippolito, v. 467); quindi tentando di
chiarirle di quale cosa veramente necessiti:"tu non hai bisogno di parole
piene di decoro, ma di quell'uomo"(Ippolito, 490-491). Infine la nutrice rivela l’amore della sua
pupilla a Ippolito il quale, dedito principalmente a intrecciare ghirlande con
fiori colti da prati immacolati (vv.73-74) per donarle ad Artemide, una dea
vergine, dà in escandescenze, e si scaglia contro le femmine umane tutte,
biasimate in ogni possibile versione, tanto che per ciascuna viene auspicata
come naturale la convivenza con le bestie mute (v.646). Leggiamo
l’intera invettiva: “O Zeus
perché ponesti nella luce del sole le donne, un male
ingannatore per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe mortale, non era necessario ottenere questo dalle donne
, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un
peso di bronzo, comprassero il seme dei figli, ciascuno del valore del dono
offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando
dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità
della casa. Con questo è chiaro che la donna è un gran malanno: infatti il
padre che l'ha generata e allevata, dopo avere aggiunto la dote la colloca
altrove, per liberarsi da un male. Quello che ha preso in casa la pianta
perniciosa invece, gode nel caricare di ornamenti belli l'idolo pessimo e si
affatica per i pepli, infelice, distruggendo la ricchezza della casa. Ma è
costretto al punto che, se si è imparentato bene, si tiene lieto un letto
amaro, mentre, se ha preso buoni letti ma parenti inutili stringe con il bene
una sciagura. E' più facile per quello con il quale si è messa in casa una
nullità, che del resto è una donna inutile per la stoltezza. La saccente poi la
detesto; che non stia in casa con me una donna la quale pensi più di quanto a una
donna convenga. Infatti l'operare malvagio Cipride lo fa nascere più nelle
saccenti; mentre una donna sprovveduta è sottratta alla pazzia dalla sua mente
corta. Bisognerebbe poi che dalla donna non andasse una serva ma che con loro
vivessero le mute bestie feroci tra i bruti, affinché non potessero parlare ad
alcuno né ricevessero a loro volta voce da quelle. Ma ora le scellerate che
sono in casa filano tele scellerate e le serve le portano fuori. Come anche tu,
certo, scellerata testa, sei venuta da me per trafficare il letto inviolabile
del padre, infamie che io ripulirò con acque correnti, versandole nelle
orecchie. Come dunque potrei essere cattivo io che avendo udito tali infamie
ritengo di essere impuro? Sappi bene o donna che ti salva la mia religiosità:
se infatti non fossi stato preso alla sprovvista da giuramenti sugli dèi, non
mi sarei mai trattenuto dal rilevare questo al padre. Ma ora me ne vado al
palazzo finché Teseo è lontano dalla regione, e terrò la bocca in silenzio.
Poi, tornato con il piede del padre, osserverò come lo guarderai tu e la tua
padrona; e mi renderò conto, avendola assaggiata, della tua sfrontatezza.
Possiate morire! Non mi sazierò mai di odiare le donne, neppure se uno dice che
io lo ripeto sempre; infatti quelle appunto sono sempre malvagie in una maniera
o nell'altra. Dunque o qualcuno insegna loro a essere sagge, oppure lasci che
io le calpesti sempre" (Ippolito vv. 616-668).
[11] Sono
mostri che adescano i naviganti con la malìa del loro canto per poi ucciderli. Per
attirare Odisseo gli dicono che chi fa sosta da loro riparte pieno di gioia e
conoscendo più cose ("kai; pleivona eijdwv"",
Odissea, XII, 188). Ma il figlio di Laerte, unico tra gli uomini, riesce
a udire il canto delle Sirene senza esserne sedotto. Come nel caso di Circe,
come in quello dell'accesso all'Ade, egli sa che cosa deve fare, e di fronte
alle Sirene escogita uno stratagemma: tappa gli orecchi dei suoi marinai e si
fa legare all'albero della nave.
[12] Andromaca che dopo la morte
di Ettore e la caduta di Troia era diventata , per forza, schiava e amante di
Neottolemo, il figlio di Achille. .
[13] Si può pensare all'elogio dei bastardi
pronunciato da Edmondo, il figlio illegittimo (di Gloster) che nel Re Lear
si presenta come devoto adoratore della dea natura. "Thou, Nature, art
my goddess". Bastardo dunque, secondo la natura, è un titolo
onorifico: "Noi nel gagliardo furto di natura prendiamo una tempra più
solida maggior fierezza di carattere rispetto ai gonzi generati tra il sonno e
la veglia in un letto freddo, frollo e fiacco" (I, 2).
[14]
430 ca-355ca a. C.
[15]
Ricevo oggi, 3 marzo 2003, questa posta elettronica dagli USA:"Oggi, in
almeno 600 citta americane, leggeranno Lysistrata (non lo so come
si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un
gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN.
Tanti saluti .Agatha.
si scrive in italiano) come una forma di lotta contro la guerra. Purtroppo non ho informazione piu precise, la cosa e organizzata da un
gruppo di femministe, l'ho sentita su CNN.
Tanti saluti .Agatha.
[16] Svevo,
La coscienza di Zeno, p. 241.
ciao Gianni,i tuoi brani sono sempre interessanti...non vedo l'ora di assistere alla tua conferenza del 2 Settembre a Bologna : devo dire che hai stuzzicato la mia curiosità con questi esempi ( o suggerimenti?) di comportamenti femminili .Se la mitezza e la mansuetudine aiutano i rapporti mi sembra di ricordare che le donne del Boccaccio suggeriscono anche altri modelli,...insomma conto sulla bella conferenza che terrai per approfondire l'argomento. Dalle tue lezioni imparo sempre tanto e te ne sono grata. Giovanna
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