Maria Teresa Fabbri, donna ferita |
Continua a gocciare sulle nostre coscienze lo stillicidio del sangue uscito fuori dal corpo di donne uccise da uomini che non sopportano di essere lasciati. Invece di limitarsi a lamenti come quelli di Arianna abbandonata da Teseo1, o a querimonie simili al piagnucolare di Orfeo2 che, non senza sua colpa, ha perso Euridice, costoro infieriscono sul corpo delle ex compagne facendone scempio.
Questi
orrendi misfatti che si ripetono ogni giorno vengono puntualmente,
giustamente, e quasi unanimemente esecrati dalla stampa.
Ma sinora non sono stati fermati, né ridotti di numero,
di frequenza, e, anzi, sono in aumento.
Allora
provo a indicare una modesta spiegazione delle cause e una men che
modesta proposta di rimedio.
Tuttavia
ne potrebbero ricavare qualche suggerimento le femmine umane in
pericolo e perfino i maschi tentati di porre termine al loro tormento
amoroso, al loro avvilimento, addirittura al loro essere uomini,
perpetrando un crimine brutale, da bestie feroci. Ho scritto “bestie”
non come slogan, e “feroci” non quale epiteto ingiurioso
suggerito dall’ira che pure mi detta queste parole a loro volta non
miti.
Difficile
est tragoediam non scribere.
Gli
assassini delle femmine umane rinunciano all’identità di uomini
per non sentirsi dei rifiutati, dei falliti, dei valutati quali
“nessuno”.
Il
fatto è che l’amore per una persona, se viene contraccambiato, è
una conquista di identità. Pensa, lettore, al protagonista di Il
grande Gatsby.
Daisy per lui era la conferma necessaria dell’
ingresso sognato, desiderato con tutto il suo essere, nel mondo dei
ricchi.
Un mondo non bello, né buono, spietato, corrotto,
indifferente ai sentimenti, un globo sensibile solo al denaro, che
però attirava le brame di quest’uomo, frustrato fin da bambino.
Oppure
pensiamo a Medea, che, figlia del re della Colchide, lascia la
patria, rinuncia al suo rango, tradisce la famiglia di origine, per
diventare la sposa di Giasone, la madre dei suoi figli, poi viene
scartata, posposta a un’altra, una principessa greca, assai più
conveniente per quell’uomo pragmatico.
Allora la donna arcaica, la barbara abbandonata, non
sopporta di perdere questa seconda identità, scelta in cambio della
prima, un cambio sbagliato. Medea non tollera il proprio errore, non
perdona chi l’ha ingannata, e non prova compassione per nessuno,
nemmeno per se stessa. Quindi ammazza i bambini avuti da Giasone.
Non
c’è cosa più amara della perdita dell’identità cercata con
tutte le forze e temporaneamente raggiunta. Non esiste dolore più
grande.
Allora
è necessario inserire l’educazione amorosa, la paideia dei
sentimenti nei programmi educativi, poiché in questo campo
l’analfabetismo è molto diffuso, assai più che in quello
linguistico.
Non
pochi sono i testi letterari che possono fornire idee a un magister
amoris.
Penso
a Ovidio il quale indica l’ozio tra le cause della smania erotica:
"Quaeritis Aegisthus quare sit
factus adulter; / in promptu causa est; desidiosus erat"
(Remedia amoris, vv. 161-162), volete sapere perché
Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva
nulla da fare.
Sappiamo
tutti come finirono l’adultero Egisto, l’adultera Clitennestra e
Agamennone, il marito tradito. Questo fu ucciso dai due amanti che a
loro volta vennero ammazzati da Oreste, il figlio di Clitennestra
vendicatore del padre.
L’inattività
dunque può essere una pessima consigliera. Ora del resto l’ozio il
più delle volte non è una scelta, poiché tante persone perdono il
lavoro con lo stipendio e, spesso, con questi, anche l’equilibrio
mentale.
Un’altra
causa di squilibrio può essere la clausura in solitudine.
La Medea di Euripide, prima di ammazzare i bambini lamenta la condizione della donna, e pone tra le penalizzazioni più gravi del suo sesso quella della reclusione solitaria in casa: “Un uomo poi , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa, / uscito fuori, depone la noia dal cuore/ volgendosi a un amico o a un coetaneo; / per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona”3.
Contare
su una sola persona dunque è sbagliato.
Giovanni
Boccaccio che conosceva bene il poeta dell’Ars
amatoria,
il magister
Naso4,
sostiene che gli uomini hanno molte possibilità di alleviare
“malinconia o gravezza di pensieri… Che a loro, volendo essi, non
manca l’andare attorno, udire e vedere molte cose, uccellare,
cacciare o pescare, cavalcare, giucare o mercatare” attività con
le quali possono trarre l’animo a sé “e dal noioso pensiero
rimuoverlo”.
Le
donne invece il più delle volte sono confinate in casa, e allora
sarà conveniente donare il conforto delle sue cento novelle o favole
o parabole “più alle vaghe donne che agli uomini”, in quanto
”esse dentro a’dilicati petti, temendo e vergognando, tengono
l’amorose fiamme nascoste” e “oltre a ciò, ristrette da’
voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri,
de’ fratelli e de’ mariti, il più del tempo nel piccolo circuito
delle loro camere racchiuse dimorano, e quasi oziose sedendosi…seco
rivolgono diversi pensieri , li quali non è possibile che sieno
sempre allegri”5.
Ma
qui si parla di donne.
Noi
invece cerchiamo le cause della depressione e della follia omicida
dei maschi.
Abbiamo
indicato alcuni fattori che possono scatenare la pazzia criminale:
l’orrore della perdita di identità, e il non avere niente da fare,
la solitudine imposta, nessun altro interesse che la relazione
simbiotica con un’altra persona.
Passiamo
alla prevenzione.
E’
inutile andare ad applaudire le assassinate dentro le bare, a me pare
anche un’idiozia, e quasi uno sberleffo ai cadaveri di quelle
persone che non sono state protette da vive: bisogna prevenire questi
femminicidi, con l’educazione dei bambini e degli adolescenti,
maschi e femmine, e con la prevenzione: al primo segno, direi al
primo accenno di violenza, anche solo verbale, il minacciante deve
essere redarguito e minacciato a sua volta. Al secondo segno, è
necessario un allontanamento forzoso dalla donna, al terzo, galera,
mesi o anni di galera.
Prima
ci sarà lo qewrei'n,
l’ osservare, poi il
nouqetei'n,
l’ammonire e l’ajpeilei'n,
il minacciare, quindi il kolavzein,
il punire. Così l'Areopago, secondo Isocrate, katei'ce,
teneva a freno i cittadini e impediva l' ajkosmiva
, la condotta disordinata6.
Trovo
citate alcune parole di Nancy, figlia di Antonella Russo, la
quarantottenne ammazzata dal marito ad Avola: “Le istituzioni sono
state sorde. Mia mamma ha lottato per vivere, ha denunciato ai
carabinieri quello che stava subendo, ma il suo grido d’aiuto è
rimasto inascoltato”.
E
il figlio Marco: “Le denunce sono state almeno tre nell’ultimo
mese e decine di segnalazioni negli anni. Se le istituzioni avessero
preso un provvedimento, questa tragedia sarebbe stata evitata. La
colpa è delle forze dell’ordine che non sono intervenute”.
Alcuni
parlano di complicità delle donne nel prendersi certi uomini, nel
subire le loro vessazioni. Questi ragazzi siciliani, della zona più
grecizzata della splendida e calunniatissima isola, non più mafiosa
di altre zone abitate da noi italica gente, denunciano con forza e
con chiarezza la complicità o almeno l’inefficienza delle
istituzioni.
In
conclusione: meno applausi alle bare, meno canti in chiesa e maggiore
cura dell’educazione, maggiore attenzione e tempestivo seguito alle
denunce.
Nella
cattedrale di Pergola, qui nel pesarese, al funerale della
trentunenne Lucia Bellucci, cantavano: “E miracolosamente non ho
smesso di sognare”.
E’
invece ora di smettere di sognare, di lamentarsi, di chiacchierare: è
già tempo di prendere provvedimenti per non andare ad applaudire
altre bare di donne ammazzate da uomini che hanno perso la loro
identità di uomini umani.
Giovanni
Ghiselli
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1
Nell'opus
maximum di Catullo, il
carme 64, di 408 esametri, la figlia di Minosse,
piantata in asso da Teseo mentre dormiva nell'isola di Dia, al
risveglio si dispera, corre come una puledra e impreca contro il
perfido amante: "Sicine
me patriis avectam, perfide, ab aris, / perfide, deserto liquisti in
litore, Theseu? / Sicine discedens neglecto numine divum / inmemor
a! devota domum periuria portas?" (64,
vv. 132-135) è così che tu, traditore, condottami via dal focolare
paterno, mi hai abbandonata in una spiaggia deserta, Teseo,
traditore? E' così che tu, fuggendo dopo avere disprezzato il
potere dei numi, dimentico ah! porti a casa i tuoi maledetti
spergiuri?
2
Virgilio nella IV Georgica
assimila Orfeo all’usignolo privato dei
suoi piccoli per aggiungere pathos e ornamento mitico al dolore del
cantore trace che ha perduto la sposa. Egli pianse sette mesi tutti
interi sotto un'alta rupe presso l'onda dello Strimone deserto, da
solo, e rievocò questi fatti sotto le gelide stelle ammansendo le
tigri e trascinando con il canto le querce, "qualis
populea maerens philomela sub umbra / amissos queritur fetus, quos
durus arator / observans nido implumis detraxit; at illa / flet
noctem, ramoque sedens miserabile carmen / integrat, et maestis late
loca questibus implet" (vv.
511-515), quale l'usignolo addolorato sotto l'ombra del pioppo
lamenta le creature perdute, che il crudele aratore spiando trasse
giù implumi dal nido; ma quello piange nella notte e, posato sul
ramo, rinnova il compassionevole canto e per largo tratto riempie i
luoghi di tristi lamenti.
4
Alla fine dell'Ars Amatoria leggiamo:
"Lusus habet finem...Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea turba,
puellae / inscribant spoliis Naso Magister Erat" (III,
809 e 811-812), il gioco è finito...Come una volta i giovani, così
ora le ragazze, mio seguito, scrivano sulle prede Nasone Fu Il
Maestro.
6
Areopagitico, 44 ss.
Io penso che ci sia un senso di frustrazione più generale che si somma alla perdita di identità del maschio, il quale, quando è anche ignorante, non trova altra via per affermarsi che la violenza. Naturalmente ciò è da condannare e le forze dell'ordine devono fare il proprio dovere; tuttavia penso anche che ci dovrebbe essere più amicizia tra i sessi, da entrambe le parti.
RispondiEliminaAlessandro