NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 30 agosto 2013

Boccaccio, terza parte






Terza parte della conferenza che terrò lunedì 2 Settembre alle ore 18 nella  Libreria Trame, via Goito 3, Bologna.
La prima parte è in questa pagina, la seconda in questa


Giovanni Boccaccio (1313-1375)

Vita e opere


Vocato alle lettere ex utero matris, sebbene figlio del mercante Boccaccio di Chelino.
Nel 1327 il padre lo portò a Napoli presso la corte del re Roberto d’Angiò. La mercatura non gli piaceva e nemmeno gli studi di diritto canonico lo avvinsero.
Il padre lo pose a stare con un grande mercante appresso il quale nello spazio di tre anni  “non feci altro profitto che perdere tempo…Le regole pontificali mi fastidivano l’animo…Ero spinto alla poesia da antichissima disposizione. Sicché non sono stato negoziatore né canonista”.
Fino al 1340 rimase a Napoli, impressionato dalle eleganze della corte e pure dalla brulicante vita dei vicoli, fino ai sordidi chiassetti.
A Napoli frequentava i nobili che “vedevano in me consuetudini d’uomo e non di bestia, ed assai delicatamente vivere, sì come noi fiorentini viviamo ; vedevano la casa e la masserizia mia, secondo la misura della possibilità mia, splendida assai (Lettera a Francesco Nelli).
Del resto Napoli viveva “lieta, pacifica, abondevole, magnifica e sotto ad un solo re” (Fiammetta, II).
Firenze invece era “piena di voci pompose e di pusillanimi fatti”.
Nel 1330 Cino da Pistoia insegnava diritto civile a Napoli e Giotto nel ’32 aveva affrescato Castel Nuovo. Giotto compare nella novella VI, 5 dove appare brutto ma “bellissimo favellatore” e bravo a motteggiare.
B. Fece studi irregolari, da autodidatta, e non si laureò.
La sua formazione era volta alla realtà della vita oltre che alla letteratura.
Fiammetta, la donna amata, era era Maria d’Aquino, una figlia naturale del re Roberto.
Il suo nome si trova anche tra quelli delle 7 giovani donne della brigata.

Nel 1340 B. torna a Firenze di mala voglia
Dimorò poi anche a Ravenna alla corte di Ostasio da Polenta, e a Forlì al seguito di Francesco degli Ordelaffi, ma nel 1348, l’anno della peste, era a Firenze. 
Nel ’50 incontrò il Petrarca del quale fu ammiratore fin dagli anni giovanili. La corrispondenza con il grande Aretino contribuì a chiarire il suo impulso verso gli studi umanistici e dare un indirizzo più austero alla sua vita, fino a prendere
 gli ordini minori.  Fondò nella sua casa gli incunaboli del primo circolo umanistico fiorentino con Filippo Villani, Luigi Marsili e Coluccio Salutati.

Le opere
Boccaccio è poeta e narratore di vicende amorose. Di lui si può dire quello che scrive Ovidio di Menandro "Fabula iucundi nulla est sine amore Menandri", nessuna commedia del piacevole Menandro è senza amore (Tristia , II, 369)
Ovidio menziona anche Saffo, Anacreonte, Callimaco come poeti d’amore e sostiene che pure i poemi omerici contengono storie d’amore, e perfino le tragedia materiam sempre amoris habet (v. 382). Del resto se la sua Musa è iocosa, la vita è verecunda (v. 354).  Insomma, Boccaccio, come Ovidio e altri, fa parte degli scrittori di cose amorose.

A Napoli Boccaccio compone (questa parte è manualistica, e serve solo per consultazione. Non ho letto queste opere. Si può saltare fino all’Elegia di madonna Fiammetta)
La Caccia di Diana poemetto mitologico in terza rima con l’elogio di 58 gentildonne napoletane
Filocolo romanzo in prosa  che narra gli amore di Florio e Biancifiore. Vorrebbe significare, secondo una etimologia spropositata. “fatica d’amore” (in realtà kovlon significa colon e kw`lon, gamba, arto).
B. vi spende 3 anni (1336-1338) di “graziosa fatica”.
Filostrato in ottava rima, di argomento troiano. Il vinto d’amore (cfr. storevnnumi e sterno, abbatto).
Teseida poema epico in ottava rima. Racconta la guerra di Teseo contro le Amazoni e contro Tebe. Sconfigge le Amazoni e Creonte. Ma il nucleo principale non è la guerra, bensì, ancora una volta, una storia d’amore: due prigionieri tebani si innamorano di Emilia, sorella di Ippolita e cognata di Teseo. Il re di Atene è, come nella tragedia greca, l’eroe civilizzatore che ripristina la sepoltura negata da Creonte e recupera alla civiltà le Amazoni
 Dopo il ritorno a Firenze compose
Il  Ninfale d’Ameto  è un prosimetro, ossia misto di canti in terzine e di prosa.  Ameto è un rozzo pastore ingentilito dall’amore, principio di civiltà e purificazione. Boccaccio ha ancora la smania dei riferimenti eruditi, della prosa modellata sugli schemi del periodo latino fino a riuscire contorta e poco comprensibile
l’Amorosa visione poema allegorico in 50 canti di terzine, povera e scolorita.

L'elegia di Madonna Fiammetta è un romanzo psicologico in prosa (1343-44). Fiammetta è una donna abbandonata. C’è finezza nella descrizione della psicologia della donna tradita e sofferente. Anche qui del resto sovrabbondano le reminiscenze erudite, la retorica dei discorsi ampollosi. La prosa è ancora molto artefatta.
B. ha tratto  ispirazione da diversi autori latini, soprattutto  dalle Heroides di Ovidio e dalla Fedra di Seneca.
Qui invece vediamo un  brano di chiara derivazione virgiliana.
Il tema è quello dell’amor omnibus idem
Venere descrive l'invasamento erotico e bellicoso degli animali. La dea dell’amore vuole convincere Fiammetta ad assecondare la sua passione adulterina:"ne' boschi li timidi cervi, fatti tra sé feroci quando costui[1] li tocca, per le disiderate cervie combattono, e, mugghiando, delli costui caldi mostrano segnali; e i pessimi cinghiari[2], divenendo per ardore spumosi, aguzzano gli eburnei denti; e i leoni africani, da amore tocchi, vibrano i colli"[3].

Tale istinto è uguale per tutte le creature viventi:  "Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque / et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres / in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem" ( Georgica III, vv. 243-244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.
Esso, continua Virgilio, accresce la ferocia delle belve: "Tempore non alio catulorum oblita leaena / saevior erravit campis nec funera volgo / tam multa informes ursi stragemque dedere / per silvas; tum saevus aper, tum pessima tigris; / heu, male tum Libyae solis erratur in agris" ( vv. 245-249), in nessun altro tempo dimentica dei cuccioli la leonessa ha errato più furiosa per le pianure, né tanti lutti e strage sparsero gli orsi orribili per le selve; allora il cinghiale è furioso, allora la tigre è più feroce che mai; ahi allora si vaga con rischio nei campi deserti della Libia.
Quest’opera in prosa è scritta per donne le quali sole sono “pieghevoli e agl’infortunii pie”. E’ la confessione dei casi infelici della protagonista.
Nel prologo. B. presenta pure una dichiarazione di realismo, alla Marziale[4]: “Voi leggendo non troverete favole greche ornate di molte bugie, né troiane battaglie sozze per molto sangue, ma amorose”.
Nell’ultimo capitolo, Fiammetta chiede al  suo piccolo libretto di presentarsi “dinanzi alle innamorate donne, e di farlo “rabbuffato con isparte chiome[5], e macchiato[6] di squallore pieno, per somigliare al tempo infelice di chi lo ha scritto”.

il Ninfale fiesolano è un poema eziologico in ottava rima. E’ la favola delle origini di Fiesole e di Firenze attraverso “un’amorosa storia”, quella tra il pastore Africo e la ninfa Mensola che diventeranno due fiumicelli. Qui non c’è sfogo autobiografico né soverchio di erudizione. Qui i modelli sono tratti dalla letteratura popolare toscana: strambotti, cantari, rispetti.  

Il Corbaccio, di poco posteriore al Decameron, è una satira contro una vedova e un’invettiva contro le donne  condannate  quali creature del diavolo. Nei Bestiari, il corvo che toglie ai morti gli occhi e il cervello è paragonato a Eros che accieca l’uomo e lo rende pazzo.
A chi dice che le cose belle, come le stelle e le Muse sono femmine, si può rispondere, è vero che sono femmine, ma non pisciano.
Non sono paffute e naticute come certe femmine che, agghindate e callipigie,  mirano al granaio, per dirla con Esiodo.
Boccaccio conosceva bene la lingua e la letteratura latina, come si è visto; per quanto riguarda il greco, se lo faceva insegnare da Leonzio Pilato che aveva tradotto i poemi omerici, seppure non bene.
Il certaldese scrisse anche opere latine. La più importante è De genealogĭis deorum gentilium in 15 libri, scritta tra il 50 e il 60.  E’ un grande corpus mitologico che contiene la poetica: la poesia è verità filosofica che si ammanta con un velo di favole belle, come la Scrittura, anch’essa poetica finzione. Questa idea è ripresa da Petrarca, Giovanni del Virgilio e Albertino Mussato[7].
Del resto lo aveva già scritto Lucrezio che la poesia serve a rendere più simpatica e gradita la filosofia.
Obiettivi polemici sono i giuristi che disprezzano la poesia perché non reca lucro e i religiosi ipocriti che trattano i poeti da spacciatori di favole.

Il Boccaccio dantista
Lo studio di Dante occupò parte della sua operosa vecchiaia.
Scrisse un Trattatelo in laude di Dante e un Comento che arriva al XVII canto dell’Inferno.
Il Decameron
Fu scritto tra il 1349 e il 1351 ma fu riveduto e rielaborato fino agli ultimi anni di vita.

Vediamo un poco di critica

Benedetto Croce, La letteratura italiana.
La sua è una prosa poesia e pure una prosa retorica, frutto dello studio di Cicerone e degli altri antichi.
Questa prosa umanistica prevale nel Filocolo e nell’Ameto e si affaccia nel Decameron.
Francesco De Sanctis ebbe a scrivere che B. concepisce come Plauto e scrive come Cicerone. Vede il Certaldese come opposto a Dante, in forte contrasto con il Medioevo: sensualità, comicità e satira, già Rinascimento.
B. fu osservatore dell’umana sciocchezza. Egli ammirava non poco gli accorti e abili che ne approfittano.
Nella novella di Ser Cappelletto (I, 1) c’è il riso, la caricatura, la farsa. Ciappelletto è una mirabile forza umana o demonica, mirabile nella capacità artistica di comporre e recitare una parte, commovendo lo spettatore.
Da artista vuole fare ciò che sa di saper fare bene, e lo fa per proprio godimento.
Di Dio non si cura; per lui esistono gli uomini ed egli sa maneggiarli, imbrogliarli, farne i propri giocherelli.
Vuole morire in odore di santità, come san Ciappelletto. E potrebbe dire come Nerone, qualis artifex pereo !.
B. ammira questa forza umana di intelligenza, esperienza, immaginazione, di volontà, di parola
B. anticipa Nietzsche quando giudica folle la guerra di sterminio condotta dallo spirito contro la carne.
Del resto è attirato anche dal mondo cavalleresco. Il suo ideale di magnificenza cavalleresca completa la visione del comico e del sensuale
Boccaccio accetta la vita nella sua varietà.
C’è una realtà alta e una bassa. Questa assume gli aspetti del comico alla luce di quella alta.
Nella novella di Andreuccio  (II, 5) ci sono i bassifondi napoletani del Trecento. Qui trionfano i furbi e pure il caso che volge le condizioni degli uomini “oltre la difension dei senni umani”.
 Andreuccio è un figlio della Tuvch. Nel corso di poche ore è un ingannato e un ingannatore, un derubato e un ladro,
La giovane siciliana era “disposta per picciol pregio a compiacere a qualunque uomo”. (p. 102) Boccaccio lo  dice con sostenutezza e modi eletti[8].
Il ruffiano “mostrava di dover essere un gran bacalare, con una barba nera e folta al volto” (p. 109), insomma poteva sembrare un uomo autorevole.

De Sanctis Storia della letteratura italiana.
Qui trovi il medio evo non solo negato ma canzonato.
Ser Cepperello (I, 1) anticipa Tartufo, ma B. non lo rende odioso, anzi. B. prefigura Voltaire, la sua arma è l’allegra caricatura.
Il libro non corrompeva lo spirito italiano ma lo rifletteva com’era[9].
Tutti i grandi scrittori erano usciti dall’Università di Bologna: Guinicelli, Cino, Cavalcanti, Dante, Petrarca (p. 276).
La Commedia  di Dante è letteratura teocratica, è il poema dell’altra vita.
Già nel Canzoniere di Petrarca il mondo medievale, dantesco, prende un aspetto più umano e naturale. Si perde però la grande fede con i grandi ideali.
Con Petrarca c’è un infiacchirsi della coscienza, rimane il culto della bella forma.
E’ un’arte formale, non riscaldata abbastanza dal contenuto
La corruttela degli Italiani era indifferenza.
Il Canzoniere è elegante al di fuori e fiacco al di dentro
Con Boccaccio il reale prende la sua rivincita.
Andrea del Castagno,
Boccaccio presenta il Decameron
Cfr. Tucidide e Machiavelli.
Boccaccio nacque nove anni dopo il Petrarca e otto prima della morte di Dante. A Napoli si invaghì di Maria (Fiammetta), Maria d’Aquino figlia naturale del re Roberto.
Spento è in lui il cristiano e anche il cittadino. Dietro al cittadino  (quello della povli~) comincia a comparire il buon borghese che ama la patria ma a patto che non gli dia molto fastidio e lo lasci intendere alla sua industria. L’età eroica era passata. La spensierata giovialità del B. è l’ingresso nel mondo, a voce alta e beffarda della materia e della carne. L’istinto reagisce al misticismo.

La virtù è capacità
C’ è la virtù di Griselda (X, 10) che si sottomette con enorme pazienza  a tutte le durissime prove che il marito le impone.
Forse in queste c’è il ricordo delle prove cui viene sottoposta da Venere Psiche di Apuleio. Ma la pazienza di Griselda è ancora più tenace di quella di Psiche e pure di quella di Giobbe.
Si comporta sempre “con forte animo sostenendo il fiero assalto della nemica fortuna”. Griselda fa pensare alla Andromaca delle Troiane e dell’Andromaca di Euripide. 
 Poi c’è la virtù dei signori liberali e cortesi come Carlo d’Angiò (X, 6) che offre la dote a due belle fanciulle figlie di un nemico ghibellino.
Virtù è capacità, o liberalità e gentilezza d’animo, nel caso di Griselda è abnegazione.
Comunque è virtù spogliata del suo carattere teologico e mistico.
La natura non è peccato ma legge: B. prende il mondo com’è. Il dio di questo mondo è il caso. E’ un mondo allegro e anche comico (aggiungerei anche tragico).
Il comico è la caricatura che l’uomo intelligente fa degli uomini posti a un livello intellettuale inferiore.
Nel Decameron c’è il mondo sensuale e licenzioso della furberia e dell’ignoranza, poi il mondo colto e civile della cortesia, di cui il più bel tipo è Federigo degli Alberighi (VII, 9). Innamorato di monna Giovanna “”in cortesia spendendo si consuma”. Giostrava, armeggiava, faceva feste e donava ed il suo senza alcun ritegno spendeva. E la donna disse ai fratelli: “io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che di ricchezza che abbia bisogno di uomo”.
Il modello è il Temistocle di Plutarco il quale tra due pretendenti della figlia avendo preferito il capace al ricco, disse che cercava un uomo carente di ricchezze piuttosto che ricchezze carenti di uomo (e[fh zhtei`n a[ndra crhmavtwn deovmenon ma`llomn h} crhvmata ajndrov~ , Vita, 18, 9). Ma credo che B. l’abbia ricavato piuttosto da Valerio Massimo: “Malo inquit virum pecunia quam pecuniam viro indigentem[10]
L’autore e i suoi novellatori appartengono alla classe colta e intelligente. Gli uomini colti ridono alle spalle degli incolti, che sono i più. La cultura ha coscienza di sé e canzona l’ignoranza e la malizia delle classi inferiori,
La forma di questo mondo è la caricatura.
Le forme tecniche sono l’ottava rima nella poesia, e il periodo nella prosa. Come Petrarca, Boccaccio ha in abominio gli scolastici . Le sue divinità sono Virgilio, Ovidio, Livio e Cicerone.
(e Seneca, e Apuleio, e altri)
Nel Decameron c’è un mondo plebeo che fa le fiche allo spirito (p. 330), un mondo grossolano nei sentimenti.
E’ la commedia terrestre. Il medioevo con i suoi terrori è cacciato dal tempio dell’arte.
Tema fondamentale è l’amore. Boccaccio è sempre attento al vitalismo degli istinti.

Ghismunda
La vedova Ghismunda che pure è " giovane e gagliarda e savia"    (IV, 1)  sostiene la naturalezza della  passione carnale e  difende davanti al padre Tancredi, principe di Salerno, il proprio sentimento amoroso per il giovane valletto Guiscardo "uom di nazione assai umile ma per vertù e per costumi nobile". La giovane donna dice dunque al padre: “ esserti ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di pietra o di ferro...Sono adunque, sì come da te generata, di carne, e sì poco vivuta, che ancora son giovane, e per l'una cosa e per l'altra piena di concupiscibile disidero, al quale maravigliosissime forze hanno date l'aver già, per essere stata maritata, conosciuto qual piacere sia a così fatto disidero dar compimento. Alle quali forze non potendo io resistere, a seguir quello che elle mi tiravano, sì come giovane e femina, mi disposi e innamora'mi".  Ghismunda non si giustifica dicendo che ha perso la testa: “Guiscardo non per accidente tolsi, come molte fanno, ma con deliberato consiglio elessi innanzi ad ogni altro. E con avveduto pensiero a me lo introdussi e con savia perseveranza di me e di lui, lungamente goduta sono del mio disio”.
Ella dunque, come il Prometeo di Eschilo, rivendica dignità a quello che altri possono considerare un delitto.
Il titano incatenato grida:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265-267).
Invece “Abbastanza spesso il delinquente non è all’altezza della sua azione: egli la minimizza e la calunnia”[11].
Ghismunda piuttosto che giustificarsi accusa il padre di seguire più la volgare opinione che la verità”. Aggiunge che gli uomini sono nobilitati dalla virtù. Guiscardo, il suo amante è di fatto più nobile dei titolati che circondano il padre. “La povertà non toglie gentilezza ad alcuno”
Il padre nota “la grandezza d’animo della sua figliola”,  però ammazza l'amante di Ghismunda e questa si uccide. Tancredi, pentito, esaudisce l’ultimo desiderio della figliola, facendo seppellire i due in un medesimo sepolcro.
"Boccaccio, in nome del suo  laico naturalismo, esclude ogni idea di peccato in relazione all'amore carnale, e propone l'eroina come exemplum  sublime di dedizione ai diritti della passione, fino al sacrificio totale, nonché di magnanimità cortese nella fedeltà all'amore"[12].
Invero nell’Introduzione Boccaccio insiste sulla castità dei dieci giovani.  

La pietà e il contrappasso
Nella novella di Nastagio degli Onesti (V, 8) Boccaccio identifica la "commendata" pietà con il contraccambio della devozione amorosa, e la malvagità con lo sprezzante rifiuto dell'offerta d'amore. Questa storia anzi mostra che tale crudeltà "è dalla divina giustizia rigidamente…vendicata". 
Torna il tema della compassione che abbiamo visto nel proemio. Filomena esordisce così: “Amabili donne, come in noi è la pietà commendata, così ancora in noi è dalla divina giustizia rigidamente la crudeltà vendicata, il che acciò che io vi dimostri e materia vi dèa di cacciarla del tutto da voi, mi piace dirvi una novella non meno di compassione piena che dilettevole”.
Nastagio degli Onesti  era uno dei nobili e gentili uomini di Ravenna. Era molto ricco ma molto meno nobile della donna di cui era innamorato: una figliuola di messer Paolo Traversaro. La ragazza era “cruda dura e salvatica …forse per la sua singular bellezza o per la sua nobiltà sì altiera e disdegnosa divenuta. Per conquistarla, Nastagio faceva grandissime spese, ma senza risultato. A un certo punto andò a stare a Chiassi (Classe) “fuor di Ravenna forse tre miglia…a fare la più bella vita e la più magnifica che mai si facesse” e invitava a desinare e a cena or questi or quegli altri.
Un giorno passeggiando “nella pigneta” vide un uomo a cavallo, messere Guido degli Anastagi, che con dei mastini inseguiva una donna nuda. Alla fine la raggiungeva, la uccideva e la dava in pasto ai cani.
Nastagio cercò di difenderla, ma l’uomo gli spiegò che loro due stavano scontando i loro peccati con “le pene del ninferno” perché lei era stata crudele con lui e lui si era ucciso. E dovranno seguitare in quella guisa tanti anni per   quanti mesi ella fu contro lui crudele.
Un contrappasso di tipo dantesco, e già presente in Eschilo e in  Seneca.

Il contrappasso
Nel doloroso canto (Kommov~ ) che precede l'epilogo dell’Agamennone  leggiamo: "Paga chi uccide (ejktivnei d j oJ kaivnwn). / Rimane saldo, finché Zeus rimane nel trono / che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina" (mivmnei de; mivmnonto~  jen qrovnw/ Diov~-paqei`n to;n e[rxanta: qevsmion gavr”, vv. 1562-1565).
Seneca ribadisce questa legge nell Hercules furens: "Quod quisque fecit, patitur: auctorem scelus / repetit, suoque premitur exemplo nocens. / Vidi cruentos carcere includi duces, / et impotentis terga plebeia manu / scindi tyranni. Quisquis est placide potens, / dominusque vitae servat innocuas manus, / et incruentum mitis imperium regit,/animaeque parcit: longa permensus diu/felicis aevi spatia, vel coelum petit, / vel laeta felix nemoris Elysii loca, / iudex futurus" (Hercules furens, vv. 735-745), ciò che ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore, e il colpevole è gravato dal suo cattivo esempio. Vidi re sanguinari essere rinchiusi in un carcere e il dorso di un tiranno sfrenato lacerato da mano plebea. Ma chi regna in pace e padrone della vita conserva innocenti le mani, e con mitezza regge un governo senza vittime e risparmia la vita, dopo avere contato a lungo anni di tempo felice, o sale al cielo o da beato arriva nei  luoghi sereni del bosco Elisio, per esservi giudice.
A Nastagio dunque venne nella mente “questa cosa dovergli molto poter valere, poi che ogni venerdì avvenia”. La ragazza crudele, invitata a cena con altri, capì che l’esempio era dato a lei e sposò Nastagio. Poi “tutte le ravignane paurose ne divennero, e dopo furono più arrendevoli ai piaceri degli uomini che prima non erano state”.

Cè il vitalismo dei sensi ma anche gentilezza, altezza di sentimento, dedizione fino al sacrificio. C’è ammirazione per l’intelligenza. C’è già la celebrazione machiavellica della virtù come capacità, virtù anche senza morale come in Peronella. Poi c’è la forza della fortuna, l’elemento imponderabile, trascendente. Insomma c’è una vasta gamma della realtà dell’umano. Il periodare è lento e analitico corrisponde alla sua minuta attenzione al reale. Il lessico si addice sempre al carattere dei personaggi.

Natalino Sapegno da me riveduto (si può saltare, ripete concetti già detti da altri ed è generico)
Compendio di Storia della letteratura italiana
La realtà umana è descritta con l’animo non del sofferente, ma dell’osservatore libero dal turbine delle passioni giovanili che B. contempla nell’umanità con simpatia e con distacco. La cornice raffigura una situazione eccezionale che consente la spregiudicatezza di certe novelle.  (Bachtin direbbe che nel tempo della crisi non la vita è sulla soglia, non è biografica dentro casa).
I novellatori rivivono nel nome alcune figure dei romanzi giovanili.
Filostrato, il vinto d’amore, Dioneo il gaudente spregiudicato e sempre allegro, Panfilo, il fortunato amante, sono tre facce di B. Anche le donne rappresentano vari aspetti del grande gioco amoroso. Alla fine di ogni giorno ciascuno di loro canta una ballata.
Gli argumenta principali sono la materia amorosa e il culto dell’intelligenza. Con la correlativa descrizione dell’umana sciocchezza, materia vile che l’uomo astuto adopera per i suoi fini egoistici e l’uomo colto guarda dall’alto con un sorriso di signorile indulgenza.
Il tema amoroso non è compiacimento dell’osceno. L’amore è talora una passione nobile che nobilita, talora esaspera e conduce alla follia, comunque ci spinge a diventare ciò che veramente siamo.
Ci sono donne che incarnano grandezza d’animo come Ghismunda (IV, 1) e Lisabetta da Messina (IV, 5). In  queste novelle la potenza dell’amore talora cozza con le convenzioni sociali.
Le novelle più licenziose sono spesso indicative di ambienti e di caratteri umani. Come quella della badessa che si mise in testa, per sbaglio, le mutande del prete suo amante e riconobbe che è impossibile difendersi dagli stimoli della carne. In questa novella (IX, 2), c’ è uno spaccato sulle invidie, le gelosie, la licenziosità dei conventi.
Poi l’esaltazione dell’intelligenza umana nei suoi vari gradi. Prima di tutte quella di ser Cappelletto (I. 1) o di Frate Cipolla (VI, 10), personaggi che riescono simpatici  per la loro virtù, intesa come la intenderà Machiavelli e poi Nietzsche, capacità, virtù senza morale.
Tale “virtù” si trova anche nella Siciliana che gabba Andreuccio da Perugina (II, 5).
La seconda giornata sotto Filomena contiene le novelle della fortuna. A volte la cattiva fortuna può essere superabile; essa  “ dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle” come scriverà Machiavelli[13].
Burlatori intelligenti sono Bruno e Buffalmacco alle spalle di Calandrinoi (VIII, 3, 6).
Sull’altra faccia della medaglia ci sono gli sciocchi: Calandrino appunto, Andreuccio, che però impara, tw`/ pavqei mavqo~,  o il balordo giudice marchigiano beffato da tre giovani fiorentini che gli “traggono le brache” (VIII, 5).
Andavano a Firenze rettori marchigiani i cui fatti erano solo pidocchierie e si portavano dietro personaggi squallidi come questo Niccola da San Lepidio (Sant’Elpidio) il quale pareva piuttosto un magnano, un fabbro, che altro a vedere.
L’intelligenza viene anche rappresentata in forme raffinate, come in Cisti fornaio (VI, 2). Nella sesta giornata, sotto Elissa, si raccontano novelle fondate su un leggiadro motto. Così Guido Cavalcanti, Chichibìo, frate Cipolla.
B. ammira la cortesia cavalleresca di Federigo degli Alberghi il quale “spendendo si consuma”, poi fa imbandire a monna Giovanna il grasso falcone che gli era rimasto (V, 9), poi gli piace  lo stile de brigante gentiluomo Ghino di Tacco (X, 2) costretto a rubare dalla cattiva fortuna, e anche la finezza dell’ebreo Melchisedech (I, 3) con la novella dei tre anelli, e la cortesia generosa di Natan (X, 3) pieno d’anni ma non divenuto stanco del corteseggiare. Il vecchio con la sua liberalità smonta e converte Mitridanes, un giovane invidioso.  
Soprattutto la X giornata mette in luce la nobiltà d’animo: re Carlo che marita onorevolmente una giovinetta di cui si era innamorato e la sorella di lei (X, 6); Griselda (X, 10) è la donna paziente e sottomessa; Dianora (X, 5) è persona dignitosa con l’innamorato e il marito entrambi generosi. In questa novella è generoso è anche il negromante che in gennaio  trasforma un giardino di Udine in un luogo ameno del mese di maggio ed è liberale del suo guiderdone.
Nonostante certe magie, il mondo delle novelle è sempre reale e concretamente raffigurato.
Secondo Vittore Branca, “l’ambientamento delle azioni non è ottenuto in generale attraverso descrizioni o elementi geografici o topografici, urbanistici. Coerentemente al suo interesse fondamentale e quasi esclusivo per l’uomo e le sue passioni, il Boccaccio punta a creare attorno ai protagonisti delle novelle non tanto la cornice materiale di edifici privati e pubblici, di vie e di piazze, quanto l’atmosfera umana in cui vivono e operano”[14]. Insomma un’ambientazione più di spirito che di cose.  
La prosa di B. si può chiamare poesia, tanto è calda e carnosa. E’ una prosa varia, adeguata alle condizioni sociali di chi parla. Boccaccio osserva il mondo, i mondi che descrive con simpatia o almeno con indulgenza. Ammira gli ideali cavallereschi e nello stesso tempo afferma la naturalezza e la legittimità delle pulsioni.  

 Giovanni Ghiselli


[1] Amore 
[2] Da confrontare con "tum pessima tigris" e " tum saevos aper" (Georgica III , v. 248) 
[3] Elegia di Madonna Fiammetta , cap. 1. 
[4] E' la critica della scissione tra letteratura e vita che si ritrova in Marziale: "Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque / invenies: hominem pagina nostra sapit" (X, 4, 9-10), non qui troverai Centauri, Gorgoni e Arpie: la nostra pagina sa di uomo. 
[5] Cfr. Ovidio, Tristia, I, 1, 12: “hirsutus sparsis ut videare comis”, perché tu  appaia irto di peli e con le chiome in disordine 
[6] Cfr. Ovidio, Tristia, I, 1, 13: "Neve liturarum pudeat! Qui viderit illas, / de lacrimis factas sentite esse meis", e non vergognarti delle macchie! Chi le avrà viste capirà che sono causate dalle mie lacrime. 
[7] Allievo di Lovato Lovati, il promotore del cosiddetto preumanesimo padovano, Mussato è primo scrittore moderno che volle imitare le tragedie di Seneca.  Nella Ecerinis ( del 1314) sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino, crudelis ut Nero, rappresenta i delitti del suo contemporaneo Cangrande della Scala, il tiranno di Verona 
[8] Tutt’altro fa P. P. Pasolini nel suo film Decameron . 
[9] Si pensi ad Alberto Sordi. 
[10] Factorum et dictorum memorabilium, VII, 2, stra. 9. I sec. d. C. 
[11] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 90. 
[12]G. Baldi, S. Giusso, M. Razzetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia. Dalla storia al testo , 1,  Paravia, Torino, 1994, p. 497. 
[13] Il principe, XXV. 
[14] V. Branca, Boccaccio medievale, Sansoni, Firenze 1956, p. 360.

1 commento:

  1. Ciao Gianni,imparo da te che anche il Boccaccio ebbe da litigare in famiglia per la sua vocazione ,per forza che si è costretti a scegliere padri putativi diversi da quelli naturali. Senza nulla togliere allo sforzo immane di crescere un figlio piccolino , poi, è giusta la presenza di padri spirituali per trovare le nostre vie nel mondo. Credo anche che l'uomo sia più portato all'adozione perché prende già formati anche i propri figli mentre la donna li cresce nel proprio utero.
    Mi rendo conto che ds quando ci conosciamo fai per me le veci del padre e te ne sono grata.Un bacio Giovanna

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