Il Mito
rivisitato da Lucia Arsí
Er, l'anima
Spalanco le
imposte e gli dei mi visitano
E’ un
pomeriggio aggredito dai raggi. Il calore soffoca. Oltre la norma. Oltre la
norma ed è errore, inevitabilmente. E nell’errore la spinta. Dove?… una
casetta, minuscola e linda. Un novantenne, lì. Accanto una giovane figlia. Le
braccia di lei contengono il corpo del padre, oramai insecchito. Diresti un
ramo consunto dal malsecco. Un ramo… un tempo… foglie nutrite da linfa, ora
verdi... poi… senti il tonfo della caduta e nuovamente
ri-tornano e la zagara bianca come una palla di neve e poi… schiantato dal
Tempo impietoso, frustato dalla mancanza, privo degli umori della terra, quel
ramo sradicato.
Ella accoglie
sul petto il capo del vecchio, un tempo tondeggiante e birbante. Ora palpebre
socchiuse, occhi vaganti e spenti al senso del qui. Le labbra tumefatte dai
batteri e che importa?… non servono a lui, assente al richiamo del cibo, della
voce. Non intende. Ha rotto con il senno. Nullo il gesto che segnala il volere.
Il cuore pulsa, tremano le labbra e il delirio prima fioco “… un odore… sento
un odore… antico… strano… bello… ”. Lo sproloquio diventa ardito “… sento… l’odore di lei… della mamma… tu sei la mamma… ”.
Il fiato
condensa il suo profondo sentire. Cacciata via la ragione, quella che
disgiunge. Il vecchio interamente abitato dalle percezioni primarie, mai
tradite, mai abbandonate. Seppellite in anfratti mentali che solo l’olfatto di
un bimbo riesce a disseppellire. E si riappropria dell’odore della sua
mamma, che non vede da ottantatre anni. Ora la voce del padre morente diventa
querula.
“Corri… corri…
presto… - un tale urla e gesticola e mi indirizza lungo la battigia – … vai… corri…
é sulla riva”. L’ uomo-puer – rosse le guance per l’emozione del rivissuto –
prosegue. “ Io corro… sai… veloce… sono lesto e lei, la mia mamma là… stesa
sul bagnasciuga… c’è un lenzuolo bianco sul corpo e… mi avvicino e lei non mi
parla ..non mi guarda… non mi risponde… non può… è rigida… assente…”. Serra le
labbra e si rannicchia sul petto della figlia e su quella morbidezza, carezzato
dalla tenerezza, ammaliato dalla sicurezza, il vecchio–bimbo riposa.
La figlia è
la mamma. In quell’attimo il tempo aionico. E quando accade, assapori attimi di
eternità, di memoria del sangue, del perduto che sa ritornare, del mare che ha
tolto e ridona, della voluttà che è piacere non mirato. Quando accade, sei
nella grazia di Dio, perché partecipi del mistero che sei e non sei. Sei nella
totalità e non hai coscienza. Quando c’è l’eternità non ci sei tu, e quando ci
sei non c’è l’eternità.
Questo
respiro eterno, che ha avuto la meglio sull’egocentrismo, svolazza e potresti
ri-conoscerlo nel viso tumefatto del vecchio. Respiro che è il sigillo della
vita di ognuno, e tale sigillo chiamiamo Anima.
L’anima?… lasciamo
ad Er, il soldato panfilo, il difficile compito di riferire le cose di lì, dire
dell’anima…
“ Trascorso
il tempo stabilito, le anime giungono dall’alto, dal basso e si incontrano e
riferiscono e gioiscono e fremono. Scontato il fio, é tempo di tornare sulla
terra. Ecco… un araldo getta tanti “Kléros”. L’anima sceglie il kleros
(destino, pezzo di terra, immagine della vita?) e si avvia da
Lachesi, una parte del destino, che le affida il daimon (angelo custode ),
compagno utile a rammemorare. Poi Cloto fila gli eventi e Atropo li rende
irreversibili. Passa infine, senza voltarsi, sotto AnanKe, che le imprime la
forza della Necessità… ”.
Le Moire
hanno filato il destino, dall’anima liberamente scelto.
E noi? Noi
liberi e necessitati. Strozzati da una forza più forte della nostra volontà.
Eppure forza che nasce con noi, si alimenta dentro di noi e ci spiace di averla
nutrita, quando rivela l’efferatezza. Ospite gradita, quando ci accompagna nel
bosco umbratile e lascia intravedere la luce.
La figlia
continua ad accarezzare il viso consunto del vecchio, un attimo prima
sorriso di bimbo che tocca l’Eterno coniugato con il Tempo.
E sulle sue
rotaie corre la memoria e sosta ove le luci delle stazioni abbagliano
maggiormente.
Incidono gli
eventi, quelli strani, paradossali.
Scende dal
treno una ragazza. Tredici anni. Studentessa accorta. Compagni fedeli i libri,
in un ambiente in cui la carta stampata non è di norma.
“ Figlia
mia, è destino… accade perché
voluto dal destino… La poggiatura della voce strana. Gli occhi fissi. Non è la
mamma che prepara il budino quando la bimba a letto per la temperatura elevata
e il latte e il cacao e l’amido e i biscotti e la bimba risorge. Quando la
mamma chiosa il discorrere quotidiano con quella lapidaria sentenza, ella si
rivela altra. In lei la Parola lapidaria. Il destino aleggia in casa come
un estraneo. Si piazza e impone il diktat. E sempre tutti bloccati
dall’imponderabile, dall’inconoscibile. Non ci si ribella. E lei, la mamma
orfana, nutrita di preghiere a stomaco vuoto, alza la testa, spalanca gli
occhioni speciali e canta e il tema rimane lo stesso “ E’ destino…
Un giorno
triste… torna la scolara tredicenne,
torna a casa. La camera da letto invasa dall’enorme telaio. Al centro, su una
seggiola dalla spalliera emergente e filigranata, la sorella, parecchia la
differenza d’età. Il pollice e l’indice sinistro a strofinarsi su un ago
minuscolo. Il medio incappucciato da un ditale argenteo. Il filo, luccicante e
sottile, lì. E sui braccioli della poltroncina, un panno lindo. Le mani della
ricamatrice eternamente umide di sudore. Il ricamo floreale sulla balza del
lenzuolo di lino sancisce l’entità della dote. E il rito di preparazione si
svolge senza tregua.
Quel giorno…
gli occhi neri non si sollevano dal telaio. Pungono con forza il lino d’accordo
con l’ago e attendono… ecco… la voce della mamma, rivolta all’allora
tredicenne:“ tuoi libri… in una cassa… a mare… non li vedrai più… così ha
deciso tuo padre… ”.
Il misfatto?
… una passeggiata con un giovane… non si poteva… non si doveva…
Quale il
senso? C’è senso nel distruggere i libri? Manca il senso. Rimane
l’errore. Necessario per imprimere forza agli eventi.
“ Senza
divorare le parole entro i libri stampate? E la gara di storia? E i compagni a
chiedermi lumi? E come soffocare la curiosità galoppante?, un dolore
lancinante, l’angoscia che agguanta perché s’affioca la luce che accompagna
giorni algidi ad altri calorosi.
Avverte, la
tredicenne, la mancanza. Anzi sente un richiamo. Forte la chiamata. Affina
l’udito… quei libri le mancano e i giorni diventano inutili.
I giorni a
venire non la salutano. Forse è lei che si nega. Non importa. Ha bloccato le
imposte e se ne sta accovacciata sul lettuccio e le mani graffiano la parete,
che perde lo smalto. Il viaggio, anzi la danza nel labirinto delle immagini.,
che è movimento di salvataggio, per non finire del tutto. Le ombre sono dolenti
e insecchite. Sono pesanti e claudicanti. Così le cose e le persone che le
stanno attorno. E sono più buie di una notte d’inverno.
Poi… inevitabilmente
il nostos, il viaggio di ritorno alla vita, in virtù della perdita; il
risveglio dopo la notte profonda.
Si può non
rispondere alla chiamata? A quella forza che pesa quintali e ti obbliga a fare
a dire al di là delle normali possibilità? Da dove viene? Quale dio ha sancito
il predominio su di te?.
L’angelo
bussa forte e non puoi non comprendere le emozioni dell’anima e non rispondi
responsabilmente ai dettami di fuori e ubbidisci al tuo profondo sentire.
Quella
tredicenne oggi è una accorta quarantenne.
Quanta
tenerezza visita la figlia! E lei accoglie fra le braccia il corpo esanime del
vecchio padre!
La diresti
un mantello imbottito delle piume di Fiducia e Pietà e Amore verso il padre,
ora tornato all’origine e per sempre… ; potresti toccarla, imbottita di
Gratitudine verso il suo mentore, indefesso custode del gomitolo di vita,
della vita della figlia.
Quel
pomeriggio, martoriato dal calore di un Sole che ama nascondersi e si rivela
necessariamente ambiguo e promettente, vede due contendenti e un febbrile ping
pong fra ragione e sentire. Più forte è la parola del cuore : “ L’anima?,
il destino?, un estraneo sceglie e la vita di ognuno sarà solamente riflesso
del già stabilito?… ”. No… no… e cosa fare, dire?
… schiudere le imposte e accogliere gli dei… la loro visita… e concederci .
Loro sono le
Essenze. Forze della Natura e campeggiano sulla terra. Condite da noi. Nani
dotati e datati, viaggiano e nell’etere si confondono, s’incontrano, si
amalgamano. E ora più acri ora più dolci ora soavi. In rapporto al luogo, alle
persone, al tempo. Le essenze ci scelgono, si svelano al modo di appartenenze
ereditarie.
… accade… il fuoco… brucia.. non sai da che parte… le narici si
affilano… distingui… confronti… pesi l’entità del disastro… vuoi salvare?… cosa?… non ciò che è utile… soddisfare lo stomaco è
necessario ma a discrezione d’ognuno… custodire… quella… quella… .non so… so che gli occhi brillano
senza avere nulla mangiato o bevuto… s’irradiano d’una luce sì intensa e il suo
opposto è il buio di una notte di dicembre, quando assenti le stelle e la volta
priva dell’ambigua deità… e ancora salvare… custodire… difficile perché non si
chiude nel pugno, non si pone ora qui ora lì… lottare per… è tuo e lo senti nel grigiore delle ore,
infinite perché non conti i tuoi battiti, e non puoi… manca la testa, alleata perenne, e loro, le
energumene forze, oramai affilate lame di bisturi, armi che tagliano in
modo diverso le diverse parti del corpo, spadroneggiano e ti spingono,
con forza, loro trascurano ogni quadrato perfetto e intensificano la luce
e quando manca - solo luce trasmettono, sfavillante scarica elettrica
- il fiato si strozza e le orbite simile ad un campo spoglio, e la testa
non c’è e piangi, al modo d’un bimbo che non si chiede il prezzo del giocattolo
né avverte che mancano i soldi, quelle lacrime dicono di strappo, di mancanza
del proprio oggetto, quello che gli procura gioia infinita, pienezza e ora
basta coi preamboli, con le contorte misure, dosate solamente ad ovest, là ove
il Pensiero si cruccia del limite, impotente a squarciare il suo interno. Basta
con l’angoscia che sfibra ogni fibra. Perché quando la materia si sfalda, le
forze volano via. E custodiscono il codice di ogni individuo e affidano, anzi
regalano alle torbide nuvole tutto ciò che è manifesto.
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