NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 31 luglio 2014

"Er, l'anima" di Lucia Arsí



Il Mito rivisitato da Lucia Arsí

Er, l'anima

Spalanco le imposte e gli dei mi visitano

E’ un pomeriggio aggredito dai raggi. Il calore soffoca. Oltre la norma. Oltre la norma ed è errore, inevitabilmente. E nell’errore  la spinta. Dove?… una casetta, minuscola e linda. Un novantenne, lì. Accanto una giovane figlia. Le braccia di lei contengono il corpo del padre, oramai insecchito. Diresti un ramo consunto dal malsecco. Un ramo… un tempo… foglie nutrite da linfa, ora verdi...   poi…  senti il tonfo della caduta e nuovamente ri-tornano e la zagara bianca come una palla di neve e poi… schiantato dal Tempo impietoso, frustato dalla mancanza, privo degli umori della terra, quel ramo sradicato.

Ella accoglie sul petto il capo del vecchio, un tempo tondeggiante e birbante. Ora palpebre socchiuse, occhi vaganti e spenti al senso del qui. Le labbra tumefatte dai batteri e che importa?… non servono a lui, assente al richiamo del cibo, della voce. Non intende. Ha rotto con il senno. Nullo il gesto che segnala il volere. Il cuore pulsa, tremano le labbra e il delirio prima fioco “… un odore… sento un odore… antico… strano… bello… ”. Lo sproloquio diventa ardito “… sento…  l’odore di lei…   della mamma… tu sei la mamma… ”.

Il fiato condensa il suo profondo sentire. Cacciata  via la ragione, quella che disgiunge. Il vecchio interamente abitato dalle percezioni primarie, mai tradite, mai abbandonate. Seppellite in anfratti mentali che solo l’olfatto di un bimbo  riesce a disseppellire. E si riappropria dell’odore della sua mamma, che non vede da ottantatre anni. Ora la voce del padre morente diventa querula.

“Corri… corri… presto… - un tale urla e gesticola e mi indirizza lungo la battigia – … vai… corri… é sulla riva”. L’ uomo-puer – rosse le guance per l’emozione del rivissuto – prosegue. “ Io corro… sai… veloce… sono lesto e lei, la mia mamma  là… stesa sul bagnasciuga… c’è un lenzuolo bianco sul corpo e… mi avvicino e lei non mi parla ..non mi guarda… non mi risponde… non può… è rigida… assente…”. Serra le labbra e si rannicchia sul petto della figlia e su quella morbidezza, carezzato dalla tenerezza, ammaliato dalla sicurezza, il vecchio–bimbo riposa.

La figlia è la mamma. In quell’attimo il tempo aionico. E quando accade, assapori attimi di eternità, di memoria del sangue, del perduto che sa ritornare, del mare che ha tolto e ridona, della voluttà che è piacere non mirato. Quando accade, sei nella grazia di Dio, perché partecipi del mistero che sei e non sei. Sei nella totalità e non hai coscienza. Quando c’è l’eternità non ci sei tu, e quando ci sei non c’è l’eternità.
Questo respiro eterno, che ha avuto la meglio sull’egocentrismo, svolazza e potresti ri-conoscerlo nel viso tumefatto del vecchio. Respiro che è il sigillo della  vita di ognuno, e tale sigillo chiamiamo Anima.

L’anima?… lasciamo ad Er, il soldato panfilo, il difficile compito di riferire le cose di lì, dire dell’anima…
“ Trascorso il tempo stabilito, le anime giungono dall’alto, dal basso e si incontrano e riferiscono e gioiscono e fremono. Scontato il fio, é tempo di tornare sulla terra. Ecco… un araldo getta tanti “Kléros”. L’anima sceglie il kleros  (destino, pezzo di terra, immagine della  vita?) e si avvia da Lachesi, una parte del destino, che le affida il daimon (angelo custode ), compagno utile a rammemorare. Poi Cloto fila gli eventi e Atropo li rende irreversibili. Passa infine, senza voltarsi, sotto AnanKe, che le imprime la forza della Necessità… ”.
Le Moire hanno filato il destino, dall’anima liberamente scelto.

E noi? Noi liberi e necessitati. Strozzati da una forza più forte della nostra volontà. Eppure forza che nasce con noi, si alimenta dentro di noi e ci spiace di averla nutrita, quando rivela l’efferatezza. Ospite gradita, quando ci accompagna nel bosco umbratile e lascia intravedere la luce.

La figlia continua ad accarezzare  il viso consunto del vecchio, un attimo prima sorriso di bimbo che tocca l’Eterno coniugato con il Tempo.
E sulle sue rotaie corre la memoria e sosta ove le luci delle stazioni abbagliano maggiormente.
Incidono gli eventi, quelli  strani, paradossali.

Scende dal treno una ragazza. Tredici anni. Studentessa accorta. Compagni fedeli i libri, in un ambiente in cui la carta stampata non è di norma.

“ Figlia mia, è destino…  accade  perché voluto dal destino… La poggiatura della voce strana. Gli occhi fissi. Non è la mamma che prepara il budino quando la bimba a letto per la temperatura elevata e il latte e il cacao e l’amido e i biscotti e la bimba risorge. Quando la mamma chiosa il discorrere quotidiano con quella lapidaria sentenza, ella si rivela altra. In lei la Parola lapidaria.  Il destino aleggia in casa come un estraneo. Si piazza e impone il diktat. E sempre tutti bloccati dall’imponderabile, dall’inconoscibile. Non ci si ribella. E lei, la mamma orfana, nutrita di preghiere a stomaco vuoto, alza la testa, spalanca  gli occhioni speciali e canta e il tema rimane lo stesso “ E’ destino…

Un giorno triste…  torna la scolara tredicenne, torna a casa. La camera da letto invasa dall’enorme telaio. Al centro, su una seggiola dalla spalliera emergente e filigranata, la sorella, parecchia la differenza d’età. Il pollice e l’indice sinistro a strofinarsi su un ago minuscolo. Il medio incappucciato da un ditale argenteo. Il filo, luccicante e sottile, lì. E sui braccioli della poltroncina, un panno lindo. Le mani della ricamatrice eternamente umide di sudore. Il ricamo floreale sulla balza del lenzuolo di lino sancisce l’entità della dote. E il rito di preparazione si svolge senza tregua.

Quel giorno… gli occhi neri non si sollevano dal telaio. Pungono con forza il lino d’accordo con l’ago e attendono… ecco… la voce della mamma, rivolta all’allora tredicenne:“  tuoi libri… in una cassa… a mare… non li vedrai più… così ha deciso tuo padre… ”.
Il misfatto? … una passeggiata con un giovane… non si poteva… non si doveva…
Quale il senso?  C’è senso nel distruggere i libri? Manca il senso. Rimane l’errore. Necessario per imprimere forza agli eventi.
“ Senza divorare le parole entro i libri stampate? E la gara di storia? E i compagni a chiedermi lumi? E come soffocare la curiosità galoppante?, un dolore lancinante, l’angoscia che agguanta perché s’affioca la luce che accompagna giorni algidi ad altri calorosi.
Avverte, la tredicenne, la mancanza. Anzi sente un richiamo. Forte la chiamata. Affina l’udito… quei libri le mancano e i giorni diventano inutili.

I giorni a venire non la salutano. Forse è lei che si nega. Non importa. Ha bloccato le imposte e se ne sta accovacciata sul lettuccio e le mani graffiano la parete, che perde lo smalto. Il viaggio, anzi la danza nel labirinto delle immagini., che è movimento di salvataggio, per non finire del tutto. Le ombre sono dolenti e insecchite. Sono pesanti e claudicanti. Così le cose e le persone che le stanno attorno. E sono più buie di una notte d’inverno.

Poi… inevitabilmente il nostos, il viaggio di ritorno alla vita, in virtù della perdita; il risveglio dopo la notte profonda.

Si può non rispondere alla chiamata? A quella forza che pesa quintali e ti obbliga a fare a dire al di là delle normali possibilità? Da dove viene? Quale dio ha sancito il predominio su di te?.

L’angelo bussa forte e non puoi non comprendere le emozioni dell’anima e non rispondi responsabilmente ai dettami di fuori e ubbidisci al tuo profondo sentire.
Quella tredicenne oggi è una accorta quarantenne.
Quanta tenerezza visita la figlia! E lei accoglie fra le braccia il corpo esanime del vecchio padre!
La diresti un mantello imbottito delle piume di Fiducia e Pietà e Amore verso il padre, ora tornato all’origine e per sempre… ; potresti toccarla, imbottita di Gratitudine verso il suo mentore,  indefesso custode del gomitolo di vita, della vita della figlia.

Quel pomeriggio, martoriato dal calore di un Sole che ama nascondersi e si rivela necessariamente ambiguo e promettente, vede due contendenti e un febbrile ping pong fra ragione e sentire.  Più forte è la parola del cuore : “ L’anima?, il destino?, un estraneo sceglie e la vita di ognuno sarà solamente riflesso del già stabilito?… ”. No… no… e cosa fare, dire?

 schiudere le imposte e accogliere gli dei…  la loro visita… e concederci .
Loro sono le Essenze. Forze della Natura e campeggiano sulla terra. Condite da noi. Nani dotati e datati, viaggiano  e nell’etere si confondono, s’incontrano, si amalgamano. E ora più acri ora più dolci ora soavi. In rapporto al luogo, alle persone, al tempo. Le essenze ci scelgono, si svelano al modo di appartenenze ereditarie.

… accade…  il fuoco…  brucia.. non sai da che parte… le narici si affilano… distingui… confronti… pesi l’entità del disastro… vuoi salvare?…  cosa?…  non ciò che è utile… soddisfare lo stomaco è necessario ma a discrezione d’ognuno… custodire…  quella…  quella… .non so… so che gli occhi brillano senza avere nulla mangiato o bevuto… s’irradiano d’una luce sì intensa e il suo opposto è il buio di una notte di dicembre, quando assenti le stelle e la volta priva dell’ambigua deità… e ancora salvare… custodire… difficile perché non si chiude  nel pugno, non si pone ora qui ora lì… lottare per…  è tuo e  lo senti nel grigiore delle ore, infinite perché non conti i tuoi battiti, e non puoi…  manca la testa, alleata perenne, e loro, le energumene forze, oramai affilate lame di bisturi, armi che tagliano  in modo diverso le diverse parti del  corpo, spadroneggiano e ti spingono, con forza, loro trascurano ogni quadrato perfetto e intensificano la luce  e quando manca -  solo luce trasmettono, sfavillante scarica elettrica -  il fiato si strozza e le orbite simile ad un campo spoglio, e la testa non c’è e piangi, al modo d’un bimbo che non si chiede il prezzo del giocattolo né avverte che mancano i soldi, quelle lacrime dicono di strappo, di mancanza del proprio oggetto, quello che gli procura gioia infinita, pienezza e ora basta coi preamboli, con le contorte misure, dosate solamente ad ovest, là ove il Pensiero si cruccia del limite, impotente a squarciare il suo interno. Basta con l’angoscia che sfibra ogni fibra. Perché quando la materia si sfalda, le forze volano via. E custodiscono il codice di ogni individuo e affidano, anzi regalano alle torbide nuvole tutto ciò che è manifesto.


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