NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 24 luglio 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte VII della presentazione



Settima parte della presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

Bodei procede ricordando le varie tappe attraverso le quali in alcuni Stati si è giunti al welfare state. Quindi ne riferisce una “buona definizione”.  Questa: “Con l’espressione ‘Stato sociale’ s’intende l’insieme di iniziative assunte dai vari paesi nell’ambito dell’assistenza, della previdenza, della sanità, della regolamentazione del lavoro e, più in generale, per la tutela dei ceti più deboli. Frutto della rivoluzione industriale e della necessità di offrire qualche risposta ai gravi problemi sollevati dalla nascita dell’economia di mercato, lo Stato sociale-e, prima di esso, le politiche di lotta alla povertà e all’emarginazione-ha assunto valenza e connotazioni differenti a seconda dei periodi storici”[1]
Il welfare state ha diffuso “la solidarietà intergenerazionale” la quale “si è così decisamente spostata dall’ambito della famiglia verso l’esterno, in direzione non solo dello Stato e delle sue istituzioni, ma anche delle Chiese…” (p. 43).
La solidarietà interpersonale, dal 1968  fino alla metà degli anni Settanta, ricordo, era presente anche nel costume, almeno tra noi giovani. Allora si poteva ricevere simpatia, accoglienza  e aiuto non solo dal parente, dall’amante  e dal sodale, ma anche dal collega, e perfino dal conoscente occasionale.
Si giocava, si cantava, si stava insieme, non poche volte ci si aiutava a vicenda. Poi una serie di stragi e una propaganda antiumanistica, anzi antiumana, ha diffuso il sospetto, il terrore e l’odio reciproco.
Lo Stato sociale era l’ aspetto istituzionale di una buona socialità.
Bodei delinea le fasi della decadenza dello Stato sociale: “Dopo aver raggiunto lo zenit negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, il welfare state ha iniziato il  suo declino, che si è accentuato, nel mondo occidentale, nell’epoca delle politiche neo-liberiste di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan e ancora di più, in Europa, per effetto della crisi finanziaria ed economica del 2007-2008. Secondo alcuni analisti, le ragioni di questo tramonto sembrano connesse all’ultimo mutamento di strategia del capitalismo per assicurarsi la propria sopravvivenza… Le prestazioni del welfare state stanno perciò diminuendo in modo drastico, tanto che un secolo e mezzo di conquiste operaie, sindacali e civili rischia di ridursi, almeno in parte, a un ricordo” (Generazioni, pp. 44-45).
Un ricordo che la mia generazione conserva con quello del costume di solidarietà di cui dicevo sopra, non senza rimpianto e non senza la speranza che quel mos possa ritornare. Prima o poi. Se noi non ci saremo più, ci saranno altri giovani. Se non c’è simpatia tra gli umani, la vita degli uomini e delle donne è  un inferno.  
“La crisi finanziaria ha, inoltre, messo in rilievo il fatto che non è più lecito concedere ai desideri, specie a quelli acquisitivi, l’ampia libertà di cui hanno goduto nel periodo d’oro del consumismo. Si torna così, con crescente favore, a guardare indietro nel tempo: in campo filosofico fino ai precetti dell’etica stoica, secondo la quale, se si vuole essere ricchi, bisogna essere poveri di desideri[2] (la loro soglia, infatti, anche per evitare cocenti delusioni, deve, per precauzione, rimanere sempre bassa)” (p. 45).
Cicerone nei Paradoxa Stoicorum[3] aveva scritto sinteticamente:"non esse emacem vectigal est" (VI, 51) non essere consumisti è una rendita.
Seneca mette tra i precetti che non hanno bisogno di alcuna dimostrazione (probatio) questa sentenza di Catone il Censore: “emas non quod opus est, sed quod necesse est; quod non opus est asse carum est[4], compra non quello che è utile, ma quello che è necessario; quello che è inutile, è caro anche se costa un soldo.
“L’incertezza del futuro spinge quindi, oggi, per un verso a mettere la sordina ai desideri di maggiore godimento di beni e servizi e, per un altro, a far riscoprire valori immateriali di felicità (convivialità, amicizia, cultura, sport) non misurabili, come si dice, mediamte il PIL, bensì mediante il FIL, ossia la “Felicità Interna Lorda”[5].
Sarebbe interessante a questo punto fare un sondaggio su cosa intendano i più per felicità. Alla mia età tale bene è dato da una buona salute innanzitutto, poi da ricchezza di affetti, dalla volontà inesausta di imparare, e di insegnare, e certamente anche dalla tranquillità economica[6].

Ma torniamo a imparare da Bodei: “Mi riferisco, soprattutto, al progetto di decrescita” e di “abbondanza frugale”, frutto, in parte, di wishful thinking, della speranza di sostituire la moderna Gesellschaft, in cui gli individui vivono isolatamente come atomi, con la tradizionale Gemeinschaft solidale. Si tratta di una prospettiva che guarda con nostalgia a un futuro che porta impressa l’immagine del passato, della promessa di un ritorno a una nuova età dell’oro” (p. 46).
L’autore di Generazioni quindi rileva la difficoltà di questo ritorno, già più volte invano auspicato. Si può pensare alla quarta bucolica di Virgilio: “Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna;/iam nova progenies caelo demittitur alto[7]
La nova progenies dovrebbe porre rimedio ai guasti prodotti da quella delle guerre intestine, una specie di età del ferro, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni: "et consanguineum mensas odere timentque " ( Lucrezio, De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

Meno male dunque che stava per nascere una nova progenies, poiché la vecchia si stava estinguendo. La decadenza della nostra civiltà ricorda per certi aspetti quella dell’antica Roma. Vediamo il problema del calo demografico antico, un declino che si sta ripetendo, soprattutto per quanto riguarda la classe dirigente.
 Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi  per spingerli a procreare. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "[8], ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva) di lavoratori e di soldati.
Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. “Voi- disse in sostanza- siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta: gli uomini infatti probabilmente costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini” (a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv, LVI, 4, 1, 2). Augusto poi ricordò le sue leggi moralizzatrici, o presunte tali, quindi accusò i celibi di essere simili ai briganti e alle fiere selvatiche: “voi-disse- non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno di voi mangia o dorme solo, ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza” (ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete, LVI, 4, 6, 7).
Il princeps ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non  mancano i vantaggi. Ci sono anche i premi promessi dalle leggi (kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", LVI, 4,  8).
Polibio nel secondo secolo a. C. aveva lamentato la crisi demografica della Grecia che all’epoca non toccava ancora Roma.
Tacito agli inizi del II secolo d. C. ricorda la lex Papia Poppaea (del 9 d. C.). Questa, tra l’altro, concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum). Lo storiografo  ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio (senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[9] incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales 3, 25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.
Non per questo tuttavia, continua l’autore, i matrimoni e le nascite dei figli divenivano più frequenti, praevalida orbitate, tanto si era affermato il costume di non avere famiglia.
Rostozeff  annovera il calo demografico della classe dirigente tra le cause della caduta dell’impero e della civiltà dei Romani.
Lo storico scrive che  sotto la brillante apparenza dell’impero romano si sente il venir meno dello slancio creativo e il disprezzo per esso; si sente la stanchezza e l’indifferenza che minarono non solo la cultura dello stato, ma anche la sua organizzazione politica, la sua forza militare ed il suo progresso economico. Ebbene, Un sintomo di questa indifferenza è “il suicidio della razza-il rifiuto della continuazione della specie. Il reclutamento delle classi superiori avveniva dall’esterno, non dall’interno ed esse si estinsero prima di avere il tempo di trasmettere alle generazioni successive il patrimonio culturale”[10] (p. 717).
Bodei conclude il primo capitolo della seconda parte di Generazioni con queste parole a proposito della decrescita e dell’abbondanza frugale : “Sebbene tale progetto possa in teoria favorire la nascita di inedite modalità di utilizzo delle risorse materiali e immateriali, la sua eventuale  realizzazione comporterebbe un profondo e doloroso cambio di atteggiamenti, di gusti e di politiche al quale molti non sembrano pronti. E anche se esistono lodevoli tentativi di mettere in pratica tale disegno, almeno sul piano economico, attivando la circolazione di moneta creditizia allo scopo di incrementare lo scambio di servizi o l’acquisto in comune di cibo, prodotti e servizi locali, difficilmente esso sembra realizzabile in tempi storici ragionevoli[11]” (Generazioni, p. 46).

Giovanni ghiselli

P. S
  
I commenti a Generazioni di Bodei sono presenti anche nella rivista “Bibliomanie”




[1] Per questa definizione di welfare state si veda Conti, Silei, Breve storia dello stato sociale cit., p. 9. Per la critica al concetto di welfare state, cfr. A, Schonfiel, Modern Capitalism. The Changing Bilance of Public and Private Power, Oxford University Press, New York 1965 (e, per un inquadramento, G. Marramao, Il Leviatano. Individuo e comunità, Nuova edizione ampliata, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 353-364). Per un utile inquadramento nel contesto europeo, cfr. E. Eichenhofer, Geschichte des Sozialstaats in Europa cit.
[2] Cfr. Cleante, in Stobaeus, Florilegium 95, 28. Si vedano inoltre: P. Hadot, Esercises spirituals et philosophie ancienne, Études augustinennes, Paris 1981, trad. it. Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino 1987; M. Foucault, Le souci de soi, Gallimard. Paaris, 1984, trad, it, La cura di sé, Feltrinelli, Milano, 1985.
Cleante a un tale che gli chiese come  potrebbe uno essere ricco, rispose “eij tw`n ejpiqumiw`n ei[h pevnh~” (Stobeo, Flori. 95, 28 Mein.)
[3] Del 46 a. C.
[4] Ep. 94, 27.
[5] Su questo indice di benessere della popolazione si veda, ad esempio, Felicità ed economia, a cura di L. Bruni e P. Porta, Guerini, Milano, 2004.
[6]  Parini, nell’Ode  Alla Musa raffigura il poeta, ovvero  se stesso, con questi versi “Colui cui diede il ciel placido senso/E puri affetti e semplice costume;/Che di sé pago e dell’avito censo,/Più non presume;/
Che spesso al faticoso ozio de’ grandi/E all’urbano clamore s’invola, e vive/Ove spande natura influssi blandi/O in colli o in rive/
E in stuol d’amici numerato e casto,/Tra parco e delicato al desco asside;/E la splendida turba e il vano fasto/Lieto deride;/
Che ai buoni, ovunque sia, dona favore;/E cerca il vero; e il bello ama innocente;/E passa l’età sua tranquilla, il core/
Sano e la mente”
[7]Ecloga IV,  6-7,  già torna la Vergine (Astrea, dea della giustizia), torna il regno di Saturno, già una nuova stirpe scende dall’alto cielo.
[8] Cassio Dione, Storia di Roma, LVI, 3, 3
[9] De maritandis ordinibus e De adulteriis coërcendis del 18 a. C.
[10] Storia del mondo antico (1930) Trad it. Sansoni, Firenze, 1975, p. 717
[11] Cfr. S. Latouche, Vers une société d’abondance frugale. Contresens et controverses dìsur la décroissance, Fayard, Paris 2011, trad. it. Per un’ abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 13. Ma si veda anche W. Sachs, Nach uns die Zukunft-Der globale Konflikt un Gerechtigkait und Ökologie, Brandes & Apsel, Frankfurt a. M. 2002, trad it. Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale, Feltrinelli, Milano 2007. 

1 commento:

  1. Non credo di condividere gli aspetti positivi della crisi economica , avrei preferito una crescita morale del cittadino dovuta alla scuola e alla filosofia e non alle rinunce imposte...Giovanna Tocco

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