Settima parte della
presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose. Editori
Laterza, Roma-Bari 2014.
Bodei procede ricordando le
varie tappe attraverso le quali in alcuni Stati si è giunti al welfare state. Quindi ne riferisce una
“buona definizione”. Questa: “Con
l’espressione ‘Stato sociale’ s’intende l’insieme di iniziative assunte dai
vari paesi nell’ambito dell’assistenza, della previdenza, della sanità, della
regolamentazione del lavoro e, più in generale, per la tutela dei ceti più
deboli. Frutto della rivoluzione industriale e della necessità di offrire
qualche risposta ai gravi problemi sollevati dalla nascita dell’economia di
mercato, lo Stato sociale-e, prima di esso, le politiche di lotta alla povertà
e all’emarginazione-ha assunto valenza e connotazioni differenti a seconda dei
periodi storici”[1]
Il welfare state ha diffuso “la solidarietà intergenerazionale” la
quale “si è così decisamente spostata dall’ambito della famiglia verso
l’esterno, in direzione non solo dello Stato e delle sue istituzioni, ma anche
delle Chiese…” (p. 43).
La solidarietà interpersonale,
dal 1968 fino alla metà degli anni
Settanta, ricordo, era presente anche nel costume, almeno tra noi giovani.
Allora si poteva ricevere simpatia, accoglienza e aiuto non solo dal parente, dall’amante e dal sodale, ma anche dal collega, e perfino
dal conoscente occasionale.
Si giocava, si cantava, si
stava insieme, non poche volte ci si aiutava a vicenda. Poi una serie di stragi
e una propaganda antiumanistica, anzi antiumana, ha diffuso il sospetto, il
terrore e l’odio reciproco.
Lo Stato sociale era l’
aspetto istituzionale di una buona socialità.
Bodei delinea le fasi della
decadenza dello Stato sociale: “Dopo aver raggiunto lo zenit negli anni Sessanta
e Settanta del secolo scorso, il welfare
state ha iniziato il suo declino,
che si è accentuato, nel mondo occidentale, nell’epoca delle politiche
neo-liberiste di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan e ancora di più, in
Europa, per effetto della crisi finanziaria ed economica del 2007-2008. Secondo
alcuni analisti, le ragioni di questo tramonto sembrano connesse all’ultimo
mutamento di strategia del capitalismo per assicurarsi la propria sopravvivenza… Le
prestazioni del welfare state stanno
perciò diminuendo in modo drastico, tanto che un secolo e mezzo di conquiste
operaie, sindacali e civili rischia di ridursi, almeno in parte, a un ricordo”
(Generazioni, pp. 44-45).
Un ricordo che la mia
generazione conserva con quello del costume di solidarietà di cui dicevo sopra,
non senza rimpianto e non senza la speranza che quel mos possa ritornare. Prima o poi. Se noi non ci saremo più, ci
saranno altri giovani. Se non c’è simpatia tra gli umani, la vita degli uomini
e delle donne è un inferno.
“La crisi finanziaria ha,
inoltre, messo in rilievo il fatto che non è più lecito concedere ai desideri,
specie a quelli acquisitivi, l’ampia libertà di cui hanno goduto nel periodo
d’oro del consumismo. Si torna così, con crescente favore, a guardare indietro
nel tempo: in campo filosofico fino ai precetti dell’etica stoica, secondo la
quale, se si vuole essere ricchi, bisogna essere poveri di desideri[2] (la
loro soglia, infatti, anche per evitare cocenti delusioni, deve, per precauzione,
rimanere sempre bassa)” (p. 45).
Cicerone nei Paradoxa
Stoicorum[3] aveva scritto
sinteticamente:"non esse emacem vectigal est" (VI, 51)
non essere consumisti è una rendita.
Seneca mette tra i precetti
che non hanno bisogno di alcuna dimostrazione (probatio) questa sentenza di Catone il Censore: “emas non quod opus est, sed quod necesse
est; quod non opus est asse carum est”[4],
compra non quello che è utile, ma quello che è necessario; quello che è
inutile, è caro anche se costa un soldo.
“L’incertezza del futuro
spinge quindi, oggi, per un verso a mettere la sordina ai desideri di maggiore
godimento di beni e servizi e, per un altro, a far riscoprire valori
immateriali di felicità (convivialità, amicizia, cultura, sport) non
misurabili, come si dice, mediamte il PIL, bensì mediante il FIL, ossia la
“Felicità Interna Lorda”[5].
Sarebbe interessante a questo
punto fare un sondaggio su cosa intendano i più per felicità. Alla mia età tale
bene è dato da una buona salute innanzitutto, poi da ricchezza di affetti,
dalla volontà inesausta di imparare, e di insegnare, e certamente anche dalla
tranquillità economica[6].
Ma torniamo a imparare da
Bodei: “Mi riferisco, soprattutto, al progetto di decrescita” e di “abbondanza
frugale”, frutto, in parte, di wishful
thinking, della speranza di sostituire la moderna Gesellschaft, in cui gli individui vivono isolatamente come atomi,
con la tradizionale Gemeinschaft
solidale. Si tratta di una prospettiva che guarda con nostalgia a un futuro che
porta impressa l’immagine del passato, della promessa di un ritorno a una nuova
età dell’oro” (p. 46).
L’autore di Generazioni quindi rileva la difficoltà
di questo ritorno, già più volte invano auspicato. Si può pensare alla quarta
bucolica di Virgilio: “Iam redit et
virgo, redeunt Saturnia regna;/iam nova progenies caelo demittitur alto”[7]
La nova progenies dovrebbe porre rimedio ai guasti prodotti da quella delle
guerre intestine, una specie di età del ferro, della lotta spietata di tutti
contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano
gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage
su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni: "et consanguineum mensas odere timentque " ( Lucrezio, De rerum natura , III, 73) e odiano e
temono le mense dei consanguinei.
Meno male dunque che stava
per nascere una nova progenies,
poiché la vecchia si stava estinguendo. La decadenza della nostra civiltà
ricorda per certi aspetti quella dell’antica Roma. Vediamo il problema del calo
demografico antico, un declino che si sta ripetendo, soprattutto per quanto
riguarda la classe dirigente.
Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai
celibi per spingerli a procreare. Elogiò
i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati:
infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e
nutrice dei figli ("a[riston
gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "[8], ed è
una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre
anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva) di lavoratori e di soldati.
Quindi l’imperatore parlò con
parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. “Voi- disse in
sostanza- siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi
tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle
fondamenta: gli uomini infatti probabilmente costituiscono la città, non le
case né i portici né le piazze vuote di uomini” (a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv, LVI, 4, 1, 2). Augusto poi ricordò le sue leggi
moralizzatrici, o presunte tali, quindi accusò i celibi di essere simili ai
briganti e alle fiere selvatiche: “voi-disse- non è che volete vivere senza
donne, visto che nessuno di voi mangia o dorme solo, ma volete avere la facoltà
della dismisura e dell'impudenza” (ajll' ejxousivan
kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete, LVI, 4, 6, 7).
Il
princeps ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti
sgradevoli (ajniarav
tina),
ma, aggiunse, non mancano i vantaggi. Ci
sono anche i premi promessi dalle leggi (kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", LVI, 4, 8).
Polibio
nel secondo secolo a. C. aveva lamentato la crisi demografica della Grecia che
all’epoca non toccava ancora Roma.
Tacito
agli inizi del II secolo d. C. ricorda la lex Papia Poppaea (del 9 d. C.). Questa, tra l’altro, concedeva
agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum). Lo storiografo ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio
(senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[9] incitandis
caelibum poenis et augendo aerario (Annales 3, 25), per
aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.
Non per questo tuttavia,
continua l’autore, i matrimoni e le nascite dei figli divenivano più frequenti,
praevalida orbitate, tanto si era affermato il costume di non avere
famiglia.
Rostozeff
annovera il calo demografico della
classe dirigente tra le cause della caduta dell’impero e della civiltà dei Romani.
Lo
storico scrive che sotto la brillante
apparenza dell’impero romano si sente il venir meno dello slancio creativo e il
disprezzo per esso; si sente la stanchezza e l’indifferenza che minarono non
solo la cultura dello stato, ma anche la sua organizzazione politica, la sua
forza militare ed il suo progresso economico. Ebbene, Un sintomo di questa
indifferenza è “il suicidio della razza-il rifiuto della continuazione della
specie. Il reclutamento delle classi superiori avveniva dall’esterno, non dall’interno
ed esse si estinsero prima di avere il tempo di trasmettere alle generazioni
successive il patrimonio culturale”[10] (p.
717).
Bodei conclude il primo
capitolo della seconda parte di Generazioni
con queste parole a proposito della decrescita e dell’abbondanza frugale :
“Sebbene tale progetto possa in teoria favorire la nascita di inedite modalità
di utilizzo delle risorse materiali e immateriali, la sua eventuale realizzazione comporterebbe un profondo e
doloroso cambio di atteggiamenti, di gusti e di politiche al quale molti non
sembrano pronti. E anche se esistono lodevoli tentativi di mettere in pratica
tale disegno, almeno sul piano economico, attivando la circolazione di moneta
creditizia allo scopo di incrementare lo scambio di servizi o l’acquisto in
comune di cibo, prodotti e servizi locali, difficilmente esso sembra
realizzabile in tempi storici ragionevoli[11]” (Generazioni, p. 46).
Giovanni ghiselli
P. S
I
commenti a Generazioni di Bodei sono
presenti anche nella rivista “Bibliomanie”
[1] Per questa definizione di welfare state si veda
Conti, Silei, Breve storia dello stato sociale cit., p. 9. Per la critica al
concetto di welfare state, cfr. A,
Schonfiel, Modern Capitalism. The Changing Bilance of Public and Private Power, Oxford University
Press, New York 1965 (e, per un inquadramento, G. Marramao, Il Leviatano. Individuo e
comunità, Nuova edizione ampliata,
Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 353-364). Per un utile inquadramento nel
contesto europeo, cfr. E. Eichenhofer, Geschichte
des Sozialstaats in Europa cit.
[2] Cfr. Cleante, in
Stobaeus, Florilegium 95, 28. Si vedano inoltre: P. Hadot, Esercises spirituals et philosophie ancienne, Études augustinennes,
Paris 1981, trad. it. Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino
1987; M. Foucault, Le souci de soi,
Gallimard. Paaris, 1984, trad, it, La cura di sé, Feltrinelli, Milano, 1985.
Cleante a un tale che gli
chiese come potrebbe uno essere ricco,
rispose “eij tw`n
ejpiqumiw`n ei[h pevnh~” (Stobeo, Flori. 95, 28 Mein.)
[3] Del 46
a . C.
[4] Ep. 94, 27.
[5] Su questo indice di benessere della popolazione si
veda, ad esempio, Felicità ed economia,
a cura di L. Bruni e P. Porta, Guerini, Milano, 2004.
[6] Parini,
nell’Ode Alla Musa raffigura il poeta, ovvero se stesso, con questi versi “Colui cui diede
il ciel placido senso/E puri affetti e semplice costume;/Che di sé pago e
dell’avito censo,/Più non presume;/
Che spesso al faticoso
ozio de’ grandi/E all’urbano clamore s’invola, e vive/Ove spande natura
influssi blandi/O in colli o in rive/
E in stuol d’amici
numerato e casto,/Tra parco e delicato al desco asside;/E la splendida turba e
il vano fasto/Lieto deride;/
Che ai buoni, ovunque
sia, dona favore;/E cerca il vero; e il bello ama innocente;/E passa l’età sua
tranquilla, il core/
Sano e la mente”
[7]Ecloga IV, 6-7, già torna la Vergine (Astrea, dea della
giustizia), torna il regno di Saturno, già una nuova stirpe scende dall’alto
cielo.
[8] Cassio Dione, Storia
di Roma, LVI, 3, 3
[9] De maritandis ordinibus
e De adulteriis coërcendis del 18
a . C.
[10] Storia del
mondo antico (1930) Trad it. Sansoni, Firenze, 1975, p. 717
[11] Cfr. S. Latouche, Vers une société d’abondance frugale.
Contresens et controverses dìsur la décroissance, Fayard, Paris 2011, trad.
it. Per
un’ abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 13. Ma si veda
anche W. Sachs, Nach uns die Zukunft-Der
globale Konflikt un Gerechtigkait und Ökologie, Brandes & Apsel,
Frankfurt a. M. 2002, trad it. Per un
futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale, Feltrinelli,
Milano 2007.
Non credo di condividere gli aspetti positivi della crisi economica , avrei preferito una crescita morale del cittadino dovuta alla scuola e alla filosofia e non alle rinunce imposte...Giovanna Tocco
RispondiElimina