NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 14 luglio 2014

dedicato a Roberto Faenza, I parte

Il film Anita B. di Roberto Faenza.
  
Presentazione scritta in seguito a un colloquio con il regista (24 dicembre 2013), in attesa dell’anteprima (14 gennaio 2014).
  
 Il 16 gennaio uscirà il nuovo film di Roberto Faenza: AnitaB. Andrò a vederlo perché la presentazione che ne ha fatto il regista fa capire che la storia narrata riguarda tante persone quante hanno dovuto costruire la loro identità attraversando prove molto difficili e anche assai dolorose.
Questo ultimo lavoro del regista di Sostiene Pereira, di Jona che visse nella balena, di L’amante perduto, di Prendimi l’anima[1] e di altri pregevoli film, prende spunto dalla lettura dal romanzo “Quanta stella c'è nel cielo", di Edith Bruck, romanziera e poetessa di origine ungherese. Appena possibile farò una presentazione anche di questo libro.
Riferisco alcune parole del regista che ho avuto occasione di conoscere due anni fa, nella cineteca di Bologna, e ho incontrato di nuovo in questi giorni di ferie invernali per sentirlo parlare del suo film.

“È stato Furio Colombo a suggerirmi di leggere il libro. Il racconto di Edith Bruck, al quale il film è liberamente ispirato, descrive la quotidianità di Anita in un ambiente fortemente ostile, quasi fosse una colpa essere stata deportata. Non ho mai chiesto a Edith quanto ci sia di autobiografico in quelle pagine, ma ho voluto aggiungere B. ad Anita, in omaggio al suo cognome. Quando ho finito di leggere il libro durante un viaggio aereo dal Giappone dove ero stato a presentare un mio lavoro, ho avuto una crisi di pianto e ho dovuto nascondermi in bagno, sconvolto. Spesso mi chiedo come possiamo lamentarci delle nostre pene, quando ci sono persone che hanno davvero vissuto nell’inferno”.

Nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, lo Stariez Zossima insegna che l’inferno è “la sofferenza di non poter più amare” (VI, 3).
Per chi non ha perso questa facoltà, la terra è, viceversa, un paradiso
Il principe Myškin ritiene naturale e connaturata all’uomo la felicità: “Io non so come sia possibile passare accanto a un albero e non sentirsi felici di vederlo. Parlare con una persona e non essere felici di volerle bene! Oh, io non so esprimere bene i miei sentimenti…ma quante cose belle vediamo ad ogni pie’ sospinto, belle al punto che l’uomo più abbietto non può che vederle sempre belle? Guardate un bambino, guardate l’alba divina, guardate come cresce un fuscello, guardate negli occhi che vi guardano a loro volta e vi vogliono bene…”[2]

La bellezza di tante persone, la loro levatura morale sta nel fatto che l’inferno non le ha rese cattive. E’ il tema del tw`/ pavqei mavqo~[3], attraverso la sofferenza arriva la comprensione, che ricorre in diversi film di Faenza. Anche il dolore serve, è utile alla crescita, se sofferto con intelligenza, coraggio e onestà.
Un altro suo film ha un titolo che si addice a tutta la sua opera: Un giorno questo dolore ti sarà utile.

Ma vediamo in breve la trama del film Anita B.
Anita, un’adolescente di origini ungheresi[4] sopravvissuta ad Auschwitz, è accolta dall’unica parente rimasta viva: Monika, sorella di suo padre, che non vuole essere chiamata zia e vive l’arrivo della nipote come un peso.
A Zvikovez, tra le montagne della Cecoslovacchia non lontane da Praga, Monika vive con il marito Aron, il figlioletto Roby e il fratello di Aron, il giovane e attraente Eli, la cui filosofia è spiccia: “gli uomini tirano giù i calzoni, mentre le donne pensano all’amore”.

E’ questo pensiero delle donne che ha salvato la nostra specie dall’estinzione. Tutti noi dobbiamo il venire alla luce a entrambi i genitori, ma non pochi tra noi devono la sopravvivenza soprattutto, se non esclusivamente, alla madre.
In quel villaggio dei Sudeti, territori in precedenza occupati dai tedeschi, i nazisti vengono rimpatriati a forza e gli scampati trasferiti nelle loro abitazioni, in una situazione di crescente tensione con l’avvento del comunismo. Anita nota anche le sofferenze dei tedeschi, e non ne gioisce, anzi ne prova dolore\
Attorno ad Anita, uomini e donne vogliono dare un calcio al passato, ballare, divertirsi, ascoltare di nascosto le canzoni americane trasmesse oltre cortina dalla Voice of America. Anita sogna come tutti, ma, a differenza degli altri, non nasconde l’anima. La ragazza è combattiva e piena di entusiasmo. La sua forza viene dal ricordo dei genitori persi nel lager. Ma nella nuova casa si trova ad affrontare una realtà inaspettata: nessuno, neppure Eli, con cui scoprirà l’amore, vuole ricordare il passato. E il più grande tabù è proprio l’esperienza del campo, quasi fosse qualcosa di cui vergognarsi.
Quando Anita tenta di smontare quella difesa collettiva, si trova davanti un muro di silenzi. Così, se vuole parlare di ciò che ha passato, può farlo solo con il piccolo Roby, che ha appena un anno e non può capire.
Nella mescolanza di popoli e lingue che confluiscono attorno a Praga, Anita si confronta con personaggi indimenticabili: il vulcanico zio Jacob, coscienza critica della comunità ebraica ed estroso musicista nella festa del Purim; Sarah, la dinamica “traghettatrice”armata di pistola, che organizza l’esodo verso la Palestina; il giovane David, rimasto orfano per la tragica scelta dei genitori, con cui inizia una toccante amicizia. Improvvisamente, Anita si trova catapultata in una situazione imprevista, che la pone di fronte a una decisione che richiede coraggio. E il film si chiude con un inatteso colpo di scena.

Non conosco il finale, siccome non ho ancora visto il film, ma già da questo sommario posso ricavare spunti per una riflessione critica.
Anita “non nasconde l’anima” e non condivide la voglia di oblio degli altri poiché è una persona che non si accontenta di una identità gregaria.
Nascondere l’anima è nascondere la persona, la sua quintessenza, poiché l’uomo è prima di tutto la sua yuchv, mens cuiusque is est quisque[5].
La diversità di Anita dagli altri del suo ambiente fa pensare all’Antigone sofoclea che afferma la propria diversità alla sorella Ismene. Quando questa, che vorrebbe dimenticare i fratelli morti, le dice:"tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati" (v, 88), Antigone risponde:"ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia" (Antigone, v. 89).
Questa ragazza indomita non vuole piacere a tutti, sa di dover obbedire alla propria coscienza che le impone di rendere gli onori funebri anche a Polinice, il fratello caduto combattendo contro Tebe, l’aggressore della polis che il tiranno Creonte vorrebbe lasciare insepolto come traditore della patria.
Quando vedrò il film, cercherò altre analogie tra queste due ragazze poiché Anita mi ha fatto venire in mente l’indomita figlia di Edipo, della quale Shelley scrisse a John Gisborne[6] "La tua opinione su Antigone è giusta. Che sublime ritratto di donna! e che cosa pensi dei cori e in particolare del lamento lirico della vittima simile a un dio? e delle minacce di Tiresia, e del loro immediato compimento? Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!”

Credo che potremo uscire da questa fangosa palude di indifferenza se cresceranno molti giovani come Anita e Antigone, aiutati magari, o per lo meno non ostacolati, da quanti tra i non giovani sono capaci ancora di pensare e di valutare con i criteri della bellezza e della giustizia. Per acquistare, e non perdere questi criteri, è necessaria la conoscenza del passato. Posporre comunque gli anziani ai giovani come si fa oggi è un modo subdolo per svalutare il passato e la memoria del passato conservata dai vecchi.
 Ignorare la storia significa rimanere bambini infanti, e nel senso peggiore[7], per tutta la vita.

Lo scrisse già Cicerone, non certo un eversivo, comunque un divulgatore tra l’altro di quell’umanesimo il cui vetitum non è ricordare, anzi: tabù è dimenticare.
 Già nell’Odissea di Omero la proibizione massima è quella di scordare: novstou laqevsqai, dimenticare il ritorno, significa dimenticare le pene sofferte senza elaborarle, attraversarle, e superarle, significa dimenticare le prove affrontate, scordare lo stesso poema.
“L'espressione che Omero usa in questi casi è ‘scordare il ritorno’. Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino: insomma non deve dimenticare l'Odissea. Ma anche l'aedo che compone improvvisando o il rapsodo che ripete a memoria brani di poemi già cantati non devono dimenticare se vogliono "dire il ritorno"; per chi canta versi senza l'appoggio di un testo scritto "dimenticare" è il verbo più negativo che esista; e per loro "dimenticare il ritorno" vuol dire dimenticare i poemi chiamati nostoi , cavallo di battaglia del loro repertorio"[8].
Dimenticare è pure occultare e perdere la verità: cfr. ajlhvqeia che contiene lanqavnw[9], rimango nascosto e lanqavnomai, dimentico.

Dimenticare Auschwitz per Anita significherebbe non conoscere quella che è stata e non diventare quella che è[10].

Sulla necessità di non dimenticare sentiamo d Cicerone: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă, memoriā rerum veterum, cum superiorum aetate contexitur?" [11] Del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa buona. Lo fa notare Cesare Pavese:"C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini"[12].

Dimenticare per adeguarsi a quanti scordano per pigrizia, o per viltà, o per cattiva coscienza, è uno dei tanti conformismi che inficiano o tolgono identità.
Autorizzo questa mia riflessione attraverso Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata, 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice". Sentiamo ancora Seneca che traduce Epicuro: “si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opiniones, numquam eris dives” (ep. 16, 7), se vivrai secondo la natura, non sarai mai povero, se secondo i luoghi comuni, non sarai mai ricco.
Sentiamo anche O. Wilde: “La morale moderna consiste nell’accettare i luoghi comuni della nostra epoca, ed io credo che per un uomo colto l’accettare i luoghi comuni della propria epoca sia la più rozza forma di immoralità”[13].
  
Riporto una serie di citazioni sui benefici della memoria storica
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente, l'uomo diventa uomo"[14].
La conoscenza della storia, la memoria del passato è ampliamento e potenziamento della fuvsi~.
 "Il benessere dell'albero per le sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza- è questo ciò che oggi si designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[15].
E’ l’aspetto antiquario dell’amore per la storia.
 “La storia è il nostro accaduto, è ciò che continuamente accade nel tempo. Ma tale è anche ciò che è stratificato, lo strato sotto il suolo su cui camminiamo e quanto più profondamente le radici del nostro essere arrivano allo strato insondabile di ciò che, sebbene posto sotto e fuori i confini fisici del nostro io, tuttavia lo plasma e alimenta (così che in ore di meno vigile coscienza possiamo parlarne in prima persona, come se appartenesse alla nostra carne), tanto più spiritualmente “carica” è la nostra vita, tanto più degna è l’anima della nostra carne”[16].
Noi gettiamo radici nei luoghi della terra dove facciamo esperienze: “poiché molti eventi egli vi aveva vissuto e le storie che noi viviamo in un luogo sono simili a radici che gettiamo nel suo sottosuolo”[17].
“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[18].

I revisionismi recenti corrispondono alla concezione orwelliana della storia come palinsesto:" All history was a palimpsest, scraped clean and re-inscribed exactly as often as was necessary[19] la Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante si sarebbe reso necessario

Ebbene, il film di Faenza mostra la Bildung della ragazzina Anita, la sua formazione di donna e di persona.
Sentiamo qualche altra parola del regista Roberto Faenza.
“Anita è una ragazza tenera e sensibile. E’ appena adolescente quando esce da Auschwitz e ha conservato la voglia di lottare, nonostante l’esperienza dei campi…E non vuole limitarsi a sopravvivere. Nella lotta per affermare la propria identità c’è la ricerca dell’amore, in cui darà tutta se stessa, affrontandone costi e rischi…Per molti però vivere significa oblio: senza rendersi conto di seppellire se stessi insieme alla memoria. Ed è così che Anita si trova a poter parlare del suo passato solo con un bambino di un anno. Il piccolo Roby ascolta i suoi racconti, ma non può capirla. Tutti gli altri la invitano a “cambiare argomento[20], oppure le dicono “è passato, dimentica…Anita B. è la storia di una crescita femminile, un romanzo di formazione ancora attuale. Nel dopoguerra si costruiva sulle macerie, oggi proviamo una sensazione simile: il mondo in cui viviamo sembra confuso, senza certezze".

Dimenticare significa alimentare la confusione dell’anima

Io credo che la confusione, il disordine come ajkosmiva personale o politica o addirittura come cavo~ mondiale sia uno dei segni che caratterizzano il male, forse il più evidente.
Credo che si debbano prendere le distanze dai luoghi e dalle persone con le quali non “funzioniamo” bene.
Tenere insieme mondi che stanno bene separati è un’ u[bri~ simile a quella di Serse il quale ha cercato di unire quello che doveva restare distinto in due parti.
E’ come volere esportare la democrazia a suon di bombe.
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Ora commento alcune parole chiave del film, parole che ho ricavato dal provino[21].
Anita dice: “l’unica cosa che mi addolora è non poter parlare con nessuno di quello che abbiamo passato”.

Nell’Antigone di Sofocle, e pure in altre tragedie, chi impedisce di parlare è il tiranno cui la ragazza ribelle rinfaccia:"Del resto da dove avrei potuto ottenere una gloria/ più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua" Antigone, vv. 502-505. Il despota ha messo a tacere tutti, tranne Antigone. Del resto il silenzio di Ottavia, la figlia di Claudio che Agrippina impose a Nerone quale sposa non gradita, non bastò a salvare la vita della disgraziata fanciulla:
"Octavia quoque, quamvis rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere didicerat" (Annales, XIII, 16), anche Ottavia, sebbene non scaltrita dall'età[22], aveva imparato a nascondere la pena, l'amore e tutti i sentimenti. Fa bene dunque Anita a chiarire e svelare i propri sentimenti.

Ora è il chiassoso conformismo imperante che copre le parole sommesse dei dissidenti, ed è l’ignoranza che non permette ai ragazzi, e a tanti adulti, di esprimere i loro affetti. E questa incapacità di parlare, questo ingorgo di sentimenti dovuto alla afasia, non poche volte sfocia nella violenza.

Per la ragazza di Sofocle l’ufficio pietoso nei confronti di Polinice, la ribellione al tiranno, il rifiuto del conformismo, sono atti dovuti non solo al fratello morto ma anche alla propria identità.

Faenza scrive che “Nella lotta per affermare la propria identità c’è la ricerca dell’amore, in cui Anita darà tutta se stessa, affrontandone costi e rischi”.

L’identità è il nostro bene più prezioso: l’abbiamo scelta nel luogo sovramondano dove si raccolgono le anime già passate sulla terra, secondo il mito di Er che conclude la Repubblica di Platone. Dimenticare quella scelta, perdere o smarrire la propria identità è il maximum scelus contro se stessi. Ed è il dolore più grande.
Tanto che Antigone preferisce morire, così Aiace, Polissena, Cleopatra e altri. Maximum scelus oblivio sui est.

La ragazza di Sofocle definisce la propria quintessenza umana con queste parole: “:""Certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore" (ou[toi sunevcqein, ajlla; sumfileĩn e[fun, Antigone, v. 523).

Poi di nuovo Anita: “Ma a ben pensarci, cos'è l'amore?”, si chiede quando pensa a Eli, di cui si è innamorata. E si arrovella per trovare una definizione, salvo convincersi che è“una cosa tanto meravigliosa che se provi a definirla, si arrabbia e perde tutta la sua meraviglia”.
 L’amore è infinito e indefinito come l’ a[peiron di Anassimandro (pei`rar , “confine”). Uscirne è u{briς.

Ripeto con Dostoevskij e con Petronio che l’amore è trasfusione di anime, oltre che fusione di corpi beninteso.
Dimitri Karamazov dice:"questo amore mi tortura, mi tortura! Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[23].
Esiste una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, e quindi, dentro il contesto, può far pensare a una cinica autoironia del narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. Ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. Addio, affanni mortali. Così io cominciai a morire. Si tratta di Encolpio e Gitone.
In Notre-Dame de Paris di Victor Hugo la splendidissima zingara Esmeralda definisce l'amore come fusione celeste tra due creature:"Oh! l'amore!", disse, e la sua voce tremava, e i suoi occhi splendevano. "Significa essere due e uno al tempo stesso. Un uomo e una donna che si fondono in un angelo. E' il cielo"[24].
Luogo simile in Eugenia Grandet di Balzac:" Nella vita morale, come nella vita fisica, esiste una aspirazione ed una respirazione: l'animo ha bisogno di assorbire i sentimenti di un'altra anima, di assimilarli per restituirglieli più ricchi"[25].

La burrascosa passione in cui si trova coinvolta Anita sembra volgere al peggio, quando miracolosamente la ragazza riesce a imporre una sterzata e trasformare il salto nel buio in una occasione di ribellione e rinascita.
Credo che il film si concluda con l’acquisizione della coscienza della propria bella umanità da parte della fanciulla.
Un ragazzo David dice: “la guerra ha cambiato tutto, oramai non sappiamo più chi siamo”. La guerra è uno dei fattori che tolgono identità.

Perfino gli dèi la perdono: Sofocle, che pure è poeta religioso, depreca Ares e lo chiama “il dio disonorato tra gli dèi”: "to;n ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn" (Edipo re , v. 215)

Gli uomini vengono resi stupidi e pazzi dai massacri della guerra
I Greci che hanno distrutto Troia e hanno compiuto un genocidio senza risparmiare nemmeno i bambini, hanno perso la loro identità di popolo civile.
Cruciali sono i versi con i quali Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (764-765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente?
Si tratta di Astianatte, il figlio di Andromaca e di Ettore.
Ammazzare un bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.
La stessa degenerazione in barbari hanno mostrato i tedeschi che osannavano Hitler e hanno assecondato la sua orrenda, sanguinaria vicenda.

Anita vuole sapere ad ogni costo chi è, vuole raffigurare l’impossibile di cui è innamorata[26]. Riporto alcune sue parole: “Sai qual è il mio sogno se potessi raggiungere la Palestina? Quello di scrivere. Voglio inventarmi un mondo che non esiste”.
Una utopia o forse piuttosto una ucronia dove la gente si vuole bene e si ama, immagino.
Appena il film uscirà, andrò a vederlo e aggiungerò altre riflessioni sui contenuti e considerazioni Sulla forma. Sono attirato da queste figura di ragazza che con il suo coraggio autorizza la speranza e con la sua bellezza incoraggia ad amare la vita.


Il film Anita B. di Roberto Faenza subito dopo l’anteprima.

Ieri sera ho visto il film Anita B, in anteprima al cinema Barberini di Roma.
 Uscirà nelle altre sale tra un paio di giorni.
Rispetto al libro di Edith Bruck, Quanta stella c’è nel cielo, Faenza ha attenuato qualche urlo tragico. Eli, per esempio, è meno cinico e farabutto nel film che nel romanzo.
Anita, la ragazza eponima e protagonista, è interpretata magnificamente da una attrice molto brava, espressiva, significativa; con la luce dei suoi occhi e di tutto il volto illumina anche le oscurità degli altri personaggi e delle stagioni più dolenti. Alcune scene sono di invenzione del regista e servono appunto a mitigare la cupa drammaticità di certe parti della storia. Molto bello sono il canto e la danza corale guidati da Moni Ovadia. Alla festa del Purim tutti ballano e il vulcanico zio Jacob, coscienza critica della comunità ebraica, intona: “quando canta il rabbino cantano tutti, quando danza il rabbino danzano tutti. Quando piange il rabbino, piange da solo”. In questa coralità scompaiono gli egoismi, le meschinità e i dolori dei singoli personaggi.
 Cfr. Il dionisiaco.

La compagna di lavoro e amica di Anita del libro è sostituita nel film da un ragazzo, David, innamorato di lei. E’ difficile non provare amore per un personaggio del genere, soprattutto se reso da un’attrice davvero dotata di talento recitativo come Elin Powell.

Verso la fine del film, la ragazza domanda come possano odiarsi tra loro Ebrei e Arabi che discendono tutti da Abramo e sono quindi fratelli.

David le risponde che a volte anche i fratelli si odiano.

Caino e Abele, Romolo e Remo, Eteocle e Polinice.

 Ebbene, questo film di Faenza è un invito a deporre l’odio, a sostituirlo con l’amore, a non lasciarsi prendere dallo sconforto, dal pessimismo da cinismo come fa Eli, ma a lottare perché prevalga la comprensione e l’amore per la vita, la fiducia nella vita. Ce lo insegna la ragazzina Anita, curandoci l’anima. Queste le ultime parole dell’adolescente incinta salita su un camion che la porterà a Gerusalemme: “Sono contenta perché viaggio verso il passato con un solo bagaglio, il futuro”.
Il passato, la sua comprensione, infatti non deve essere una zavorra nel nostro viaggiare verso il futuro ma un viatico che renda più consapevole e quindi agevole il percorso, comunque difficile e bello.
Il cinena Barberini era pieno. C’era il regista, c’era Edith Bruck, e c’erano gli attori e tanti giovani che, come noi vecchi del resto, hanno molto da imparare vedendo questo il film e leggendo il libro da cui è tratto, libera mente.


La poesia e il messaggio morale del film Anita B. di Roberto Faenza.

Ieri sera Roberto Faenza era a Linea notte, l’ultimo TG3 della giornata.
Ha detto che Anita B. è uscito solo in poche sale poiché i gestori temono che contenga una geremiade di lamenti, già molte volte sentiti, sulla tragedia dei campi di sterminio. Il regista ha replicato a tale pregiudizio dicendo che il suo film è un messaggio di giustizia, di ottimismo e perfino di gioia.

Un messaggio presente anche nel film Jona nella balena che è addirittura in gran parte ambientato in un campo di concentramento. “Se uno può venire fuori dal ventre della balena-dice il padre al bambino-non bisogna mai avere paura”. E la madre gli dice: “tu devi guardare il cielo, ricordati sempre di guardare il cielo e di non odiare mai nessuno”
I genitori muoiono ma Jona sopravvive a affronta la vita con un sorriso pieno di coraggio.
Scrivo questo nuovo pezzo sull’argomento per confermare le parole di Faenza e aggiungere che la storia di Anita, splendidamente interpretata dall’attrice Eline Powell, è pure ricca di poesia, che come sappiamo è madre della storia[27].
Infatti la Memoria, che Anita non vuole perdere, che nessuno deve perdere, è madre delle Muse che le generò con Zeus[28] nella Pieria, bellissima base dell’Olimpo[29], perché portassero sollievo agli affanni di noi mortali. Esse godono delle feste, e della gioia del canto.
Gli anelli della catena che ci tiene avvinti alla vita sono Memoria- Muse cioè poesia-Storia.

Le nove figlie di Mnemosine e del padre Cronide intrecciano belle danze guizzando con agili piedi, e la nostra vita senza le Muse dalla dolce voce, cioè senza la poesia, figlia della memoria, è grigia, incolore, se non addirittura indegna di essere vissuta da parte di noi umani dotati di parola.

Ebbene, il film di Faenza è opera poetica e invece di infondere affanni, come pensano pregiudizialmente alcuni che non l’hanno visto, suscita energia morale e speranza in chi lo vede. La ragazzina infatti esce maturata e rinforzata dall’esperienza di dolore cui i nazisti, e le successive circostanze l’hanno sottoposta. Anita non si lascia togliere la curiosità e la gioia, la meraviglia[30] della vita. Pur passando attraverso l’inferno, ha conservato la visione del cielo, e non ha mutato il suo carattere (trovpo~) buono, cioè indirizzato (trepovmeno~) agli aspetti belli e positivi della vita, dai fiori della terra alle stelle , siccome ha capito dai suoi carnefici, i vari aguzzini incontrati dopo la perdita dei genitori nei campi di sterminio, che il male subìto non deve incistirsi nell’anima facendola ammalare e morire con nuove formazioni maligne, ma va capito e trasformato in tanta luce di comprensione[31].

Una luce continuamente irradiata dal volto dell’ottima attrice che la interpreta. Un volto speciale, specialmente espressivo e significativo. Alle violenze subite da tanti agenti del male, compreso il suo amante-carnefice che, dopo averla messa incinta, cerca di imporle l’aborto, Anita reagisce con l’intelligenza e l’amore del grande bene che è la vita.
Un messaggio del genere, il bene che si oppone al male e lo supera, si trova più o meno in tutti i film di Faenza: è la sua sfragivς, il suo sigillo.

. La giovane viene aiutata a sviluppare il senso del bene che ha dentro di sé da alcune persone buone che incontra: David, il compagno di lavoro, il buon medico che le salva il bambino e le offre il viatico per il lungo viaggio della speranza in una vita non sfavorevole a lei e alla sua creatura e Sara che la sottrae alle grinfie del carnefice giovane non rassegnato a lasciarsi sfuggire la vittima.
L’idea del bene è il fine, lo scopo più alto di ogni sapere[32] ma non può svilupparsi in un deserto di persone buone. E’ forte, ma ha bisogno di aiuto per prevalere.
Non manca una bella scena corale, di canti e di danza, che spira un sentimento di solidarietà e di identità culturale rafforzata. Il corifeo è Moni Ovadia il quale, in questo e in altri momenti, aiuta la ragazza a capire che non deve avere paura, né, tanto meno, vergognarsi della propria storia di persecuzioni subite.
Queste infatti sono vergognose solo per chi le infligge. Chi le subisce senza lasciarsi annientare, senza perdere l’amore per la vita, la gioia di vivere, la volontà di conoscere e fare il bene, può invece esserne fiero.
Credo che questo bel film vada visto dai giovani poiché ne possono trarre indicazioni per la loro crescita in termini umani e per quell’aspetto cruciale del loro sviluppo che è la definizione dell’identità.


31 gennaio

Altri film di Roberto Faenza
Una lettera del regista ai più giovani

Prendimi l’anima
Faenza ha detto che Anita B. potrebbe essere la continuazione di Prendimi l’anima.
Questo film racconta la storia di Sabina Spielrein, un nomen omen che significa “gioco pulito”.
Una giovane, Marie Spielrein, forse una parente di Sabina, si reca a Mosca per fare ricerche su questa donna ebrea uccisa dai nazisti invasori a Rostov, nel 1942.
Marie dice: “Sabina è quello che vorrei essere io: una donna che gioca pulito”.
Sabina è una ragazza isterica, guarita da Jung del quale poi diviene amante. Questa giovane crede nell’amore “la forza che muove il mondo”. Ma Jung ha paura di questa forza e maledice la felicità che ne deriva. In questa fase Jung è allievo e seguace di Freud e ripete che l’amore è quanto c’è di più prossimo alla psicosi.
“L’amore è pazzia”.
 Ll’aveva già scritto Platone, nel Fedro.

Platone assimila la follia religiosa a quella erotica: nel Fedro ricorda che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è stato già trattato da Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di essere fuori di sé: quello dei profeti come la Pizia di Delfi, quello dei fondatori di religione, quello dei poeti, e quello degli innamorati.

 C'è da notare che maivnomai, "sono pazzo", maniva, "follia" e mavnti" , “profeta”, hanno la radice comune man(t) -/mhn-.
 Platone sostiene che agli uomini i beni più grandi derivano da una mania data dagli dèi ( Fedro, 244a): infatti la profetessa di Delfi, quella di Dodona e la Sibilla procurano benefici agli uomini quando si trovano in stato di mania, mentre in stato di senno non ne procurano alcuno. Infatti gli antichi che hanno coniato i nomi hanno chiamato manikhv la più bella delle arti che prevede il futuro. Sono stati i moderni, ajpeirokavlw~, con ignoranza del bello, che mettendoci dentro una tau, mantikh;n ejkavlesan (244c), l’hanno chiamata mantica.

Jung vuole conservare la sua rispettabilità di marito borghese e dice: “Non possiamo creare uno scandalo…qualche volta bisogna essere spregevole per sopravvivere”.
Sabina si sposa con un altro siccome voleva vivere d’amore, non morirne. E torna in Russia, nella Russia sovietica del 1920 dove fa la direttrice di un asilo infantile.
A Mosca cercavano il paradiso in terra e lei ci credeva.
La sua regola educativa principale era quella di offrire ai bambini la massima libertà e stimolare la creatività. Se si insegna la libertà a un bambino sin dall’infanzia, forse diventa un uomo veramente libero.
Ma Stalin è un dittatore mentalmente disturbato, è un pazzo, e fa chiudere l’asilo. Quindi proibisce la psicoanalisi.
Sabina cita Majakoskij che si suicidò nel 1930 “anche se mi ucciderete, anche se mi seppellirete, io risorgerò ancora!”
Questa donna, malgrado tutto, ha fiducia nel futuro: “se non potessi sognare, che senso avrebbe la mia vita?”
E Pasternak: “quando non riesci a leggere nell’anima di qualcuno, cerca di andare via, poi ritorna!”
Il testamento di Sabina: Voglio che il mio corpo venga cremato e che le mie ceneri siano sparse sotto una quercia su cui sia scritto “Anche io sono stata un essere umano”.

Viene in mente “so di essere uomo”, la battuta umanistica di Teseo che nell’Edipo a Colono di Sofocle dice al vecchio parricida e incestuoso il motivo per cui lo aiuta. "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), . E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
Faenza dedica il film alla memoria di una donna eccezionale e a coloro che hanno voluto renderle giustizia.

Un messaggio di ottimismo è presente anche nel film Jona che visse nella balena che è addirittura in gran parte ambientato in un campo di concentramento. “Se uno può venire fuori dal ventre della balena-dice il padre al bambino-non bisogna mai avere paura”.
 E la madre gli fa: “tu devi guardare il cielo, ricordati sempre di guardare il cielo e di non odiare mai nessuno”.

Guardare il cielo apre gli occhi dell’anima a Bill Loman, il figlio di Willy Loman, il commesso viaggiatore di Arthur Miller. Il padre, infuriato in seguito a un aspro diverbio, gli dice: “E allora impiccati! Fammi quest’ultimo dispetto! Impiccati!” e il giovane risponde: “No, Willy, nessuno s’impicca! Oggi mi sono precipitato per dodici piani con una penna in mano. E tutt’a un tratto mi sono fermato, capisci? In mezzo alle scale mi sono fermato e ho visto il cielo. Ho visto le cose che mi piace fare a questo mondo. Lavorare e mangiare e sdraiarmi, fumare una sigaretta. E stavo lì con questa penna in mano e mi sono detto: ma che Cristo l’ho rubata a fare?”[33].

I genitori muoiono ma Jona sopravvive a affronta la vita con un sorriso pieno di coraggio.

Il mondo dei personaggi di Faenza prima o poi diventa luminoso e pieno di colori: in un altro film di Roberto Faenza, Alla luce del sole
don Pino Puglisi, il prete ucciso dalla mafia, dice: “I sogni colorano il mondo”[34].
Del resto il sogno è spesso “l’infinita ombra del vero”.
 Gli autori ottimi, gli auctores accrescitori hanno uno stile proprio, una coerenza stilistica e pure tematica.


Nel film L’amante perduto è la morte di un figlio piccolo che getta una coppia nel disordine mentale e nella confusione sentimentale. Saranno due adolescenti, la ragazzina ebrea borghese, il ragazzino arabo proletario, a restaurare, con il loro amore, la chiarezza, la bellezza e la bontà dei sentimenti. Anche nello spettatore.
Alla fine del film, l’adulto ebreo che in un primo momento si è sdegnato per l’amore dei due adolescenti, deve chiedere aiuto al ragazzino arabo sorpreso a letto con la figlia.

L’uomo non è in grado di riparare da solo l’automobile rotta e capisce che noi esseri umani, come scrisse Marco Aurelio “siamo nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin" Ricordi, II, 1).
Questo insegnano anche i film di Faenza.

Nel film Il caso dell’infedele Klara il tema è quello della gelosia “il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si nutre” come si legge nell’Otello di Shakespeare[35]. Un giovane geloso si reca da un investigatore il quale mostra la verità ai suoi clienti, poi li aiuta a sopportarla. Gli uomini vanitosi spesso preferiscono non vedere la verità piuttosto che rimanerne acciecati. Tutti indossano scarpe e tutti meritano amore ma il 90% mente perché si vergogna.
In AnitaB c’è chi si vergogna delle persecuzioni subite.
 I traditi non dovrebbero poiché non è colpa nostra se qualcuno ci tradisce.
Comunque la fedeltà è l’eccezione
Il film è ambientato a Praga. Il detective sa che una ragazza ha in media sei partner sessuali prima dei 18 anni.
Vittima può essere perfino chi tradisce e lo fa perché è infelice e vuole avere un attimo di felicità in questo triste mondo. Cfr. la terapia del rovesciamento
Inoltre: puoi amare una persona e desiderarne un’altra.
Una qualità rara e molto amabile è la gentilezza
L’investigatore ha un rapporto aperto, flessibile con una moglie che ha un’amante fisso e le dice: “se tu sei felice, io sono felice”.
Ma alla fine si innamora di una sua collaboratrice, Denis, che gli aveva detto; “se tu sei felice, io sono felice, è una stronzata”.
Nella vita è necessario anche fare delle scelte e nei rapporti ci vuole la reciprocità. Munus infatti significa “dono” e pure “compito”.

Un altro film, Silvio for ever, è fatto in collaborazione con Filippo Macelloni.
Berlusconi si è fatto costruire un mausoleo.
Viene in mente Trimalcione che recita da vivo la parte del morto in una simulazione del proprio funerale. Il gigante dell’intrapresa privata ha incaricato il lapidarius Abinna di costruirgli un Mausoleo, ossia un Trimalcioneo.
il marmista partecipa alla cena accompagnato dalla moglie Scintilla.
Girano anche battute funerarie.
Il liberto Seleuco, ispirato da un funerale cui ha assistito, fa:" heu, eheu. utres inflati ambulamus. minoris quam muscae sumus, <muscae> tamen aliquam virtutem[36] habent, nos non pluris sumus quam bullae[37]" (42, 4), ahi ahi, giriamo come otri gonfiati. siamo meno delle mosche; le mosche almeno qualche capacità ce l'hanno, noi non siamo più che bolle.
Nerone organizzò funerali sontuosi per l’usuraio Cercopiteco Panero, feneratorem locupletatum arricchito da lui stesso (Sv., Nero, 30, 6).
l'immagine della vita di Trimalcione è capovolta rispetto a quella del filosofo, e infatti riassunta dalla inscriptio satis idonea, l'iscrizione abbastanza adatta, così:"C. Pompeius Trimalchio Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale: et tu"( 71, 12), Paio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi, e non ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu.

Berlusconi accompagna Montanelli giù per gli scalini del Mausoleo- Berlusconeo e mostra un sarcofago egizio che sarà la sua tomba. Poi gli fa vedere il cerchio dell'amicizia dove ci sono 32 loculi illuminati da torce oblique perennemente accese. Berlusconi fa da guida e spiega: qui dormirò io, qui Dellutri, qui Previti, qui Emilio Fede, qui Fedele Confalonieri. Poi offre un loculo a Montanelli che risponde: "Domine, non sum dignus!".
Ma l'anfitrione non se ne duole. "Ogni mattina- dice- mi guardo allo specchio e mi ripeto 'mi piaccio!' tre volte. "Se uno piace a se stesso, piacerà anche agli altri". Ai suoi seguaci dice: "Ci attaccano come tori inferociti, ma qui c'è un torero che non ha paura di niente e di nessuno. Fate i toreri anche voi". La folla applaude questo messia del denaro e canta: "Presidente, siamo con te! Meno male che Silvio c'è!".
Il vangelo secondo Silvio non è finito qui: "Amo vivere, amo gli altri; degli altri amo soprattutto le belle donne, come tutti gli Italiani che si rispettano…Sono una persona giocosa, piena di vita, amo la vita, amo le donne". Se amasse anche se stesso forse non le pagherebbe le donne.
  


Concludo riportando questo scritto di Roberto Faenza
  

Lettera aperta ai più giovani

Cari giovani amici,
Il 16 gennaio è uscito al cinema un mio film in punta di piedi senza grande pubblicità. Si chiama Anita B. e racconta di una ragazza che esce da Auschwitz. So per esperienza che al solo sentire questo nome la stragrande maggioranza delle persone volta le spalle, pensando a una storia piena di orrore.
Non è così, perché il film presenta una novità: non parla della Shoah ma del dopo, un periodo quasi mai trattato dal cinema. Anita viene liberata e va incontro alla vita piena di gioia e di candore.
Il guaio è che il mondo che la accoglie, di certe cose non vuol proprio sentire. Un po’ come il nostro quando imita gli struzzi. Così quando Anita vuole parlare di quello che ha vissuto, tutti le dicono “dai un calcio al passato, dimentica”. E così facendo, seppelliscono se stessi insieme alla memoria.
Ma il “ricordare”, che poi significa “sapere”, ha ancora importanza ai nostri giorni? Certe volte sembrerebbe di no, per esempio quando in un quiz televisivo tre concorrenti collocano la salita al potere di Hitler addirittura nel dopoguerra.
La stragrande maggior parte di voi per fortuna non è così. E non lo è neppure Anita, che non vuole dimenticare. La sua rabbia è verso i portatori di oblio. La ascolta solo un bambino di un anno, che non può capire.
Jean Améry, compagno di Primo Levi nel lager, ha scritto che Dio ha dato agli uomini la dimenticanza. “Un angelo è incaricato di insegnare al bambino affinché non dimentichi nulla e un altro angelo è incaricato di battergli sulla bocca perché dimentichi ciò che ha imparato”.
Vorrei che voi cari giovani amici credeste al mio consiglio. Lasciate per un giorno il mondo degli spettacoli irreali, popolati da superuomini, mostri, vampiri ed effetti speciali e venite a incontrare Anita.
Seguendo la sua avventura e anche la sua storia d’amore burrascosa, vi confronterete con un’anima della vostra stessa età. Può insegnare che se esci dall’inferno e non ti perdi, dopo non avrai più paura di nulla.
Conto sul vostro ascolto. Un saluto e un abbraccio.
Roberto Faenza




[1] Il regista ha detto: “Mentre lavoravo tra le montagne dell’Alto Adige e Praga, ho pensato che questa fatica (due anni per trovare i finanziamenti necessari e uno per arrivare alla copia campione) per me rappresenta il seguito di Prendimi l’anima, convinto che Sabina Spielrein avrebbe potuto amarlo. Da qui lo spunto per una conclusione ideale, comune al tragitto di due donne coraggiose e indomite: “un viaggio verso il passato con un solo bagaglio: il futuro”. Che è la frase con cui si chiudono gli ultimi fotogrammi.
[2] F. Dostoevskij, L’idiota, IV, 7-
[3] Eschilo, Agamennone, 177.
[4] Come Edith Bruck. Per la sua giovane eroina il regista ha scelto Elin Powell, minuta, viso a triangolo, talento scoperto da Dustin Hoffman (l'ha voluta in Quartet). Eli è Robert Sheehan (protagonista della serie Misfits), nel cast ci sono Moni Ovadia, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro, Jane Alexander.
[5] Cicerone su questa linea, scrive: “mens cuiusque is est quisque, non ea figura quae digito demonstrari potest” (De repubblica, VI, 26), la mente di ciascuno è quel ciascuno, non quella figura che può essere indicata con un dito
[6] Nell'ottobre del 1821.
[7] Infante, come il latino infans, come il greco nhvpio~ è colui che non sa parlare.
[8]I. Calvino, Perché leggere i classici, pp. 15-16.
[9] Cfr. latino lateo.
[10] Cfr. la somma del pensiero educativo di Pindaro, tebano come Antigone: gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei. 
[11]Orator, 120)
[12]Il mestiere di vivere, 24 dicembre 1937.
[13] Il ritratto di Dorian Gray, p. 88.
[14] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, p. 83 e p. 87.
[15] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali II, p. 99.
[16] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli. La storia di Giacobbe, p. 213.
[17] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli. La storia di Giacobbe, p. 385.
[18] T. S. Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944) In T. S. Eliot, Opere, p. 965.
[19] G. Orwell, 1984, cap. IV
[20] Arguo significa rivelo facendo chiarezza cfr. ajrgov~.
[21] Ai miei tempi si diceva così e nemmeno io voglio dimenticare i miei tempi, né voglio dimenticare la mia lingua madre con le altre che ne perfezionano la conoscenza.
[22] Tacito ha appena raccontato l’avvelenamento di Britannico da parte di Nerone. Siamo nel 55 d. C. e Ottavia ha solo quindici anni.
[23]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del 1880), p. 709.
[24] Notre-Dame de Paris (del 1831), trad. it. Garzanti, Milano, 1996, p. 112.
[25] Eugenia Grandet (del 1833), p. 151.
[26] Cfr. Antigone 90 dove Ismene dice alla sorella: “ajll j ajmhcavnwn ejra'/" (v.90), ma sei innamorata dell’impossibile.
[27] Giambattista Vico afferma che "la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti" La Scienza Nuova , Pruove filologiche, III. Si pensi al Bellum Poenicum di Nevio (III sec. a. C.) e agli Annales di Ennio (III-II sec. a. C.) che raccontarono le guerre puniche prima di Livio (I sec. a, C.) e prima di Polibio (II a C.) e di Livio (59 a. C—17 d. C.) 
[28] Cfr. Esiodo, Teogonia, v. 52 ss.
[29] Cfr. Euripide, Troiane, v. 215
[30] Da cui nasce la filosofia secondo Aristotele.
[31] H. Hesse, in Siddharta (p.135) esprime con altre parole l'antica legge eschilea del tw/' pavqei mavqo" (Agamennone, 177):"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce".
[32] Cfr.Platone, Repubblica, 505a: hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma. 
[33], Morte di un commesso viaggiatore, in A. Miller, Teatro, trad. it. Einaudi, Torino, 1959, p. 294.
[34] Cfr. Sabina se non potessi sognare, che senso avrebbe la mia vita?”
[35] III, 3.
[36] La virtus delle mosche sembra anticipare il cavallo geniale che "matura in Ulrich la convinzione di essere un uomo senza qualità". Il protagonista del romanzo di Musil "Con meravigliosa acutezza vedeva in sé-ad eccezione del saper guadagnare denaro, che non gli occorreva-tutte le capacità e qualità che il suo tempo apprezzava di più, ma aveva perduto la capacità di applicarle; e poiché in fin dei conti, se ormai anche i giocatori di calcio e i cavalli hanno genio, soltanto l'uso che se ne fa può ancora salvarne il carattere particolare, decise di prendersi un anno di vacanza dalla vita per cercare un uso appropriato delle sue capacità" R. Musil, L'uomo senza qualità , pp. 42-43.
[37] Le bullae fanno pensare alla vanitas della vita. Così la ricorda il Coro di morti nello studio di Federico Ruysch:"Che fummo?/Che fu quel punto acerbo/Che di vita ebbe nome?" G. Leopardi, Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie.

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