Sir Lawrence Alma-Tadema A Difference of Opinion |
Le parole insomma servono ad avvicinare e conservare la
donna.
Viceversa nei Remedia
Amoris il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i
difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o
l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.
"Profuit adsidue
vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./Quam mala"
dicebam "nostrae sunt crura puellae"/ (nec tamen, ut vere
confiteamur, erant);/ "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae"/
(et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat),/
"quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et
mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./
Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle
tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra"
vocetur;/in gracili "macies" crimen habere potest./Et poterit dici
"petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica",
si qua proba est " (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza
tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare.
"Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né
tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia
della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è
corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il
motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni:
sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per
quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine,
inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è
scura "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E
potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà
chiamare "campagnola" se una è virtuosa.
quam multum poscit
(v. 321): ecco il difetto più odioso per l'amante poiché l'utile è valutato più
del bello e del buono.
Una riflessione che si trova anche in Machiavelli il quale consiglia al suo principe di evitare quello
che anche secondo lui è il difetto più odioso: "ma, sopra a tutto,
astenersi dalla roba d'altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte
del padre che la perdita del patrimonio"[1].
Citeremo ancora l'autore de Il Principe poiché Ovidio è il maestro, se
vogliamo il cattivo maestro, dello sganciamento di un'attività, l’amore nel suo
caso, dalla morale.
et mala sunt vicina
bonis (v. 323): basta spostare un poco il punto di vista, come quando si è
in movimento, anche soltanto con la bicicletta, e si osserva un paesaggio
montuoso, perché le forme cambino e si trasfigurino.
Questo avviene non solo nel campo della percezione fisica o
estetica ma anche in quello della interpretazione morale: "Unnatural vices/are fathered by our heroism.
Virtues/ are forced upon us by our impudents crimes"[2],
afferma il classicista T. S. Eliot,
vizi innaturali hanno come padre il nostro eroismo. Virtù ci sono imposte dai
nostri impudenti delitti.
Già Machiavelli
aveva indicato questa confusione di virtù magari deleterie e vizi che possono
creare il bene: "se si considererà bene tutto, si troverà qualche cosa che
parrà virtù, e, seguendola sarebbe la ruina sua, e qualcuna altra che parrà
vizio, e seguendola, ne riesce la securtà e il bene essere suo" [3].
in peius (v. 325): il pessimismo è quasi
sempre legato a frustrazioni vitali, soprattutto amorose, lavorative e di
salute.
Un'eco di questa svalutazione e svilimento del corpo
femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla
libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando S.
Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi,
l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai
pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non
addirittura inesistente:"Pauci enim
sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei
corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent
" (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano
assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare
abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza
del corpo femminile.-
rustica (vv. 329 e 330): si ricordino le
riflessioni che abbiamo fatto sulla rusticitas
che può essere cosa buona o cattiva a seconda di come la si prende.
A volte, controbatto, la seduzione della bellezza femminile
o maschile, insomma l'inganno di Cipride, porta aiuto a chi subisce o lo
infligge: così è nel poema di Apollonio Rodio dove Fineo consiglia agli
Argonauti: cercate l'aiuto della dea Cipride che inganna: in lei infatti sta il
compimento glorioso delle vostre fatiche (Argonautiche, II, 423-424).
L’aiuto lo darà effettivamente Afrodite agli eroi del vello d’oro facendo
innamorare Medea di Giasone.
Già Saffo chiede
aiuto ad Afrodite invocandola come dolovploke,
tessitrice di inganni (I D, v. 2).
Continuiamo ancora un poco con i Remedia amoris Ovidio il quale consiglia pure di mettere in
imbarazzo l'amata spingendola in situazioni dove non si trovi a suo agio:"Quin etiam, quacumque caret tua femina
dote,/hanc moveat, blandis usque precare sonis:/ exige uti cantet, si qua est
sine voce puella; /fac saltet, nescit si qua movere manum;/barbara sermone est,
fac tecum multa loquatur;/non didicit chordas tangere, posce lyram;/durius
incedit, fac inambulet; omne papillae/pectus habent, vitium fascia nulla
tegat;/si male dentata est, narra, quod rideat, illi;/mollibus est oculis, quod
fleat illa refer " (Remedia
Amoris , 331-340), anzi, di qualsiasi qualità sia priva la tua donna,
pregala continuamente con toni di lusinga che eserciti questa: pretendi che
canti, se è una ragazza senza voce; falla danzare, se è una che non sa muovere
una mano; se è rozza nel modo di esprimersi, falla parlare molto con te; non ha
imparato a toccare le corde, chiedile di suonare la lira; cammina goffamente,
falla passeggiare; i capezzoli occupano tutto il petto, nessun reggiseno copra
il difetto; se ha una dentatura brutta, raccontale qualcosa di cui rida; se è
di occhi piagnucolosi, dille qualcosa di cui pianga.-precare (v. 332): imperativo di precor.
Viene consigliata una diabolica, sistematica distruzione della creatura oggetto
di amore-odio, conseguenza dell'amare
senza bene velle e della cattiva
competizione tra i sessi.
Secondo Pavese questa strategia è concepita e messa in atto
sistematicamente dal "popolo nemico" delle donne per annientare gli
uomini:"Una donna che non sia una stupida, presto o tardi, incontra un
rottame umano e si prova a salvarlo. Qualche volta ci riesce. Ma una donna che
non sia una stupida, presto o tardi trova un uomo sano e lo riduce a rottame.
Ci riesce sempre"[4].
Per la distinzione tra amare e bene velle, cfr. il carme 72
di Catullo
LXXII
Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia,
nec prae me velle tenere Iovem.
dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut natos diligit et generos.
nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
'qui potis est?' inquis. quod amantem
iniuria talis
cogit
amare magis, sed bene velle minus.
CONTINUA
Giovanna Tocco
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