Il pathos come elemento educativo, come propedeutico all’intelligenza e alla comprensione
Conferenza del 27 febbraio 2018, ore 18, al circolo ARCI Trigari, via Bertini, 9/2, Bologna
Il vertice della passione possiamo trovarlo raccontato nelle
tragedie greche e in quelle di Seneca.
Partiamo da uno dei drammi più antichi tra quelli che ci
sono arrivati.
Nella Parodo dell’Agamennone di Eschilo rappresentato nel
458, il coro composto di 12 vecchi Argivi suggerisce un possibile esito
positivo del pathos, la passione che, pur se dolorosa, può divenire un motivo
di crescita mentale e morale: tw/' pavqei
mavqo" (v. 177), attraverso
la sofferenza si giunge alla comprensione.
Già Esiodo, nelle Opere e giorni, aveva scritto: “paqw;n de; te nhvpio" e[gnw (218), soffrendo
anche lo stupido impara, e ancora prima Omero nell’Iliade fa dire a Menelao: “rjecqe;n
dev te nhvpoi" e[gnw” (XVII, 32), il fatto lo capisce anche lo
stolto
Da Erodoto sappiamo che Creso si era illuso di essere l'uomo
più felice della terra, ma, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani,
comprese che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano
sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone",
le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I,
207).
Una sentenza topica che
ha avuto un lungo seguito nella letteratura europea: da Euripide, a Menandro, a
Proust, a Hermann Hesse.
Un caso di pathos
doloroso a lieto fine in seguito a resipiscenza possiamo trovarlo nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il
peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio
della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è
rimasto e dice: "lupro;n diavxw
bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa: ora comprendo
(v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa
di Eracle.
C. Del Grande in Tragw/diva
afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere
paradigmatico fornendo esempi di mavqo"
tragico succeduto al pavqo".
E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato): il
marito che aveva ripudiato la moglie Panfile per un presunto errore sessuale di
lei, un fallo che, senza saperlo, avevano commesso insieme, quando si accorge
dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo attento alla
reputazione:" ejgwv ti"
ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn"(v. 588), io uno senza
peccato badando alla reputazione. Quindi comprende che deve perdonare quello
che è stato solo un "ajkouvsion
gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna
(v.594).
“Nella commedia più delicata e più bella di Menandro, gli Epitrepontes, il cui intreccio può
essere in qualche modo ricostruito, tutto si svolge in modo che infine un
giovane si renda conto del misfatto che ha commesso. Ubriaco, ha usato violenza
a una fanciulla che poi sposa senza sapere di averla già incontrata. Quando
nasce un figlio prima del tempo, com’egli crede, si adira contro la moglie
finché deve scoprire che l’unica persona meritevole della sua indignazione
morale è lui stesso. Come Admeto in Euripide, acquista coscienza della propria
situazione e riconosce che le sue grosse parole non erano altro che parole.
Così osserva a suo modo l’antico ammonimento delfico: conosci te stesso. Ma non
è un Tantalo che nella sua hybris
selvaggia ha ignorato il confine tra potere umano e divino, né un Edipo, che
nelle sue oneste aspirazioni confidava nel proprio sapere, e neppure un Admeto,
che non riconosceva un imperativo a lui posto: è un giovane borghese innocuo
che senza un proposito, senza un’idea, a anzi senza vera coscienza, essendo
ubriaco, è caduto vittima della debolezza umana. La grandezza di Menandro sta
nello sviluppare caratteri umani, con le loro reazioni psicologiche, da temi
così inconsistenti… i poeti più antichi erano spinti a comporre da motivi di
contenuto: conservare vivo il ricordo di grandi gesta, scoprire una verità,
indagare la virtù ecc… Dopo l’intermezzo democratico, con la fioritura ateniese
della tragedia e della commedia, i poeti dovevano di nuovo dimostrare il loro
talento alle corti dei monarchi… E come Menandro essi rinunciano al pathos, ai
programmi morali, all’impegno politico, e osservano con sorridente comprensione
il comportamento degli uomini”[1].
E', secondo Del Grande, un "vero momento di mavqo" tragico"[2].
Sulla medesima linea si trova il Duvskolo" : il vecchio Cnemone
solitario e misantropo, in seguito a una caduta nel pozzo con relativa sofferenza,
comprende che nessuno è tanto autosufficiente da potere vivere senza l'aiuto
del prossimo, e deve ammettere:" e{n d
j i[sw" h{marton o{sti~ tw'n aJpavntwn wj/ovmhn-aujto;"
aujtavrkh" ti" ei\nai kai; dehvsesq j oujdenov""
(vv.713-714), in una cosa probabilmente ho sbagliato: a credere di essere il
solo autosufficiente tra tutti, e di non avere bisogno di nessuno. In Menandro
dunque rimane vigente la legge tragica per la quale attraverso le proprie
sofferenze si impara e si diventa più comprensivi:"non si può dire che mavqo" non ci sia stato...Il
paradigma in funzione esemplare è evidente"[3].
Del resto già nel Prologo il dio Pan aveva detto a proposito
di Gorgia: “oJ pai`~ uJpe;r th;n hJlikivan
to;n nou`n e[cwn:/ proavgei ga;r hj
tw'n pragmavtwn ejmpeiriva, vv. 28- 29, è un ragazzo che ha cervello al
di sopra della sua età:/infatti l'esperienza delle difficoltà fa crescere.
Anche il "pragmatico" e "universale" Polibio riconosce valore educativo alla
sofferenza: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due vie: quella dei
patimenti propri e quella dei patimenti altrui (tou'
te dia; tw'n ijdivwn sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima
è più efficace ("ejnargevsteron"),
la seconda meno dannosa ("ajblabevsteron",
Storie, I, 35, 7).
Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la comprensione ma
anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei
kavllo": "Una questione fondamentale è il rapporto del Greco
col dolore…la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di
bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata
dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette
soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[4].
I Greci non separono l’etica dall’estetica.
Si pensi alla crasi kalokajgaqiva.
Quello dei Greci era:
“un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono
al bello” (Leopardi, Detti memorabili di
Filippo Ottonieri).
La "Classicità non è chiarezza sin dall'inizio, bensì
contesa giunta ad unità, discordia conciliata, angoscia risanata".[5]
Il pathos talora si converte in mathos, lo qumov", l’ira e il furor mai.
Qumov" indica la
parte emotiva dell'anima e questa spesso prevale, contro i precetti di Platone che prescrive la sottomissione
del cavallo nero all’auriga, della parte concupiscente alla razionale, dell’ejpiqumhtikovn al logistikovn. L’elemento razionale dunque, to; logistikovn, deve presiedere all’ajlovgiston e all’ejpiqumhtikovn (Repubblica,
439d) quello irrazionale dei desideri.
L’elemento irascibile to;
qumoeidev~ deve schierarsi con il logistikovn.
Infatti ponemmo gli ausiliari (tou;~
ejpikouvrou~) come cani da guardia
sottomessi ai reggitori (kuvna~ ejqevmeqa
uJphkovou~ tw'n ajrcovntwn), quasi pastori della città (w{sper poimevnwn povlew~)
Nella società ci sono triva
gevnh: crhmatistikovn, ejpikourhtikovn, bouleutikovn, gli affaristi, gli
ausiliari, e i consiglieri, così nell’anima ci sono tre parti: to; qumoeidev~ deve essere ejpivkouron tw'/ logistikw'/ (441), la
parte coraggiosa ausiliare di quella che delibera.
Nel Fedro l’anima
umana viene descritta con immagini: la si assimili alla potenza della stessa
natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga ejoikevtw dh; sumfuvtw/ dunavmei uJpoptevrou zeuvgouς te kai; hJniovcou (246a). Uno dei cavalli
però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il
nero l'appetito. Il bianco è nobile, buono e di buona razza, l'altro il
contrario:"tw'n i{ppwn, o me;n
kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo""(246c).
CONTINUA
Giovanna Tocco
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