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martedì 27 febbraio 2018

Il pathos come elemento educativo, come propedeutico all’intelligenza e alla comprensione



Il pathos come elemento educativo, come propedeutico all’intelligenza e alla comprensione

Conferenza del 27 febbraio 2018, ore 18, al circolo ARCI Trigari, via Bertini, 9/2, Bologna


Il vertice della passione possiamo trovarlo raccontato nelle tragedie greche e in quelle di Seneca.
Partiamo da uno dei drammi più antichi tra quelli che ci sono arrivati.
Nella Parodo dell’Agamennone di Eschilo rappresentato nel 458, il coro composto di 12 vecchi Argivi suggerisce un possibile esito positivo del pathos, la passione che, pur se dolorosa, può divenire un motivo di crescita mentale e morale: tw/' pavqei mavqo" (v. 177), attraverso la sofferenza si giunge alla comprensione.
Già Esiodo, nelle Opere e giorni, aveva scritto: “paqw;n de; te nhvpio" e[gnw (218), soffrendo anche lo stupido impara, e ancora prima Omero nell’Iliade fa dire a Menelao: “rjecqe;n dev te nhvpoi" e[gnw” (XVII, 32), il fatto lo capisce anche lo stolto
Da Erodoto sappiamo che Creso si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, ma, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprese che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I, 207).
Una sentenza topica che ha avuto un lungo seguito nella letteratura europea: da Euripide, a Menandro, a Proust, a Hermann Hesse.
Un caso di pathos doloroso a lieto fine in seguito a resipiscenza possiamo trovarlo nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice: "lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.

C. Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico succeduto al pavqo". E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato): il marito che aveva ripudiato la moglie Panfile per un presunto errore sessuale di lei, un fallo che, senza saperlo, avevano commesso insieme, quando si accorge dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo attento alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn"(v. 588), io uno senza peccato badando alla reputazione. Quindi comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna (v.594).
“Nella commedia più delicata e più bella di Menandro, gli Epitrepontes, il cui intreccio può essere in qualche modo ricostruito, tutto si svolge in modo che infine un giovane si renda conto del misfatto che ha commesso. Ubriaco, ha usato violenza a una fanciulla che poi sposa senza sapere di averla già incontrata. Quando nasce un figlio prima del tempo, com’egli crede, si adira contro la moglie finché deve scoprire che l’unica persona meritevole della sua indignazione morale è lui stesso. Come Admeto in Euripide, acquista coscienza della propria situazione e riconosce che le sue grosse parole non erano altro che parole. Così osserva a suo modo l’antico ammonimento delfico: conosci te stesso. Ma non è un Tantalo che nella sua hybris selvaggia ha ignorato il confine tra potere umano e divino, né un Edipo, che nelle sue oneste aspirazioni confidava nel proprio sapere, e neppure un Admeto, che non riconosceva un imperativo a lui posto: è un giovane borghese innocuo che senza un proposito, senza un’idea, a anzi senza vera coscienza, essendo ubriaco, è caduto vittima della debolezza umana. La grandezza di Menandro sta nello sviluppare caratteri umani, con le loro reazioni psicologiche, da temi così inconsistenti… i poeti più antichi erano spinti a comporre da motivi di contenuto: conservare vivo il ricordo di grandi gesta, scoprire una verità, indagare la virtù ecc… Dopo l’intermezzo democratico, con la fioritura ateniese della tragedia e della commedia, i poeti dovevano di nuovo dimostrare il loro talento alle corti dei monarchi… E come Menandro essi rinunciano al pathos, ai programmi morali, all’impegno politico, e osservano con sorridente comprensione il comportamento degli uomini”[1].

E', secondo Del Grande, un "vero momento di mavqo" tragico"[2]. Sulla medesima linea si trova il Duvskolo" : il vecchio Cnemone solitario e misantropo, in seguito a una caduta nel pozzo con relativa sofferenza, comprende che nessuno è tanto autosufficiente da potere vivere senza l'aiuto del prossimo, e deve ammettere:" e{n d j i[sw" h{marton o{sti~ tw'n aJpavntwn wj/ovmhn-aujto;" aujtavrkh" ti" ei\nai kai; dehvsesq j oujdenov"" (vv.713-714), in una cosa probabilmente ho sbagliato: a credere di essere il solo autosufficiente tra tutti, e di non avere bisogno di nessuno. In Menandro dunque rimane vigente la legge tragica per la quale attraverso le proprie sofferenze si impara e si diventa più comprensivi:"non si può dire che mavqo" non ci sia stato...Il paradigma in funzione esemplare è evidente"[3].
Del resto già nel Prologo il dio Pan aveva detto a proposito di Gorgia: “oJ pai`~ uJpe;r th;n hJlikivan to;n nou`n e[cwn:/ proavgei ga;r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva, vv. 28- 29, è un ragazzo che ha cervello al di sopra della sua età:/infatti l'esperienza delle difficoltà fa crescere.

Anche il "pragmatico" e "universale" Polibio riconosce valore educativo alla sofferenza: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due vie: quella dei patimenti propri e quella dei patimenti altrui (tou' te dia; tw'n ijdivwn sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima è più efficace ("ejnargevsteron"), la seconda meno dannosa ("ajblabevsteron", Storie, I, 35, 7).

Dal dolore dei Greci si sviluppa non solo la comprensione ma anche la bellezza, una sorta di tw/' pavqei kavllo": "Una questione fondamentale è il rapporto del Greco col dolore…la questione se in realtà il suo desiderio sempre più forte di bellezza, di feste, di divertimenti, di culti nuovi non si sia sviluppata dalla mancanza, dalla privazione, dalla malinconia e dal dolore…quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!"[4].
 I Greci non separono l’etica dall’estetica.

Si pensi alla crasi kalokajgaqiva.
Quello dei Greci era: “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri).

La "Classicità non è chiarezza sin dall'inizio, bensì contesa giunta ad unità, discordia conciliata, angoscia risanata".[5]

Il pathos talora si converte in mathos, lo qumov", l’ira e il furor mai.
 Qumov" indica la parte emotiva dell'anima e questa spesso prevale, contro i precetti di Platone che prescrive la sottomissione del cavallo nero all’auriga, della parte concupiscente alla razionale, dell’ejpiqumhtikovn al logistikovn. L’elemento razionale dunque, to; logistikovn, deve presiedere all’ajlovgiston e all’ejpiqumhtikovn (Repubblica, 439d) quello irrazionale dei desideri.
L’elemento irascibile to; qumoeidev~ deve schierarsi con il logistikovn. Infatti ponemmo gli ausiliari (tou;~ ejpikouvrou~) come cani da guardia sottomessi ai reggitori (kuvna~ ejqevmeqa uJphkovou~ tw'n ajrcovntwn), quasi pastori della città (w{sper poimevnwn povlew~)
Nella società ci sono triva gevnh: crhmatistikovn, ejpikourhtikovn, bouleutikovn, gli affaristi, gli ausiliari, e i consiglieri, così nell’anima ci sono tre parti: to; qumoeidev~ deve essere ejpivkouron tw'/ logistikw'/ (441), la parte coraggiosa ausiliare di quella che delibera.

Nel Fedro l’anima umana viene descritta con immagini: la si assimili alla potenza della stessa natura di una coppia di cavalli alati e di un auriga ejoikevtw dh; sumfuvtw/ dunavmei uJpoptevrou zeuvgouς te kai; hJniovcou (246a). Uno dei cavalli però non è buono. L'auriga è il giudizio, il cavallo bianco è il coraggio, il nero l'appetito. Il bianco è nobile, buono e di buona razza, l'altro il contrario:"tw'n i{ppwn, o me;n kalo;" te kai; ajgaqov", oJ de; ejnantivo""(246c).


CONTINUA


[1] B. Snell, Poesia e società, pp. 156-157.
[2]Tragw/diva , p. 209.
 [3] Del Grande, op. cit. p. 214.
[4] F. Nietzsche, La nascita della tragedia (1872),  p. 7 e p. 163.
[5]B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica , p. 141.

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