Alcuni classici dell'antifemminismo
Esiodo, Semonide, Euripide, Leopardi, Schopenhauer,
Weininger.
Esiodo dal quale parte la considerazione malevola delle donne, (VII
secolo) riconosce che l'uomo ha bisogno di questa creatura complementare e che,
se non sbaglia la scelta della compagna, può evitare i dolori infiniti. Nella Teogonia
definisce la donna "bel malanno" (kalo;n
kakovn v. 585) e "inganno scosceso" (dovlon aijpuvn v. 589), un malanno che Zeus inflisse agli
uomini per controbilanciare il potenziamento ricavato dal fuoco, dono di
Prometeo: aujtivka d j ajnti; puro;"
teu'xen kako;n ajnqrwvpoisi (570).
Poi però afferma che
comunque chi evita le nozze e le opere tremende delle donne ("mevrmera e[rga gunaikw'n, v. 603) arriva
alla funesta vecchiaia con la carenza di uno che si prenda cura di lui, e,
quando muore, la sua ricchezza se la dividono i lontani parenti. Del resto chi
sceglie una buona moglie, saggia e premurosa, compensa il male con il bene (v.
609), chi invece si imbatte in una donna di stirpe funesta, vive con
un'angoscia costante nel petto, nell'animo e nel cuore e il suo male è senza
rimedio (vv. 610-612).
Nel poema agricolo l'autore torna sull'argomento e aggiunge
che l'uomo non può fare migliore acquisto di una moglie buona, come non c'è
nulla di più raccapricciante di una sposa cattiva (Opere, vv. 702-703).
Su questa linea si trova Semonide di Amorgo autore (nei primi anni del VI secolo) di un Giambo sulle donne (fr. 7 D), una
tra le più famose espressioni dell'antifemminismo greco. Questo autore fa
derivare le femmine umane di vario carattere da altrettante bestie: il primo
tipo discende dal porco irsuto (ejx
uJo;" tanuvtrico", v. 2, dal
lungo pelo): sta non lavata in vesti sporche a ingrassare in mezzo al luridume (aujth; d j a[louto" ajpluvtois j ejn
ei{masin- ejn koprivh/sin hJmevnh piaivnetai, vv. 5-6).
Poi il tipo che deriva
dalla volpe[1]
maliziosa (ejx
ajlitrh'" ajlwvpeko"), esperta
di tutto, non le sfugge niente, sovverte le categorie morali ed è varia d'umore
oJrgh;n d j a[llot
j ajlloivhn e[cei (11)
Un’altra deriva dal mare ejk qalavssh" (27). Questa alterna risate a scenate da pazza (maivnetai, 33). Allora, come una cagna con i cuccioli, è implacabile
(ajmeivlico") con tutti ed è spiacevole pe tutti, (pa'si kajpoqumivh) per gli amici e
per i nemici
Insomma è come il mare, spesso calmo, non fa
danni, anzi è cavrma
nauth/sin mevga (38), grande fonte di
gioia per i marinai, d’estate qevreo" ejn w[rh/ (39), ma spesso si infuria pollavki" de; maivnetai, sballottandosi con onde dal cupo fragore. Insomma
una bufera di femmina.
In conclusione è cangiante come il mare.
"Varium et
mutabile semper/femina ", come aveva già detto Virgilio [2].
Un’altra deriva dalla cagna.
Questa vuole adscoltare tutto, sapere tutto, e non puoi farla tacere nemmeno se
la prendi a sassate
La figlia della terra,
è pigra e pesante.
Poi c’è quella che
deriva dalla cavalla,
E’ morbida e adorna di una folta criniera. Non sopporta i
lavori domestici e si fa amico l'uomo solo per necessità (ajnavgkh/ d j a[ndra poiei'tai fivlon, 62).
Questa è la donna narcisista e parassitaria che passa il tempo a pettinarsi,
truccarsi, profumarsi. Una creatura del genere è uno spettacolo bello a vedersi
per gli altri, ma per chi se la tiene in casa è un male (kalo;n me;n w\n qevhma toiauvth gunhv-a[lloisi, tw'/ d j e[conti
givgnetai kakovn, 67-68) , a meno che sia un despota o uno scettrato che
di tali vezzi si gloria nell'animo.
Tale è dunque la donna adatta ai tiranni che nella cultura
greco-latina sono paradigmi negativi. Costoro hanno fama di violentare le donne
come abbiamo visto nella descrizione che Otane fa del mouvnarco" nel dibattito sulla migliore costituzione (Erodoto,
III, 79-84).
Quella che deriva dalla scimmia è brutta e
ripugnante.
La derivata dall'asina, scostumata,
sessualmente vorace.
La discendente dalla donnola,
sciagurata, disgustosa e ladra
Ultimo tipo, e unico raccomandabile, è quello che deriva
dall'ape ("ejk melivssh"",
v. 83). Questa ha tutte le caratteristiche della buona sposa e chi se la prende
è fortunato. A lei sola infatti non siede accanto il biasimo (mw'mo"), grazie a lei fiorisce la
prosperità, invecchia cara con lo sposo che l'ama[3]
dopo aver generato una bella prole, diviene distinta tra tutte le donne, la
circonda grazia divina (qeivh... cavri",
v. 89) e non si compiace di star seduta tra le donne quando parlano di sesso (oud j ejn gunaixivn h[detai kaqhmevnh o[kou
levgousin ajfrodisiouv" lovgou" , 90-91)
Leopardi traduce
questi versi (90-91) così: "né con
l'altre è solita/goder di novellari osceni e fetidi".
Del resto A Silvia
la natura negò le conversazioni gentili e delicate con altre ragazze: "né
teco le compagne ai dì festivi/ragionavan d'amore" (vv. 47-48).
Dunque una
possibilità di non essere cattiva per la donna c'è secondo Esiodo, Semonide e
Lucrezio.
Molto più radicale nella negatività e nella certezza di non
poter trovare una buona moglie è l'Ippolito
di Euripide il quale vorrebbe che i
figli si potessero generare in altro modo che passando attraverso le donne:
"O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, un male ingannatore
per gli uomini? Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario
ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei
tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli,
ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le
femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno,
sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
Tra i classici dell'antifemminismo assoluto possiamo
aggiungere qualche parola di Schopenhauer: "Le donne sono adatte a curarci e a educarci nell'infanzia, appunto
perché esse stesse sono puerili, sciocche e miopi, in una parola tutto il tempo
della loro vita rimangono grandi bambini: esse occupano un gradino intermedio
fra il bambino e l'uomo, che è il vero essere umano... le donne rimangono
bambini per tutta la vita, vedono sempre soltanto ciò che è vicino, rimangono
attaccate al presente, scambiano l'apparenza delle cose con la loro sostanza, e
preferiscono inezie alle questioni più importanti... le donne, in quanto sesso
più debole, sono costrette dalla natura a far ricorso non già alla forza ma
all'astuzia: di qui deriva la loro istintiva scaltrezza e la loro
indistruttibile tendenza alla menzogna... per la donna una sola cosa è
decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta... Il sesso femminile, di
statura bassa, di spalle strette, di fianchi larghi e di gambe corte, poteva
essere chiamato il bel sesso soltanto dall'intelletto maschile obnubilato
dall'istinto sessuale: in quell'istinto cioè risiede tutta la bellezza
femminile. Con molta più ragione, si potrebbe chiamare il sesso non estetico... Nel nostro continente
monogamico, sposare significa dividere a metà i propri diritti e raddoppiare i
doveri... Nessun continente è così sessualmente corrotto come l'Europa a causa
del matrimonio monogamico contro natura"[4].
In questa stessa linea il Leopardi di Aspasia,
frustrato da Fanny Targioni-Tozzetti sui sentimenti della quale precedentemente
si era illuso al punto che gli sembrava di errare "sott'altra luce che
l'usata"[5].
Dopo la morte del poeta, Ranieri disse a Fanny che quella donna era lei ma ella
protestò dichiarando di non aver mai dato "la menoma lusinga a quel pover
uomo" e anzi precisò, ogni volta che il Leopardi accennava a cose d'amore,
"io m'inquietavo, e non volevo, né anco credevo vere certe cose, come non
le credo ancora, ed il bene che io gli volevo glielo voglio ancora tal quale,
abbenché ei più non esista"[6].
Vediamo dunque la vendetta dell'innamorato deluso. Rispetto al solito:
diventerai vecchia e brutta, qui la variante è: sei scema come tutte, quasi
tutte le donne. Riporto alcuni versi di Aspasia
:"Raggio divino al mio pensiero apparve,/donna, la tua beltà[7]...
Vagheggia/il piagato[8]
mortal quindi la figlia/della sua mente, l'amorosa idea/che gran parte d'Olimpo
in se racchiude, /tutta al volto ai costumi alla favella/pari alla donna che il
rapito amante/vagheggiare ed amar confuso estima./or questa egli non già, ma
quella, ancora/nei corporali amplessi, inchina ed ama./ Alfin l'errore e gli
scambiati oggetti/conoscendo, s'adira; e spesso incolpa/la donna a torto. A
quella eccelsa imago/sorge di rado il femminile ingegno;/e ciò che inspira ai
generosi amanti/la sua stessa beltà, donna non pensa,/né comprender potria. Non
cape in quelle/anguste fronti ugual concetto. E male/al vivo sfolgorar di
quegli sguardi/spera l'uomo ingannato, e mal richiede/sensi profondi,
sconoscuti, e molto/più che virili, in chi dell'uomo al tutto/da natura è
minor. Che se più molli/e più tenui le membra, essa la mente/men capace e men
forte anco riceve" (vv. 33 e ss.). Quel "di rado" invero lascia
qualche speranza.
CONTINUA
[2]Eneide, IV, 569-570.
[3]G.
Leopardi traduce"In carità reciproca... ambo i consorti dolcemente
invecchiano".
[4]Parerga e paralipomena Tomo II, p. 832 e
ss.
[5]G.
Leopardi, Il pensiero dominante , v.
104.
[6]
Citazione tratta da Giacomo Leopardi, Canti
, p. 231.
[7]Nota
il platonismo.
Giovanna Tocco
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