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venerdì 9 febbraio 2018

Twitter, CCCXI sunto. La divisione del lavoro e quella dell’uomo. Il festival di Sanremo


La divisione del lavoro e quella dell’uomo. Il festival di Sanremo

Il lavoro merce, il lavoro che equipara l'uomo alla macchina o lo sottomette alla macchina, il lavoro che riduce l'organismo a meccanismo, il lavoro che non ammette la creatività fa schifo. Soprattutto se è precario, o se provoca addirittura la morte dei lavoratori. Renzi e Padoan si tengano tale lavoro e lo facciano fare ai loro figlioli.
La maggior parte delle persone è infelice perché dal lavoro ricava sensi di frustrazione e degradazione Un lavoro che rende le persone sempre meno persone e sempre più strumenti impiega la vitalità di molti esseri umani come combustibile per alimentare il fumo delle fabbriche.

Molte persone vengono stritolate dalle macchine fisicamente e pure mentalmente. Non c'è la divisione del lavoro ma quella dell'uomo. Non gli viene lasciato nemmeno tanto di intelligenza da capire quanto la pubblicità che lo introna sia ingannevole, offensiva, ostile alla vita.

Sanremo negli anni Cinquanta per noi bambini significava l'attesa che la mamma o la zia ci cantasse la canzone più orecchiabile. Ripeterne i motivi era un rito. Poi chi è andato a scuola lo ha rinnegato come rito plebeo. Questa sera vedrò se prevarrà la nostalgia della mamma e dell'infanzia o il disgusto per quanto di volgare, falso, propagandistico e pubblicitario comporterà tale manifestazione.

Dopo avere sentito “Grazie dei fior” cantata dalla nonna dalla mamma e dalle mie zie, eravamo nel 56 o 57, uscivo per annusare il vento che era già profumato di viole e odorava di prunalbo. Poi cadevo riverso nell'erba, o abbracciavo un albero pieno di gratitudine a quelle donne che mi insegnavano ad amare la vita
La volgarità la falsità il cinismo cui ho assistito negli anni successivi, l'egoismo diventato di moda dopo la caduta del movimento del '68, non sono bastati a togliermi quell'amore per la vita, per il conoscere le persone massime le donne, quell’amore che provavo con tutta la forza da bambino

"Il festival siamo noi" scrive oggi, 7 febbraio 1918, un tale nella prima pagina del quotidiano più letto d'Italia. Non in mio nome. Ieri non ho retto un minuto davanti a quel triste corteo tutt'altro che rallegrato dagli ammiccamenti ambigui o dagli schiamazzi dei vari prosseneti. Niente di significativo né di bello.

Intanto i fascisti inneggiano alla razza, un criminale mentecatto spara sul mucchio dei Neri, la scuola non informa e non educa.
Ma c’è chi scrive: "il festival siamo noi". Io mi sento infamato da tale affermazione.
Io non sono quel festival. Volevo guardarlo per scriverne, ma dopo un minuto ho sentito il voltastomaco

Noi, io e la gente come me, non siamo il festival di Sanremo, siamo piuttosto con i Neri presi a revolverate, con gli operai licenziati o fatti morire nelle fabbriche obsolete, con i malati curati male, con le donne violentate. Conserviamo la piena coscienza di tutte le iniquità che quell'orribile festival falso e ruffiano vuole celare.

giovanni ghiselli

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