Banksy, uomo in attesa con fiori |
L'attesa è comunque
la categoria di chi ama una persona per un verso o per un altro non
disponibile. L'attendere del resto non è necessariamente doloroso.
Alla fine di Delitto e castigo Raskòlnikov sente di
amare Sònia riamato, che questa è la sua felicità e che nessun ostacolo di
spazio né di tempo potrà dividerli: "Erano decisi ad attendere, a
pazientare. Restavano loro ancora sette anni di quella vita... la sera di
quello stesso giorno, quando le baracche erano già state chiuse, Raskòlnikov,
sdraiato sul tavolaccio, pensava a Sònia... pensava a lei... ogni cosa, perfino
il suo delitto, perfino la condanna e la deportazione, gli parvero allora, in
quel primo impulso, come fatti esteriori, estranei, cose che non erano accadute
a lui. Quella sera, tuttavia, non gli era possibile pensare a lungo ad una sola
cosa, né concentrarsi in un solo pensiero; non riusciva a ragionare su nessun
problema; poteva soltanto sentire... Alla dialettica era subentrata la
vita"[1].
Questa è un'attesa sicura, o quasi, della ricompensa.
Un'attesa concordata e senza angoscia. Poi c'è l'attesa con angoscia, l'attesa
con il bisogno, urgente e non condiviso, di vedere l'altro.
Sentiamo Proust
che collega l'attesa di chi ama al silenzio di chi non ama:"Qualcuno ha
detto che il silenzio è una forza: in tutt'altro senso, è una forza terribile a
disposizione di quelli che sono amati, perché accresce l'ansietà di chi
aspetta.[2]"
Infine R. Barthes:
"Sono innamorato? - Sì, poiché sto aspettando". L'altro, invece, non
aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco
allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo
sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per
meglio dire in anticipo. La fatale identità dell'innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta ... Fare
aspettare: prerogativa costante di qualsiasi potere" [3].
Torniamo a Lucrezio. superbos
(1177): la superbia è naturalmente della donna, ma la concordanza è, per
ipallage (uJpallaghv, cambiamento)
con postis=postes, gli stipiti, poiché
l'escluso ha davanti solo gli stipiti in quanto la bella non concede neppure il
suo volto sdegnoso.
Le figure retoriche non sono solo fatti meccanici.
- Foribus da foris-is
f. di solito plurale (“battenti”, "porta" e, come avverbio,
"fuori") imparentato etimologicamente con il greco quvra poiché "la radice deriva
dall'indoeuropeo *dhor- che ha dato come esito in greco qur-, in latino for-"[4]
e forum, "piazza". Tedesco
die Tür, la porta
-miser (1179): è,
al solito, l'innamorato non contraccambiato.
"quem si, iam admissum, venientem offenderit
aura/una modo, causas abeundi quaerat honestas,/et meditata diu cadat alte
sumpta querela,/stultitiaque ibi se damnet, tribuisse quod illi/plus videat
quam mortali concedere par est " (vv. 1180-1184), ma se quello, già
fatto entrare, colpisse mentre si avvicina una sola zaffata, cercherebbe
soltanto pretesti onorevoli per allontanarsi, e il lamento a lungo meditato,
tratto dal profondo del cuore, cadrebbe, e si condannerebbe per la stoltezza,
poiché vedrebbe che le ha attribuito più di quanto è giusto accordare a una
creatura mortale.
-quem: nesso
relativo.
-si... offenderit:
la protasi del periodo ipotetico della possibilità presenta, rispetto
all'apodosi, un'anteriorità che non è necessario rendere in italiano.
-aura: la
"zaffata" anche se viene dai taetri
odores (v. 1171) può essere attribuita alla donna stessa da una
disposizione contraria o vendicativa. Per vendicarci della donna che ci fa
soffrire è classico pensare che "diventerà vecchia e brutta" e che
"puzza". Cfr foeditas (v.
1160) e la feditas del Secretum (III, 68) citati sopra.
-alte sumpta: le
lamentele sull'amore infelice oltre che dal profondo del cuore possono essere
prese anche dalla tradizione letteraria che, come abbiamo visto, ne è ricca.
ĭbĭ (1183): "è
scandito qui con correptio iambica (cioè
con due sillabe brevi, anziché come sillaba breve+sillaba lunga"[5].
-plus... quam mortali
(1184): è comunque un errore di dignità mitologica, è infatti simile al crimine
compiuto dal Prometeo incatenato di
Eschilo.
Anche il titano ha
amato troppo i mortali e ha concesso loro più di quanto dovevano avere.
Prometeo lamenta la sua punizione, ingiusta siccome causata
dalle proprie intenzioni buone: “guardate
me incatenato, un dio dal destino difficile,/il nemico di Zeus, quello che è
venuto in odio/ a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus/per il
troppo amore dei mortali (dia; th;n livan filovthta brotw'n, Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 119-123).
Questo livan significa la dismisura che per i Greci fa sempre parte
dell'u{bri" . Si pensi al “mh; livhn” di Archiloco (fr. 128 West v.
7)
L'uomo innamorato attribuisce alla donna adorata qualità
divine amando anche quello che scorre nelle sue viscere.
C'è una poesia di uno dei massimi poeti del Novecento,
l'ungherese Jòzsef Attila che elogia
la materia stessa di cui è fatta la donna: "I circoli del tuo
sangue/tremano senza cessazione , come cespugli di rose./Portano l'eterna
corrente,/perché sbocci l'amore sulle tue guance,/perché sia benedetto il tuo
frutto./Il sensibile terriccio delle tue viscere/è tutto intessuto di mille
radichette/che uniscono in brevi nodi/i fili sottili, sbrogliandosi, /perché le
cellule accolgano i molti succhi/e le belle propaggini dei tuoi polmoni a
foglia/sussurrino il canto della gloria loro!/L'eterna materia percorre
felice/le gallerie delle viscere lunghe/e le scorie lasciano una ricca
vita/nelle polle bollenti delle reni laboriose!/A onde si alzano in te le
valli,/tremano in te le costellazioni,/si muovono i laghi, operano
fabbriche,/s'agitano milioni di animali viventi,/insetti, /erbe
lunghe,/crudeltà e bontà:/brucia il sole e incupisce la pallescente luce
polare/e trascorre nei tuoi contenuti/l'eternità inconscia"[6].
La donna dunque è cosmo e dea.
Poi, come il re carnevalesco che diventa farmakov", si ribalta. Lo spiega
Giasone a una giovane ierodula del tempio sull'Acrocorinto in un dialogo di C. Pavese: "Piccola Mèlita, tu sei
del tempio. E non sapete che nel tempio-nel vostro- l'uomo sale per essere dio
almeno un giorno, almeno un'ora, per giacere con voi come foste la dea? Sempre
l'uomo pretende di giacere con lei-poi s'accorge che aveva a che fare con carne
mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E allora
infuria-cerca altrove di essere dio"[7].
"Nec Veneres
nostras hoc fallit; quo magis ipsae/omnia summo opere hos vitae postscaenia
celant/quos retinere volunt adstrictosque esse in amore,/nequiquam, quoniam tu
animo tamen omnia possis/protrahere in lucem atque omnis inquirere risus
" (vv. 1185-1189), né alle nostre Veneri sfugge questo; e tanto di più
esse con somma cura tengono nascosti i retroscena della vita a quelli che
vogliono trattenere legati nell'amore, invano poiché tu col pensiero puoi
comunque trarre tutti i trucchi alla luce e scoprire tutti gli aspetti
ridicoli.
-fallit: con
l'accusativo della persona cui sfugge (Veneres
nostras, detto ironicamente).
-celant:
etimologicamente imparentato con clam
= di nascosto, regge il doppio accusativo.
-vitae postscaenia:
quanto c'è dietro l'"enorme pupazzata"[8]
della vita.
-adstrictos:
l'amore secondo Lucrezio inceppa gli uomini, come la superstizione, e
denunciarne l'irrazionalità è come abbattere il mostro della religio. Le
sacerdotesse dell'amore sono le donne: "la donna ama credere che l'amore
possa tutto ed è questa la sua
caratteristica superstizione"[9].
-omnis (=omnes) risus:
è la derisione del risentimento della persona frustrata dalle donne e quindi
dalla vita.
"et, si bello
animost et non odiosa, vicissim/praetermittere <et> humanis concedere
rebus" (vv. 1190-1191), e, se è di spirito bello e non disgustosa, a
tua volta puoi lasciar correre e scusare le miserie umane.
-si bello animo est et
non odiosa: "Nota la variatio:
prima il complemento di qualità (bello
animo; ricorda che bellus è il
diminutivo di bonus), poi il
predicato al nominativo (odiosa; lo
stesso aggettivo al v. 1165)"[10].
-praetermittere (dipende
da possis del v. 1188): quest'appello alla comprensione della donna buona dopo
che sono state dette peste e corna sull'astuzia malvagia delle femmine umane, è
tipica degli autori misogini. In fondo bisogna pure accoppiarsi e riprodursi
per non invecchiare nella solitudine.
CONTINUA
[1]F.
Dostoevskij, Delitto e castigo, p.
620.
[2]
I Guermantes, p. 128.
[3]Frammenti di un discorso amoroso, p. 42
[4]
G. Ugolini, Lexis, p. 245.
[5]G.
B. Conte, Scriptorium Classicum, 5,
p. 60.
[6]Ode, 4 , in Lirica ungherese del '900.
[7]Dialoghi con Leucò, Gli Argonauti.
[8]L.
Pirandello, Lettera alla sorella Lina,
31 ottobre 1886.
[9]F.
Nietzsche, Di là dal bene e dal male
, Che cosa è aristocratico, 270.
[10]G.
B. Conte, Scriptorium Classicum , 5,
p. 61.
Giovanna Tocco
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