ricostruzione del volto di Riccardo III (Simmonds) |
II, 2
La
duchessa di York, madre di Riccardo, Edoardo IV e Clarence, quando viene a
sapere della morte di Edoardo e di Clarence, replica al lamento dei figli di
Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas,
I am the mother of these griefes-gravis: -Their woes are parcell’d-particula-
late latin particella-, mine is general” (Riccardo III, II, 2), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i
loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti.
Cfr.
Edipo re vv.93-94 "Parla a
tutti. Di questi infatti io porto il dolore/più che per la mia vita "ej" panta": Edipo
invece presenta aspetti antiautoritari: non devono esserci segreti nè muri tra
la piazza e il palazzo. Tale vena paternalistica però lo porta a combattere
contro sacerdoti e oracoli, cioè su posizioni che Sofocle condanna Edipo è un
crocicchio di pene, un nodo di dolore che gli darà una straordinaria facoltà di
comprendere. Egli ribadisce continuamente tale sua eccezionale capacità di
soffrire e di capire attraverso la sofferenza. Questa, una volta compresa, ci
porta alla razionalità.”
Simile nodo di dolore è Ecuba che nelle Troiane
di Seneca dice al nuntius il quale è incerto se debba dare le orrende
notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o
alla vedova di Ettore:" quoscumque luctus fleveris, flebis meos:/ sua
quemque tantum, me omnium clades premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est
Hecubae est miser " (vv. 1061-1062), qualunque lutto piangerai,
piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di
tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un caro di Ecuba è
infelice!
Richard
chiama il complice Buckingham my other
self, un altro me stesso (II, 3, 151) concistoro dei miei segreti, mio
oracolo, mio profeta.
Cfr. Cicerone, De amicitia: Vero amico infatti
è chi è come un altro se stesso (verus
amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).
Cfr.
Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum
firma amicitia est”, infatti volere e non volere le medesime cose
costituisce precisamente la solida amicizia.
Curzio
Rufo racconta che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333)
scusò le donne del re sconfitto le quali avevano scambiato il suo più caro
amico Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti…mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12), non hai sbagliato, made;
difatti anche questo è Alessandro.
Un
cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i
fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero
governati "this sickly land might solace-solacium-solor- as before "
(II, 3), questa terra malata[1]
potrebbe avere ristoro come prima.
Anche
il cielo viene ammorbato dal capo malato.
Così
l'Oedipus di Seneca: “fecimus
caelum nocens” (36).
Altrettanto
pensa il re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il
fratello: “Oh, my offence is rank, it
smells to heaven” (Hamlet, III,
3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La
terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth
:"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where
nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans,
and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può
essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non
conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano
l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' il nobile Ross che parla. Cfr.
Omero, Esiodo etc.
Riccardo
è chiamato the boar da Hastings il
ciambellano: to fly the boar before the
boar pursues lat sequor-, prosequor-were
to incense the boar to follow us, dice il lord ciambellano Hastings,
fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe aizzare il
cinghiale a inseguirci (III, 2).
Nel Primo Stasimo dell’Edipo re di Sofocle, il colpevole
ricercato, cioè Edipo viene identificato con l'animale del sacrificio
Il
Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola
profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi
antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico
del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
:"Infatti
va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle
rupi (petrai'oς oJ tau'roς)
inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv.
477-479).
"quello
di cui la profetica ripe di Delfi disse: -ha compiuto infamie su infamie con
mani sporche di strage"(Edipo re,
vv.463-466); ovvero l'animale del sacrificio,"il toro delle
rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima"(cfr.
Virgilio, Georgiche,
II,146-147:"et maxima taurus/victima).
Aristofane
nella Parabasi delle Vespe (422) si
pregia di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito proprio
con la bestia dalle zanne aguzze (xusta;ς tw̃/ karcarovdonti, 1031).
E’
Cleone che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni
immondi di Lamia[2]
e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035)
Hastings
dice che non darà il suo voto to bar-lat
latin barra- my master’s heirs -heres (III, 2) per escludere gli eredi del
suo re, non vorrà farlo a costo di morire to
the death. Questa fedeltà infatti gli costerà la vita.
Riccardo
chiama tongueless-old latin dingua-
blocks (III, 7) pezzi di legno senza lingua i cittadini che non lo hanno
acclamato.
Pindaro
qualifica Aiace come a[glwssoς in Nemea
VIII, 24
Nella
Nemea VIII il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24),
privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse
l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia
alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è
morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue
serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei”
(Foscolo, Sepolcri, 220 ss.)
Buckingham
che è complice dei delitti di Riccardo ed è il regista della recita del
principe il quale, come Tiberio negli Annales,
finge la renitenza al suo fato di re, dice che la nobile isola ha il volto
sfigurato dalle cicatrici dell’infamia “her
face defac’d with scars of infamy” ( cfr. greco ejscavra,
braciere, graticola III, 7, 125) in quanto il ceppo regale è innestato su
ignobili piante, alludendo a supposte infedeltà della regina Elisabetta moglie
del re Edoardo IV, fratello di Riccardo.
Ma
Riccardo persiste nella commedia del diniego dicendo che B vuole imporgli
insensatamente the golden yoke-zugovn-iugum of
sovereignity,
l’aureo giogo della sovranità e si fa pregare ancora: will you enforce me to a world of cares? not allied to cura.
Dice, ma subito dopo cede alle preghiere: call them again, I am not made of stones
–gr. stiva-pietruzza-
(III. 7. 223)
Riccardo
fingendosi pio, era apparso tra due vescovi come gli holy and devout-devotus, devoveo, consacro- religious men (III, 7, 91) ed esce di scena concludendo così
l’atto III come, let us to our holy work -e[rgon- again (III, 7,
245), via torniamo ai nostri santi esercizi.
Negli
Annales di Tacito alla morte di
Augusto i senatori asserviti rivolgono suppliche a Tiberio versae inde ad Tiberium preces
(I, 11), ed egli varie disserebat de
magnitudine imperii, sua modestia, della grandezza dell’impero e della
propria insufficienza; solam divi Augusti
mentem tantae molis capacem. Ma Tacito commenta plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat, c’era più
ostentazione che verità e pure quando non voleva simulare suspensa semper et obscura verba, usava sempre parole vaghe e
oscure, poi quando voleva simulare in
incertum et ambiguum magis implicabantur, si avviluppavano sempre di più
nell’indefinito e nell’equivoco.
Nell’Oedipus, Laio definisce il figlio “fratres sibi ipse genuit; implicitum malum- magisque monstrum Sphinge
perplexum sua” (638-639) ha generato fratelli a se stesso; male
aggrovigliato e mostro contorto più della sua Sfinge.
Cfr.
il ruere in servitium (Annales, I, 7) o la libido adsentandi (Historiae
, I, 1)
CONTINUA
Tocco Giovanna
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