domenica 15 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 19. La morte ante diem della regina di Cartagine

Marcantonio Raimondi, Morte di Didone
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Didone riconosce a se stessa delle capacità realizzative che l'avrebbero anche resa felice se non avesse incontrato Enea: "Urbem praeclaram statui, mea moenia vidi,/ulta virum poenas inimico a fratre recepi:/ felix heu nimium felix, si litora tantum/numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae " (vv. 655 - 658), ho fondato una città splendida, ho visto mura mie, vendicato il marito, ho punito il fratello nemico: oh troppo felice, se solo le le navi della Dardania non avessero mai toccato le nostre coste!

 "I tre perfetti statui, vidi, recepi scandiscono orgogliosamente le sue res gestae… Ulta è participio congiunto con valore temporale, inimico a fratre anastrofe. L'esclamazione successiva felix, heu nimium felix è, in termini sintattici, l'apodosi ellittica del seguente periodo ipotetico dell'irrealtà"[1]

 Il rimpianto della non conoscenza del seduttore che ha sconvolto la vita, il desiderio di annullare la tragica storia d'amore appartiene già alla Medea di Euripide (v. 1 e ss.), a quella di Apollonio Rodio ( Le Argonautiche , IV, 32 - 33), a quella di Ennio (246 - 9 Vahlen 2) e all'Arianna dell'opus maximum di Catullo"utinam ne tempore primo/Gnosia Cecropiae tetigissent litora puppes " (64, 171 - 172), oh se mai fin dal primo momento le navi cecropie non avessero toccato le rive di Cnosso! "Un modo sottile di richiamare le proprie radici culturali è nella poesia di Virgilio quella che Pasquali ha chiamata "arte allusiva". Il poeta, riecheggiando un passo o un verso o parte di un verso di un poeta greco o latino, presuppone che il lettore riconosca il passo riecheggiato e talvolta confronti l'originale colla rielaborazione di Virgilio, che talvolta innova e affina l'originale: infatti il poeta dell'età augustea non "imita", ma "emula" i poeti da cui si ispira, gareggia con essi"[2].

Infine Didone vuole mandare a Enea un messaggio letale e un annunzio di futuri danni:"Hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto/Dardanus et nostrae secum ferat omina mortis " (661 - 662), beva con gli occhi questo fuoco il crudele troiano dal largo, e porti con sé le maledizioni della mia morte.

Quindi l'atto del suicidio:"Dixerat, atque illam media inter talia ferro/conlapsam aspiciunt comites ensemque cruore/spumantem sparsasque manus. It clamor ad alta/atria; concussam bacchatur Fama per urbem" (vv. 663 - 666), aveva detto e in mezzo a tali parole le compagne la vedono caduta sul ferro e la spada spumeggiante di sangue e le mani cosparse. Sale il grido fino agli alti atri; la Fama va infuriando per la città sconvolta. - spumantem: prefigura la schiuma di sangue che, secondo la profezia della Sibilla del sesto canto, arrosserà il Tevere:" Bella, horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" ( vv. 86 - 87), guerre, guerre raccapriccianti e il Tevere spumeggiante di molto sangue io vedo. - bacchatur: al v.301 era la donna abbandonata che baccheggiava infiammata per la città messa in moto dalla Fama spietata; ora è la stessa Fama che, presa la fiaccola da Didone, smania attraverso Cartagine sconvolta.


La morte della regina prefigura la distruzione della sua città:"Lamentis gemituque et femineo ululatu/tecta fremunt, resonat magnis plangoribus aether,/non aliter quam si immissis ruat hostibus omnis/Karthago aut antiqua Tyros flammaeque furentes/culmina perque hominum volvantur perque deorum " (vv. 667 - 671), gli edifici fremono di lamenti e di gemiti e di ululati femminei, l'etere risuona di grandi pianti, non altrimenti che se Cartagine tutta o l'antica Tiro[3] crollasse, entrati i nemici, e le fiamme furiose si avvolgessero sui tetti degli uomini e degli dèi.

Didone che muore furente preannunzia la fine del suo Stato per una sorta di responsabilità collettiva del capo e per l'assimilazione possibile della donna non solo alla terra, come abbiamo visto, ma anche alla città.

 Tolstoj afferma che è impossibile non sentire la femminilità di Mosca :"Ogni russo, guardando Mosca, prova la sensazione di trovarsi al cospetto di una madre, ogni straniero, guardandola e ignorandone il carattere materno, deve però almeno sentirne la femminilità: questo accadde anche a Napoleone..."Una ville occupèe par l'ennemi ressemble à una fille qui a perdu son honneur " pensava"[4].

 

In effetti anche la sorella Anna identifica la morte di Didone con la fine della città intera:"Extinxti te meque, soror, populumque patresque/Sidonios[5] urbemque tuam " (vv. 682 - 683), hai annientato te e me, sorella, e il popolo e i patrizi sidoni e la tua città. - Extinxti: forma sincopata per extinxisti. - Populumque patresque:" il Danielino afferma che qui si accenna alle parti in cui era ordinata la cittadinanza cartaginese (oltre alla regia potestas, populus e optimates), ma certo il nesso suggerisce al lettore di Virgilio anche il familiare S. P. Q. R., e dunque si tratta, come altrove, di un riferimento alla realtà romana"[6]. Si può quindi pensare alla costituzione mista.

Didone muore senza dire altre parole mentre la ferita stride profonda nel petto:"infixum stridit sub pectore volnus " (v. 689). Le ferite spesso sono espressive assai: non sempre sono " dumb mouths "[7] , bocche mute, come quelle di Cesare assassinato. Gli occhi erranti cercarono, finalmente, la luce, e la regina mandò un ultimo gemito quando l'ebbe trovata (v. 692).

"Una ferita è anche una bocca. Una qualche parte di noi sta cercando di dire qualcosa. Se potessimo ascoltarla! Supponiamo che queste "intensità sconvolgenti siano una sorta di messaggio: sono "cicatrici", ferite, che segnano la nostra vita" ( J. Hillman, Il piacere di pensare , p. 66)

[1] Sei personaggi in cerca d'autore ( parte prima). Parla il persona

 L'episodio si conclude con parole, se non di speranza, certo di pietà per la donna la quale " nec fato merita nec morte peribat/misera ante diem, subito accensa furore "(v. 697), moriva né per il destino suo né per morte meritata, infelice, prima del tempo, accesa da un subitaneo furore.

Altre ragazze e donne morte ante diem si trovano nelle tragedie di Euripide: Alcesti nella tragedia cui dà la moglie di Admeto dà il nome, Polissena nell’Ecuba, Macaria negli Eraclidi, Ifigenia nell’Ifigenia in Aulide, e un ragazzo: Meneceo nelle Fenicie.

 Ancora fuoco e follia.

"Nonostante la presenza corale del popolo, nonostante l'affetto e l'assistenza affettuosa della sorella, Didone è sola nella sua infelicità. La profondità della sua ferita non può essere compresa né da Enea né dagli altri; e l'aggravarsi del dramma dall'innamoramento alla rottura, al maturare del disegno del suicidio, al suicidio stesso, è nello stesso tempo un accentuarsi della solitudine, l'ampliarsi di un allucinante deserto. In questo modo di interpretare e cantare l'amore Virgilio restava fedele a un filo costante della sua sensibilità: già nella seconda ecloga, già nelle Georgiche l'amore, questo furore cosmico irrazionale, è infelicità e solitudine: ciò resta vero e importante, anche se nell'Eneide può avere avuto il suo peso la considerazione che rappresentare l'amore come piacere e gioia era indegno della dignità epica e tragica"[8].

 

 

Bologna 15 novembre 2020, ore 9, 20

giovanni ghiselli

 

p.s

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[1]G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 3, p. 276.

[2]A. La Penna - C. Grassi, op. cit., p. XXVIII.

[3] La madre patria di Cartagine:"Urbs antiqua fuit (Tyrii tenuere coloni) /Karthago", Eneide, I, 12 - 13, c'era una città antica, la fondarono coloni di Tiro, Cartagine. Da Tiro proveniva anche Cadmo, il fondatore di Tebe (cfr. Euripide, Fenicie, 638 - 639).

[4]Una città occupata dal nemico assomiglia a una ragazza che ha perduto il suo onore. Guerra e pace , p. 1311.

 Un'altra assimilazione di un altro tipo di donna, in questo caso la prostituta, alla città si trova nella Cistellaria di Plauto: "Verum enim meretrix fortunati est oppidi simillima;/non potest suam rem obtinere sola sine multis viris " (vv. 80 - 81), infatti la meretrice è molto simile a una città ricca; non può reggersi da sola senza molti uomini. 

[5] Fenici. Sidone era una città della Fenicia celebre per la produzione di porpora.

[6]G. B. Conte, Scriptorium Classicum, 3, p. 278.

[7] Shakespeare, Giulio Cesare , III, 2.

[8]A. La Penna - C. Grassi, op. cit., p. 358.

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