giovedì 12 novembre 2020

Riflessioni sull'"Eneide". 6. Reazioni vane di donne abbandonate. Certi “eroi” devono obbedire a ordini superiori

Tiepolo, Rinaldo abbandona Armida
Didone sente che il fuoco d'amore è diventato un incendio di odio: Heu furiis incensa feror (v. 376), ahi sono trascinata in fiamme dalle furie!

Poi congeda l'amante, che la sta abbandonando, con una maledizione: "…Neque te teneo neque dicta repello./ i, sequere Italiam ventis, pete regna per undas;/spero equidem mediis, si quid pia numina possunt,/supplicia hausurum scopulis et nomine Dido/saepe vocaturum. Sequar atris ignibus absens/et, cum frigida mors anima seduxerit artus,/ omnibus umbra locis adero. Dabis, improbe, poenas[1];/ audiam et haec manis veniet mihi fama sub imos " (vv. 381 - 386), Non ti trattengo e non confuto le tue parole. Va', insegui l'Italia coi venti, cerca un regno attraverso le onde. Spero però che in mezzo agli scogli, se i pii numi hanno qualche potere, berrai la pena e invocherai spesso Didone per nome. Ti inseguirò con fiaccole funebri anche da lontano e quando la gelida morte avrà separato le mie membra dall'anima, sarò presente in tutti i luoghi come ombra. Pagherai il fio malvagio! starò in ascolto e questa fama mi raggiungerà sotto gli abissi. Dido è anche accusativo.

 

C’è da Notare anche il riuso che fa di queste parole Torquato Tasso nella maledizione che Armida scaglia contro Rinaldo: “Vattene pur, crudel, con quella pace/che lasci a me; vattene, iniquo, omai (…) E s’è destin ch’esca dal mar, che schivi/gli scogli e l’onde e che a la pugna arrivi,/là tra ’l sangue e lr morti egro giacente/mi pagherai le pene, empio guerriero” (Gerusalemme Liberata, XVI, 59 - 60).

 

 Si noti che ventis e undas significano l'instabilità pericolosa della ricerca che corrisponde all'inaffidabilità dell'anima di Enea: fissi sono invece gli scogli che colpiranno il traditore facendogli bere quell'acqua dove erano stati scritti i suoi giuramenti spergiuri. Didone favorirà quella morte, e la fama, che l'ha infamata da viva, la compenserà portandogliene la sospirata notizia. - Anima è il soffio vitale: deriva dall'indoeuropeo *anem - che ha dato come esito in greco ajnem - da cui a[nemo", vento e in latino anim - da cui, oltre animaanimus, animo, coraggio, animal, animosus.

 "Nella nuova battuta di Didone (365 - 387) l'ira proprompe con violenza, variata non più dalla preghiera, ma solo dal sarcasmo: è qui che Didone può ricordare meglio il volto selvaggio della Medea di Euripide, che pure sa unire allo sfogo di una passione furente le sottigliezze di una logica ironica e sarcastica: come Medea, Didone si sente vittima dell'ingiustizia e senza protezione divina contro l'ingiustizia. Dalla battuta, emerge chiaramente che il furor d'amore è divenuto furor di odio senza confini e che il mondo dei valori di Enea resta del tutto estraneo all'animo di Didone"[2].

 

Ma il “pio” eroe deve eseguire comunque gli ordini degli dèi e non può permettersi l'amore:"At pius Aeneas, quamquam lenire dolentem/solando cupit et dictis avertere curas,/multa gemens magnoque animo labefacto amore,/iussa[3] tamen divom exsequitur classemque revisit " (vv. 393 - 396), ma il pio Enea, sebbene desideri mitigare la dolente consolandola e rimuovere gli affanni con le parole, gemendo molto e scosso nell'animo da grande amore, esegue nondimeno gli ordini degli dèi e torna a vedere la flotta.

Enea si comporta come “l’eroe” della Georgica IV che dopo avere fatto morire Euridice inseguendola per violentarla, esegue senza indugio gli ordini della madre: “haud mora: continuo matris praecepta facessit” (v. 548).

Altrettanto fa Abramo nella Genesi ( 22) dove "Dio tentò Abramo e gli disse: - Abramo! - Ed egli rispose: - Sono qui!".

Quindi ricevette l’ordine di offrire il suo unico figlio Isacco in olocausto su un monte che Dio gli avrebbe indicato e il giorno dopo, ricevuta l’indicazione, si incamminò con il figlio e due servi verso il monte.

Questi sono i furfanti bigotti. Orfeo che invece non obbedì (rupta tyranni - foederaGeorgica IV, 492 - 493) venne punito.


giovanni ghiselli

 



[1] "Notare la violenza ossessiva che la insistente allitterazione dà a questo verso" R, Calzecchi Onesti, op. cit., p. 293.

[2] A. La Penna - C. Grassi, op. cit., p. 408.

[3] Come il suo obbedientissimo eroe Virgilio esegue gli ordini non teneri (haud mollia iussa, Georgica III, 41) di Mecenate, il committente a cui si fa riferimento più volte nel poema agricolo. Mecenate "E'insomma un patrono esigente, che vuole impegnare tutto intero l'impianto didascalico dell'opera con il contenuto etico - politico di cui è interprete autorevole" Alessandro Perutelli, Il testo come maestro in Lo spazio letterario di Roma antica, vol. I, p. 299. 

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLXXXVIII. La stazione orientale di Budapest con l’esodo delle Fabulae Pannoniae

  Percorsi la Rákóczi út fino alla Keleti Pályaudvar, la stazione da dove le finniche mie erano partite per tornare nei loro paesi poco ca...