sabato 24 luglio 2021

Aristofane. Gli Acarnesi. I parte

Aristofane
Ma ora è già tempo di parlare del massimo autore della commedia antica e di commentare alcuni dei suoi drammi a noi pervenuti. Magari tutti.
 Prima di affrontare i testi di Aristofane però diciamo due parole sulla struttura della Commedia: questa, rispetto alla Tragedia, ha come caratteristica peculiare due parti: l'agone che è un conflitto di battute tra il personaggio principale e l'antagonista, oppure tra il protagonista e il coro; poi la parabasi  che significa “sfilata” ed è il momento nel quale il coro depone la maschera, spesso animalesca, e annulla la finzione teatrale per esporre le idee del poeta su argomenti vari, spesso attaccando i rivali o provocando il pubblico con lazzi di vario genere.
 
Aristofane nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco dopo il 385.
Ricaviamo dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425) , i Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422), la Pace (421), gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (410), le Rane (405), le Ecclesiazùse (392), il Pluto (388).
 
Dalla prima commedia (Acarnesi, vv. 653-654)) sappiamo che il poeta aveva una proprietà nell'isola di Egina: è probabile che questa sua condizione di benestante abbia influito sulle idee conservatrici e favorevoli alle forze della tradizione.
 Gli Acarnesi  è il più antico lavoro di Aristofane a noi pervenuto: con queso vinse alle Lenèe (festa di fine gennaio durante la quale dal 440 a. C. si rappresentavano commedie) del 425,  precedendo i drammi di Cratino ed Eupoli, ma non costituì il debutto del giovane autore che  era avvenuto nel 427 con i Banchettanti   i quali trattavano il tema dell'educazione: un padre fa educare  due figli in maniera diversa: uno alla scuola antica, l'altro dai nuovi maestri di retorica: una storia ricorrente nella commedia: basta pensare agli Adelphoe  di Terenzio.
La paideia è un tema ricorrente nella commedie di Aristofane.
Nei Banchettanti  e nelle Nuvole l’educazione è  limitata alle persone, nelle Rane è estesa alla città.
 
Nel 426 Aristofane sferrò il primo grande attacco a Cleone con i Babilonesi  che denunziava l'imperialismo ateniese e l’assoggettamento talora brutale imposto alle città alleate: nel 427  Mitilene, che aveva cercato di uscire dalla lega delio-attica, era stata fatta rientrare con estrema durezza che Cleone avrebbe voluto inasprire ancora di più dando a tutti i potenziali ribelli l'esempio di un vero e proprio genocidio. Per fortuna, come leggiamo in Tucidide che  definisce Cleone "il più violento (biaiovtato") dei cittadini e il più capace di persuadere (piqanwvtato") il popolo (III, 36) la sua proposta criminale non passò; vennero comunque uccisi un migliaio di Mitilenesi.
In seguito alla  coraggiosa denuncia dei Babilonesi , rappresentato alle Dionisie, festa cui partecipavano i rappresentanti delle città alleate, Cleone  accusò Aristofane di avere diffamato il popolo davanti agli stranieri. Lo ricorda l'autore negli Acarnesi (vv. 377 e sgg.) non senza compiacimento per essersela cavata, mentre nella parabasi dei Cavalieri  (anno 424) si giustifica del fatto di non avere curato la regia dei drammi precedenti diretti da Callistrato:
" non per stoltezza gli è capitato di indugiare ma poiché riteneva che mettere sulla scena una commedia è l'impresa più difficile di tutte", ajlla; nomivzwn/kwmw/didaskalivan ei\nai calepwvtaton e[rgon aJpavntwn"(vv. 515-516).  
  Aristofane fu un genio precoce e coraggioso:  poco più che ventenne aveva già trovato  il suo stile e l'ardire di fare una satira politica, non  generica e blanda ma acuminata per gli attacchi personali contro personaggi potenti e noti nell'Atene di quegli anni  funestati oltretutto dalla grande guerra del Peloponneso.
Passiamo quindi ad analizzare qualche parte dell'opera dalla quale trarremo, tra l'altro, l'immagine storica più completa dell'ultimo venticinquennio del quinto secolo.
 
Partiamo dagli Acarnesi (425) : un dramma contro la guerra e i guerrafondai. Da qualche tempo Atene era afflitta da epidemie dovute, probabilmente, all'ammassarsi della popolazione rurale dentro le lunghe mura, in condizioni di stenti, mentre i nemici Peloponnesiaci occupavano e devastavano le campagne. Era la strategia di Pericle che in teoria avrebbe dovuto salvare vite umane lasciando solo gli alberi alla furia nemica[1], ma di fatto costò la vita a molti abitanti dell'Attica che tutte le estati veniva invasa dall'esercito del re spartano Archidamo. Nel 429 era morto   lo stesso Pericle il "re non coronato" della città dove "la bionda Armonia generò le nove Muse" per dirla con Euripide (Medea , 831-832).
 La visione di Aristofane è meno idealizzante di quella euripidea.
Intanto Pericle, il leader carismatico si direbbe adesso, capace di mantenere una certa concordia tra le classi e un discreto consenso degli intellettuali, era morto, nel settembre del 429, come tanti cittadini comuni, di peste. Il protagonista di questa prima commedia a noi pervenuta è un "certo Diceopoli" (significa il cittadino giusto,  ed è un contadino) che non ne può più della guerra. Il dramma, ci informa il primo degli argomenti[2] "è di quelli fatti bene ed esorta in tutti i modi alla pace". Infatti Diceopoli dichiara guerra alla guerra. Appena entrato in scena se la prende con Cleone, il demagogo più amato dal popolo  e più odiato dai personaggi positivi di Aristofane. Ad Atene la gente chiacchiera parecchio " :"eijrhvnh d j oJvpw"--e[stai protimw's j  oujdevn: w\ povli" povli"",  ma perché avvenga la pace non c'è nessun pensiero: o città o città"(26-27).
 
Nel tempo della democrazia ateniese, un periodo di passione politica, la povli", la comunità, viene prima, molto prima della famiglia.
Un analogo grido di doloroso amore per la polis si trova nel contesto tragico dell'Edipo re :"  w| poli" povli" (v. 629[3] ).
 
E' interessante notare che i lutti e i guai della tragedia e della commedia sono gli stessi: peste, carestia, guerra.
 
Il contadino Diceopoli manifesta subito la predilezione della campagna e l'odio per la vita urbana (33) i cui valori supremi sono comprare e vendere.
“guardo verso la campagna, bramoso di pace-eijrhvnh" ejrw`n-
stugw`n me;n a[stu, to;n ejmo;n dh`mon poqw`n, odiando il centro della città, soffrendo la mancanza del mio villaggio
o]" oujdepwvpot ei\pen : a[nqraka" privw
 che mai disse: compra il carbone",
oujk o[xo", oujk e[laion, ouujd j h[/dei  privw , né l'aceto, né l'olio, e nemmeno conosceva quel "compra”
ma era lui a produrre tutto e il comprare che taglieggia non c'era"(32-36).
 
 
Sono versi tornati attuali: qualche anno fa il regista Bernardo Bertolucci disse che andava a cercare valori in Oriente siccome in Occidente non c'è altro interesse che il vendere e il comprare.
“L’ansia del consumo è un’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero: perché questo è l’ordine che egli ha incosciamente ricevuto, e a cui “deve” obbedire per non sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza”[4].
 
 
giovanni ghiselli Bologna 24 luglio
 
 


[1] Cfr. Plutarco, Vita di Pericle , 38
[2] Specie di riassunti che risalgono all'edizione di Aristofane di Bisanzio,  non l'autore ovviamente ma un filologo, prefetto della biblioteca di Alessandria, vissuto tra il 245 e il 168 a. C.
 
[3] Questo verso dell-Edipo re di Sofocle fa parte di una breve  ajntilabhv con uno scambio concitato di battute polemiche tra Edipo e Creonte:  Edipo invoca la città come fosse una donna amata molto, poiché l'amante molto le ha dato. Egli l'ha salvata già una volta ed ora sta mettendo a repentaglio la sua vita per salvarla di nuovo.
 

[4] P. P. Pasolini, Scritti corsari, p. 76

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