XII parte della
presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della
vita, età delle cose. Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Presento il
sesto e ultimo capitolo (pp. 72-76) della seconda parte di Generazioni.
Queste pagine
trattano di “come le schiatte si disfanno”[1]
“I rimedi per
evitarne l’estinzione consistono -secondo Alberti- nel generare una prole più
numerosa, nel non dividere troppo le sostanze tra gli eredi e nel mantenerne il
buon nome” (p. 73)
Leon Battista
Alberti nei Quattro libri della famiglia (1433/41) propugna l’ideale e la
pratica della virtù, e, più in generale, pone una base per gli ideali etici ed
estetici dell’umanesimo successivo.
Bodei prende in
considerazione cesure generazionali tragiche, ossia quelle imposte a un popolo
vinto da un popolo nemico.
Penso agli
abitanti dell’isola di Melo massacrati dagli Ateniesi nei primi mesi del 415 a.
C.
Tucidide nelle
sue Storie racconta che il genocidio venne perpetrato dopo un dialogo
nel quale i Meli sostenevano il loro diritto di rimanere autonomi e neutrali
appoggiandosi alla speranza nell’aiuto degli Spartani e nella giustizia divina,
mentre gli Ateniesi opponevano il diritto del più forte, ossia della loro
potenza militare.
La conclusione
dell’assedio e dell’aggressione fu questa:”Gli Ateniesi ammazzarono tutti i Meli
adulti che catturarono e resero schiavi i bambini e le donne. E occuparono essi
stessi la regione, mandando in seguito cinquecento coloni" (V, 116, 4).
A questo
massacro rispose Euripide con la tragedia Troiane, rappresentate nella
primavera successiva.
Bodei ricorda
questa cara tragedia: “Esemplare, sul piano letterario, che riflette però
un’abitudine assai diffusa nel corso della storia, è il caso di Astianatte,
figlio di Ettore, gettato dalle mura di Ilio e così pianto anticipatamente nelle
Troiane di Euripide dalla madre Andromaca, consapevole della sua morte
imminente” (p. 74)
Segue la
citazione delle parole della madre dolorosa al figlio infante.
Mi permetto di
sostituire la mia traduzione a quella citata di E. Cetrangolo:
“O carissimo, o figlio straordinariamente onorato,
morirai per mano di nemici, lasciando la madre disgraziata,
ti ucciderà la nobiltà del padre
che per gli altri è salvezza,
ma il valore del padre non è arrivato nel tempo opportuno per te.
O letto mio sventurato e anche le nozze,
per le quali venni un giorno alla casa di Ettore,
non a partorire un figlio mio vittima per i Danai
ma come signore dell’Asia molto ferace.
O figlio, tu piangi: ti accorgi dei tuoi mali?
perché mi hai afferrata con le mani e ti tieni stretto alle vesti,
come un uccellino rifugiandoti nelle mie ali?
Non verrà Ettore, afferrata la gloriosa lancia
uscito dalla terra per portarti salvezza,
né la parentela del padre, né la forza dei Frigi,
ma precipitando in un rovinoso balzo dall’alto
a capofitto, spietatamente spezzerai il tuo respiro.
O tenero abbraccio carissimo alla madre,
o dolce respiro della carne: invano dunque
in fasce ti nutrì questo seno,
invano mi affaticavo e mi logorai nei travagli.
Ora non più, un’altra volta abbraccia tua madre,
stringiti a chi ti ha partorito, e avvolgi le braccia
Intorno alle mie spalle e accosta la bocca.
O Greci inventori di barbari orrori.
Perché ammazzate questo fanciullo che non ha nessuna colpa? (vv. 740-765)
Con gli ultimi
due versi Euripide accusa i Greci, alludendo agli Ateniesi, di essere loro i
veri barbari.
Quindi Bodei
cita il compianto di Ecuba, la madre, nonna, moglie dolorosa.
“Un dolore
straziante, condiviso da due generazioni di donne, fa così parlare Ecuba,
rivolgendosi con tenerezza a suo nipote Astianatte, appena ucciso”:
“O carissimo,
come a te arrivò sciagurata la morte!
Se infatti tu
fossi morto per la tua città, raggiunta la giovinezza,
e le nozze e la
signoria degna di un dio,
saresti stato
felice, se pure qualcuna di queste condizioni è felice;
ora invece, di
averle viste e conosciute in vita tua, creatura, non lo sai,
e mentre le
avevi in casa, non ne hai fruito.
Infelice, come
miseramente le patrie mura
la cinta
turrita del Lossia ti hanno reciso dal capo
i riccioli che
la madre tua tante volte curò come fiori,
e affidò ai suoi
baci, da dove ora erompe ghignando
dalle ossa
spezzate il sangue, per non dire altri orrori.
O mani, come
conservate le dolci somiglianze
del padre, ma
dissolte nelle giunture siete esposte davanti a me.
O cara bocca[2]
che tante volte lanciavi dei vanti,
sei morta, mi
mentisti, quando gettandoti sulle mie vesti,
‘madre’, dicevi,
‘certo per te una folta ciocca
di ricci mi
taglierò, e sulla tua tomba condurrò
il corteo dei
compagni, dandoti cari saluti’ ”[3].
(vv. 1167-1184)
E' dunque la nonna a
seppellire il nipote per una inversione dei ruoli naturali quale quello
denunciato da Mento nell'Oedipus di Seneca :"Mutatus ordo est, sed nil
propria iacet;/ sed acta retro cuncta " (vv. 366-367), è mutato l'ordine
naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Rendo la parola
a Bodei: “L’altro metodo per interrompere il corso delle generazioni dei nemici
consisteva nell’impedire agli uomini, tenendoli prigionieri per moltissimi anni,
di tornare nelle loro case e generare figli. E’ quello seguito dai genovesi,
dopo la battaglia navale della Meloria (1284), con i circa undicimila
prigionieri pisani (dei quali solo un migliaio rientrarono in patria). Si tratta
di una strategia suggerita ai fiorentini, in sottordine rispetto alla scelta di
sterminarli tutti, da Francesco Guicciardini: “ Dico che e’ pisani ci sono
inimici ostinatissimi, né dobbiamo sperare di avergli mai, se non per forza;
però bisognerebbe ammazzare sempre tutti e’ pisani che si piglieranno nella
guerra, per diminuirvi el numero degli inimici e fare gli altri più timidi (…)
L’ultima rotta che e’ genovesi dettero a’ pisani alla Meloria gli afflisse in
modo che mai più Pisa recuperò el suo vigore, e la causa fu perché mai
lasciarono e’ prigioni, che fu grandissimo numero, di che nacque che Pisa non
solo non si poté più valere di quegli che furono presi che morirono in prigione,
ma ancora ne perdé la progenie che ne sarebbe nata se fossino stati a Pisa”[4].
(p. 76)
[1] Paradiso, XVI,
76.
[2]
Euripide impiega elementi patetici facendo menzionare da Ecuba le varie
parti del corpo martoriato di Astianatte: il capo (1172), le mani
(1178), la bocca (1180). La nonna ricorda anche le parole affettuose che
le diceva il nipote (vv. 1182 ss.). Questo modulo verrà riutilizzato
nelle Baccanti con Agave che piange sui pezzi del corpo di Penteo
smembrati da lei stessa. Il figlio o il nipote dovrebbe seppellire il
parente più attempato, invece è il vecchio che seppellisce il giovane.
La natura è capovolta acta retro cuncta. L’epigramma sulla
tomba sarà un disonore per l’Ellade (1191). Questo bambino l’anno ucciso
un giorno gli Argivi per paura
deivsante~ (1191). Quindi Ecuba saluta lo scudo dove rimangono
tracce del sudore di Ettore nella impugnatura e nei bordi.
[3]
Anche in questo caso ho usato la traduzione mia aggiungendo qualche
verso a questa cara tragedia
[4] F. Guicciardini,
Del reggimento di Firenze, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 229.
Fin dai primordi gli uomini uccidono i figli delle donne ,come i leoni quando diventano maschio dominante uccidono i cuccioli degli sconfitti. Urano ingurgita i propri figli. Questa società uccide i nostri figli con la droga,la realtà virtuale, il gioco d'azzardo legalizzato....forse la società è maschio? Giovanna Tocco
RispondiElimina