NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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sabato 27 settembre 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte XV della presentazione

Presentazione del libro di Remo Bodei

Generazioni
Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

III parte Ereditare e restituire capitolo 3 (pp. 90-96)


 “Tale cultura del dono, della circolarità virtuosa e generosa, che contrasta con il carattere lineare, biunivoco del do ut des, sembra ad alcuni essere oggi diventata-al di fuori della famiglia, nella società-l’antidoto a una economia, come la conosciamo, basata sulla crescita indefinita dei bisogni e dei desideri. Quest’ultima tendenza ha origine in ciò che Tocqueville chiama “il materialismo onesto” che spinge gli americani del suo tempo a imbottirsi di beni, come animali impagliati, per placare la tristezza e la paura della morte. Negli Stati Uniti, sostiene non senza malizia, le persone stanno peggio che in Europa, perché nel Vecchio Continente persino i poveri si contentano maggiormente della propria condizione. I cittadini americani, invece, non solo sono preoccupati di quello che non hanno, ma anche di quello che non possono fare in tempo ad avere. La loro esistenza è una continua corsa contro la morte, per cogliere al volo i godimenti, così da non dover giungere alla fine della vita rammaricandosi di non averne usufruito abbastanza” (p. 91).

Sembra  la filosofia o l’antifilosofia  di Trimalchione il quale dà disposizioni al lapidarius  Abinna per il proprio monumento funebre che deve essere l'immagine della sua vita, un'immagine capovolta rispetto a quella del filosofo. Il suo passaggio sulla terra viene riassunto  da una inscriptio satis idonea, iscrizione abbastanza adatta a personaggio:"C. Pompeius Trimalchio Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale: et tu"( Satyricon,
 71, 12), Paio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi, e non ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu.

“Le nostre  società occidentali hanno in seguito abbondantemente assorbito e sviluppato questo genere di “individualismo”, che è difficile da scalzare” (Generazioni, p. 91).
Subito dopo Bodei chiarisce, citando di nuovo Tocqueville, che tale individualismo non coincide con l’egoismo bensì con “un sentimento ponderato e tranquillo, che spinge ogni singolo cittadino ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e a tenersi in disparte con la sua famiglia e i suoi amici; cosicché, dopo essersi creato una piccola società per proprio conto, abbandona volentieri la grande società a se stessa”[1].
Negli Stati Uniti, continua lo storico francese, l’individualismo si manifesta, in prima istanza, quale perdita del legame dei singoli con il proprio luogo d’origine e con i tempi lunghi della storia ( …) Di norma non sa neppure dove è sepolto il proprio nonno o da che paese provengano i suoi avi” (Generazioni, p. 92)

Gli abitanti degli Stati Uniti, si sente dire, hanno qualche cosa di infantile.
In effetti da loro non si respira la Storia. “Le strade, le piazze dove camminano li uomini, le donne e i bambini europei hanno preso il nome da statisti, generali, poeti, artisti, compositori, scienziati e filosofi…Le Streets e le Avenues in America sono semplicemente numerate; nei casi migliori, come a Washington, hanno anche un orientamento, visto che il numero è seguito da un North o da un West. Le automobili non hanno il tempo per meditare su una Rue Nerval o su un Largo Copernico. La sovranità del ricordo, questa auto-definizione dell’Europa come lieu de la mémoire, come luogo della memoria, ha però un suo lato oscuro. Le targhe affisse su tante case europee non parlano solo dell’eminenza artistica, letteraria, filosofica e politica. Commemorano anche secoli di massacri e di sofferenze, di odio e di sacrifici umani…L’Europa è il luogo in cui il giardino di Goethe confina con Buchenwald, in cui la casa di Corneille s’affaccia sulla piazza del mercato dove Giovanna d’Arco venne orribilmente messa a morte. Da questo censimento marmoreo, sembra che il numero dei morti superi quello dei vivi…L’America del Nord rifiuta proprio questa rete. La sua ideologia è quella dell’alba e del futuro. Quando Henry Ford ha dichiarato: “La storia è una sciocchezza”, lanciava la parola d’ordine dell’amnesia creativa, inneggiando a quel potere di dimenticare che è necessario all’inseguimento pragmatico dell’utopia”[2].

“La trepidazione incessante e l’inquietudine che induce gli Americani a cambiare continuamente residenza, piani di vita e lavoro, trova un provvisorio sollievo nel successo economico, che li rende segretamente invidiati per effetto dell’unica superiorità dagli altri pienamente riconosciuta” (Generazioni, p. 93).
Viene in mente, di nuovo, il Satyricon, quando Trimalchione  racconta le tappe della sua ascesa: il padrone lo fece coerede con Cesare, per evitare che questo annullasse il testamento e si prendesse tutto. Il liberto ereditò comunque un patrimonio favoloso:"Nemini tamen nihil satis est. Concupivi negotiari. ne multis vos morer, quinque naves aedificavi, oneravi vinum-et tunc erat contra aurum-misi Romam " (76, 3), tuttavia nulla mai basta a nessuno. Mi venne la smania di mercanteggiare. Per non trattenervi con molti particolari, feci costruire cinque navi, le caricai di vino, e allora valeva quanto l'oro, le mandai a Roma.

Poi, grazie al  fiuto di questo gigante dell'intrapresa privata, gli affari andarono bene e crebbero a dismisura,  Questa è la grandezza e la gloria dell'arricchito che vanta  i suoi possessi colossali e sempre in crescita :"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.
  
Bodei trova delle analogie con il tempo recente nel quale non ci rapportiamo “a un passato di tradizioni relativamente salde e ben individuate o a un futuro remoto di aspettative già stabilite” (Generazioni. p. 93). Allora può valere anche per noi quanto ha scritto Tocqueville: “In mezzo a questo continuo fluttuare della sorte, il presente prende corpo, ingigantisce: copre il futuro che si annulla e gli uomini non vogliono pensare che al giorno dopo”[3].
Dopo avere fatto questa citazione, Bodei ricorda “lo slancio verso il futuro” di alcuni versi di Hölderlin: “Amo la stirpe dei secoli venturi. Questa è la mia più beata speranza, la fede che mi mantiene forte e attivo (…) Il più sacro scopo dei miei desideri e della mia attività è quello di suscitare nella nostra epoca i germogli che matureranno nel futuro”[4].

Cito, a proposito, alcuni versi di un poeta ungherese del Novecento , Attila József, il quale si suicidò nel 1937, a 32 anni, dopo una vita di stenti e dolori, eppure non perse mai del tutto la speranza nel futuro:
   Uomini dell’avvenire:
 “Essi saranno la mitezza e la forza,
strapperanno la maschera di ferro del sapere,
 perché sul volto si veda l’anima (hogy az arcán meglássák a lelkét)”.

Bodei si chiede come potrà rinascere la fiducia fra le generazioni.
“Come potranno, genitori e figli, sentire l’orgoglio di restituire più di quanto hanno ricevuto?” (Generazioni, p. 94).
Quindi l’autore cita il De monarchia di Dante “che fa valere il principio secondo cui nella vita non bisogna soltanto prendere, ma anche (e soprattutto) rendere. Pensando forse al suo antico maestro Brunetto Latini, autore del Tesoretto (incompiuto) e del Tresor (in provenzale), egli mostra, nella fattispecie, come la cultura non rappresenti un tesoro privato, una proprietà individuale, che accumulo per me e che nessuno mi può togliere.
Chi tesaurizza unicamente per sé senza restituire è paragonato a una voragine, che assorbe quanto ingoia e non restituisce niente” (p. 95).
Sentiamo il latino di Dante in queste parole del Prologus: “Longe namque ab officio se esse non dubitet qui, publicis documentis imbutus, ad rem publicam aliquid adferre non curat: non enim est lignum quod secus decursus aquarum fructificat in tempore suo, sed potius perniciosa virago semper ingurgitans et numquam ingurgitata refundens”.
Bodei trova in queste parole “una probabile allusione al passo di Geremia (17, 8) in cui, parlando dell’”uomo che confida nel Signore”, si dice che è “come un albero piantato ai bordi dell’acqua,/che tende le sue radici verso la corrente:/egli non teme quando arriva la calura,/il suo fogliame resta verde,/nell’anno della siccità è senza preoccupazione/ e non cessa di portare frutto” (p. 96 nota 23)
Dunque “ci sarebbe bisogno di una giustizia redistributiva allargata, che renda a tutti, materialmente o simbolicamente, parte di quanto ciascuno ha di volta in volta ricevuto o preso da altri (persone reali, come genitori, maestri e amici, oppure personaggi storici o immaginari, interiorizzati o presi come modelli attraverso i libri, il teatro o il cinema o i più recenti media)”[5].         
  Ho dedicato un lungo studio a questo libro per la volontà di imparare molto e di comunicare il mio apprendimento a quanti hanno avuto desiderio di leggermi[6]. I semi di conoscenza che ho tratto da Generazioni diventeranno alberi nel giardino del mio sapere. Questi daranno frutti che distribuirò  a quanti mi leggeranno e ascolteranno.
Lascio chiudere il percorso a Remo Bodei, l’autore cui spetta l’ultima parola.

“Certo, pochissimi-Platone, Dante, Leonardo, Einstein o altre icone della storia umana-sono in qualche misura capaci di restituire più di quanto hanno ricevuto. Ognuno, infatti, apporta immensamente meno allo sviluppo della nostra specie rispetto a quanto gli è stato donato dalla lingua, dalla famiglia, dalla cultura, dalle istituzioni, vale a dire dal contributo di tutte le generazioni precedenti. Eppure, per quanto ambizioso possa apparire l’obiettivo della restituzione (poiché, come individui, non riusciremo mai a ripagare il debito che abbiamo contratto), ciascuno di noi lascia il mondo in condizioni diverse da come lo ha trovato e da come, secondo le sue capacità, avrebbe potuto cambiarlo in meglio” (p. 97).

Giovanni Ghiselli

p. s.
presenterò Generazioni di Remo Bodei il  30 ottobre  alle 18, 30 nella biblioteca Scandellara di Bologna.
Ne parlerò anche nel corso che terrò all’Università Primo Levi di Bologna (dal 13 ottobre)




[1] Tocqueville, La démocratie en Amérique, trad. it. cit., vol II, p. 569. Per la storia di questo concetto si vedano: S. Lukes, Individualism, Basil Blackwell, Oxford 1973; A Laurent, Histoire de l’individualoisme, Pressese Universitaires de France, Paris 1993, trad. it. Storia dell’individualismo, il Mulino, Bologna 1994.
[2] G. Steiner, Una certa idea di Europa,   trad. it. Garzanti, Milano, 2006. p. 37.
[3] Tocqueville, La démocratie en Amérique, trad. it. cit., vil Ii, p. 640
[4] Hölderlin an der Bruder, 4 giugno 1793, in F. Hölderlin, Grosse Stuttgarter Ausgabe,  a cura di F. Beissner, 8 voll., J. G. Cotta, Stuttgart 1943-77, vol. VI, Briefe, sa cura di A. Beck.
[5] Sulla funzione dei modelli reali e immaginari nella formazione della personalità si veda Bodei, Immaginare altre vite cit.
[6] Il mio blog è arrivato oggi (27 settembre 2014) a 181067 contatti

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