Gandhi |
Un tovpo"
politico presente nella tragedia e nella storiografia greca e latina è quello
che condanna la tirannide[1]. Esempi molto chiari si trovano in Erodoto e nella
tragedia con i suoi paradigmi mitici.
Aggiungo
una riflessione di Gandhi tratto dal film a lui dedicato dal regista Richard
Attenborough: “When I despair, I
remember that all through history the way of truth and love has always won. There
have been tyrants and murderers and for a time they seem invincible. But in the end they always fall. Think of it,
always” (Gandhi, 1982), quando
dispero, ricordo che attraverso tutta la storia la via (o il metodo, cfr. oJdov~, “via”)
della verità e dell’amore ha sempre vinto. Ci sono stati tiranni e
assassini e per un certo tempo essi sembrano invincibili. Ma alla fine essi
cadono sempre. Pensaci, sempre. E’ una brevissima lezione a una discepola.
Un altro è quello che afferma, o nega, il diritto del più
forte[2].
In Tucidide soprattutto.
Connesso a questo è
il tema dell'imperialismo[3].
Nell’opera di Tacito Mazzarino distingue quello rinunciatario della Germania da quello velleitario degli Annales.
Connessa a questo locus particolarmente provocatorio nei
confronti dell'attualità, c'è la maledizione del potere, di ogni potere. "Il
tema fondamentale di tutto il teatro senecano… è che potere e regno, condizioni
di illusoria felicità soggette a rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con
la frode, con l'Erinni familiare, con il furor mentre l'unica salvezza è
la obscura quies [5],
la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla. L'avversione
al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della tranquillità di ogni
piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix mediae quisquis
turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v. 103). Liceat in
media mihi/latere turba (Thy. 533 sg, ) afferma Tieste prima di
cadere nelle lusinghe del potere e nella trappola tesagli da Atreo"[6].
Seneca tragico è del
tutto malevolo con il potere. Il regnum
è un fallax bonum del quale non c'è da gioire: copre grande quantità di
mali sotto un aspetto seducente: “ Quisquamne regno gaudet? O fallax
bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis”(vv. 7 - 8). Sono parole del
re parricida e incestuoso che dà inizio all'Oedipus descrivendo
l'infuriare della pestilenza. Il regno è un bene scivoloso, un potere
claudicante, in particolare quello di Tebe. Nelle Phoenissae Giocasta
chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al
vincitore non è desiderabile: anzi Eteocle pagherà il fio del successo a caro
prezzo, con il solo fatto di essere re: “poenas, et quidem solvet graves: regnabit
”(v. 645).
Manzoni riprende
il tovpo" nell' Adelchi quando il
protagonista ferito consola il padre sconfitto: “Godi che re non sei; godi che
chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile, /ad innocente opra non v'è: non
resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa
nomarsi/Dritto.. ” (V, 8). E' il diritto del più forte.
Il secondo coro del Thyestes formato da vecchi
micenei contrappone al tiranno crudele e avido un'immagine della regalità
interiore: “rex est qui posuit metus/et diri mala pectoris, /quem non
ambitio impotens/et numquam stabilis favor/vulgi praecipitis movet, /non
quidquid fodit Occidens, /aut unda Tagus aurea/claro devehit alveo” (vv. 348
- 355), è re chi ha deposto le paure e le cattive passioni dell'animo crudele, quello
che l'ambizione sfrenata non tocca e l'instabile favore del volgo precipitoso, né
tutto quello che l'Occidente scava, o il Tago trasporta nel letto lucente con
l'onda ricca d'oro. La regalità interiore non ha paura e non è avida.
Il quotidano “la Repubblica ” del 17
gennaio del 2006 recava il titolo in prima pagina “Solo 11 le donne al potere”;
ebbene una mente non fuorviata dai luoghi comuni attualmente di moda può
pensare che questa rara presenza potrebbe anche fare onore ai miliardi di donne,
e di uomini, che non sono al potere.
Gli anatemi contro i tiranni possono estendersi al biasimo
dell'eterno filisteo, "l'uomo
privo di bisogni spirituali", o a[mouso~ ajnhvr"[7].
In latino c'è il pullus ad margaritam di Fedro, la bestia "potior
cui multo est cibus", o ci sono i porci del Vangelo ai quali non
bisogna gettare le perle " neque mittatis margaritas vestras ante
porcos, ne forte colcuncent eas pedibus suis et conversi dirumpant vos
"[8],
perché non accada che le calpestino con i piedi e rivolti contro di voi non vi
sbranino.
Sallustio il quale
inizia la sua monografia sulla congiura di Catilina affermando che tutti gli
uomini i quali vogliono stare davanti agli altri esseri animati devono
adoperarsi con tutte le forze per non passare la vita nel silenzio: “veluti pecora quae natura prona atque ventri oboedentia finxit ", i
bruti che la natura foggiò chini a terra e al servizio del ventre (De coniuratione Catilinae, 1).
In greco Platone svaluta completamente i piaceri dei sensi
ricercati dagli uomini fronhvsewς
kai; ajreth`ς a[peiroi (Repubblica, 586), inesperti di saggezza e virtù. Questi non hanno
mai guardato in alto, né si sono mai riempiti di ciò che essenzialmente è, non
hanno mai gustato un piacere saldo e puro ajlla;
boskhmavtwn divkhn kavtw ajei; blevponteς kai; kekufovteς[9] eijς gh̃n kai; eijς trapevzaς bovskontai cortazovmenoi kai;
ojceuvonteς, kai; e[neka th̃ς touvtwn pleonexivaς laktivzonteς
kai; kurivttonteς ajllhvlouς sidhroĩς kevrasiv te kai; oJplaĩς ajpokteinuvasi di’ ajplhsivan” (586b), ma come bestiame al
pascolo guardando sempre in giù e piegati verso terra e sulle mense pascolano
riempiendosi e accoppiandosi, e per l’avidità di queste cose, scalciando e
cozzando, con corna e zoccoli di ferro si ammazzano a vicenda per insaziabilità.
Svilupperò
ulteriormente questo argomento nel capitolo 26.
Un altro locus concerne la bellezza che viene spesso
coniugata con la semplicità[10].
Al culto del bello si può collegare il rovesciamento del cupio
dissolvi della sapienza silenica, ossia la giustificazione estetica della
vita umana. Sulla bellezza torneremo più volte, in particolare nei capitoli 59,
59. 1, 59. 2, 59. 3, 59 4., 59 5., 59 6.
Gianni Ghiselli
[1] Per un'ampia
trattazione di questo vedi la mia Antigone (Loffredo, Napoli, 2001) pp. 121
- 127.
[2] Per questo cfr. i miei
Storiografi Greci (Loffredo, Napoli, 1999) pp. 174 - 178.
[3] G. Ghiselli, Storiografi
Greci, pp. 363 - 364.
[4] Cfr. la mia Antigone,
pp. 65, 73, 84. Gli autori più citati sono i tragici greci Seneca e Shakespeare.
[5]
Fedra 1127.
[6]
Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca, "Dioniso"
1981., p. 360.
[7] Queste definizioni si trovano nei Parerga e Paralipomena (1851) di A. Schopenhauer
(1788 - 1860). Il filosofo tedesco afferma che tale individuo non sente alcun
impulso alla conoscenza e non è capace di godimenti estetici; egli si sobbarca
ai presunti piaceri imposti dalla moda e dall'autorità: "di conseguenza le
ostriche e lo champagne sono il punto culminante della sua esistenza, e lo
scopo della sua vita consiste nel procurarsi tutto ciò che contribuisce al suo
benessere materiale" (pp. 462 - 465 del primo tomo.
[8]
Matteo, 7, 6. Questo accostamento me lo ha suggerito il collega Giovanni Polara.
Gli uomini avidi al potere sono sempre attuali...pregusto la conferenza di lunedì ....un bacio Giovanna Tocco
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