Le lezioni all’aperto. La censura del preside. I presidi non devono avere potere di vita e di morte
scolastica sui docenti
Alla fine gli ignoranti e gli imbecilli, i tirannelli
timorati e quelli del tutto malvagi non hanno prevalso, non su di me. Quando
ero giovane però, con certi presidi e colleghi anziani, per me, un uomo diverso
dalla plebe dei benpensanti incolti, ostili allo spirito, è stata dura.
E’ criminale la
volontà, presente e viva in troppi dirigenti ignoranti, di spegnere
l’entusiasmo educativo dei giovani insegnanti non asserviti alla volgarità del
luogo comune che identifica la cultura con i tecnicismi delle lingue, con l’apprendimento
mnemonico dei manuali e con le risposte ai quiz preparati da altri ignoranti.
In quel primo tempo del mio lavoro di educatore, gli ultimi
mesi dell’anno di mia salvazione 1969, qualche volta di notte, spengendo la
“fioca lucerna”[1] situata sul comodino
accanto al letto, pensavo, o addirittura dicevo: “domani mi uccido”, ricordando
una scena del film Fuoco fatuo di
Louis Malle, non senza ironia, eppure una volta che mi ero disteso sul “conscio
letto”[2], dovevo
aggiungere un incoraggiamento a me stesso per non vegliare troppo a lungo in
assidui terrori[3]: “O tu, che hai subito
dolori più gravi, darà un dio anche a questi una fine. Resisti e salvati per
gli eventi propizi”.
Dopo Malle e Drieu La Rochelle, ricordavo, come si vede, Leopardi,
Virgilio[4] e
Omero[5] studiati
per gli esami universitari pensando non solo al voto ma anche al fatto che mi
avrebbero aiutato nelle difficoltà della vita quali maestri, amici e parenti.
Conforto e aiuto ricavavo anche dalla bellezza della natura
e dall’ordine dell’universo. Se l’inverno incombeva o pure infuriava, la
primavera non era lontana. Sopra la nebbia c’erano pur sempre le stelle. E sulla
terra vivevano donne belle, fini, profumate che mi spettavano e mi aspettavano.
Gli ignoranti osceni, i perfetti imbecilli, i sordidi profittatori non
l’avrebbero avuta vinta.
Il primo giorno di scuola andai dunque a eseguire l’ordine assurdo
del preside rifacendo il telegramma spedito da Pesaro due giorni prima. Aggiunsi
però che avevo già preso servizio a Carmignano “sul” Brenta. L’impiegata mi
corresse: “Guardi che qui siamo a Carmignano “di” Brenta; “sul” Brenta è
Piazzola”.
Sbagliavo anche il nome del paese. Segno che dovevo
andarmene, tornare a Bologna al più presto. La mia vita era là. Su questo ero
d’accordo con il preside quella mattina lontana.
Colui fece alcune
visite in classe dove entrava senza bussare né togliersi il cappello, dopo di
che ammise, bontà sua, che studiavo e mi preparavo, ma non smise di dire che
non mi confacevo alla “sua” scuola: con la mia impostazione dovevo insegnare
alle superiori. Non capiva che i grandi autori spiegati con chiarezza da chi li
conosce, educano e insegnano più di quelli men che mediocri o addirittura
insignificanti raccomandati da lui.
Io non gli diedi retta e alla fine dell’anno ricevetti la
qualifica punitiva di “Valente” invece dell’ovvio “Ottimo” preso da tutti gli
altri.
Feci ricorso e volli vedere la motivazione della sentenza
del tutto infondata e arbitraria. Il pover’ uomo aveva scritto: “assume
atteggiamenti che non si confanno alla dignità della scuola”.
Questo perché nei pomeriggi di maggio, il maggio assai bello
e odoroso del 1970, portavo la mia terza a fare gite ciclistiche a Marostica e
là, nel prato verde smeraldo del castello alto, ripetevamo gli autori studiati
per l’esame di giugno. Ovviamente gratis e per amore: dello studio, dei
ragazzini, della bicicletta e di me stesso. Talora si aggregavano altre terze e
facevamo un bel gruppo di persone contente.
Si ripassava per
l’esame, ma non solo. Cantavamo anche: Bella
ciao o La guerra di Piero di
Fabizio de Andrè o Come un sasso che
l’acqua tira giù. Veniva con noi anche un bravo collega di matematica, una
cara persona; Peppino Graziani. Un paio di anni fa quei ragazzini diventati
oramai sessantenni ci invitarono a cena a Carmignano di Brenta e dissero: Ghiselli
e Graziani, peppino e gianni, siete la nostra storia”.
“La mia storia di educatore-replicai-non poteva avere un
inizio migliore che qui, con voi. Se non vi avessi incontrato all’inizio della
mia missione probabilmente sarei diventato meno bravo e meno buono”.
Una mattina del giugno 1970 il preside mi chiamò nel suo
ufficio cupo che peraltro in quei giorni, i più belli dell’anno, si rallegrava
di luce, ma lui, con gravità e compunzione tetre disse: “Professore, il paese
mormora contro di lei e anche contro di me che non intervengo”.
“Che cosa dice?” gli feci assumendo un’aria stupita, ma
sapevo bene a cosa alludeva conoscendone ormai i pensieri e i sentimenti
meschini.
“Mormora, mormora. Voci. Una parola qua, una parola “à”[6]. Lei,
Graziani, due professori giovani, le vostre gite a “Marostega” in bicicletta
con tante “tosette”. Professore, noi non siamo ciechi, non siamo sordi, non
siamo muti, e soprattutto non siamo stupidi. Lei ha oltrepassato i limiti. Ci
saranno conseguenze, Noi abbiamo capito le sue intenzioni nascoste e la sua
politica eversiva. Immagino che abbia votato Psiup”.
“Il voto sarebbe segreto, comunque è vero, ho votato Psiup”.
“Carmignano non è la Russia che forse le piace, non è nemmeno la rossa
Bologna che le piace senz’altro, Faccia un piacere a me e a se stesso, ci
torni! Qui noi siamo religiosi e abbiamo una salda coscienza morale. Comunque
lasci perdere quelle ambigue passeggiate ciclistiche con le ragazze”.
“Ma che ambigue-risposi- e quali ragazze? Io con il collega
e amico Graziani, approfittando della stagione particolarmente buona di quest’anno,
facciamo lezione all’aperto, in campagna agli allievi della scuola media Ugo
Foscolo dove insegniamo. Io pratico e amo la bicicletta dalla mia prima
elementare. Che cosa diavolo vogliono i furfanti bigotti di questo paese?”
Poi, per spiazzarlo del tutto, citai il Nuovo Testamento in
greco: “h] oJ ojfqalmo" sou ponhrov" ejsti o{ti ejgw; ajgaqov"
eijmi;;;”[7].
Così in greco gli diedi del tu.
Colui non capì e bofonchiò: “Cossa vu to” rendendomi il tu
non solo spregiativo ma anche cameratesco. In fondo non ci volevamo male del
tutto. Lo affermo ora dopo l’esperienza di presidi intenzionati molto peggio di
questo.
Quindi il pur non pessimo[8]
Zanini aggiunse: “Professore lei da me è perseguibile 24 ore su 24, a ogni ora
e in ogni luogo”,
“Et persequemini de
civitate in civitatem”[9], chiosai.
Quindi spiegai: “Cristo si rivolge agli scribi e ai farisei ipocriti simili ai
sepolcri imbiancati. Costoro perseguiteranno i profeti e i sapienti mandati dal
Signore stesso”
“Cossa vu to. La smetta di andare a Marostega con le femmine,
oppure le mando una censura scritta, una nota di biasimo che le rovinerà la
carriera scolastica”
“Dat veniam corvis, vexat censura columbas”[10],
risposi
“Cossa vu to”.
giovanni ghiselli
continua
p. s.
Renzi vorrebbe dare a certi dirigenti, e questo, ripeto, non
era dei peggiori, potere di vita e di morte scolastica sui docenti. A
Carmignano e spesso pure a Bologna i professori considerati migliori dai
presidi erano quelli più simili a loro, ossia più docili agli ordini delle
famiglie abbienti e potenti.
p. p. s.
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giugno
[1] Leopardi, Le Ricordanze, 115.
[2] Leopardi, Le Ricordanze, 114. Il Recanatese ha
ricavato questa callida iunctura da
Apuleio, Metamorfosi, I, 16: gratabule
(…) conscius et arbiter quae nocte gesta sunt.
[3] Cfr. Leopardi, Le Ricordanze, 54.
[4] Cfr. Eneide, I, 199 (O passi
graviora, dabit deus his quoque finem) e 207 (Durate et vosmet rebus
servate secundis).
[5] Odissea, XX, 17 tevtlaqi dhv, kradivh:
kai; kuvnteron a[llo pot j e[tlh~, sopporta, cuore, hai già sopportato
altri cani peggiori. E di ben peggiori ne avrei sopportato più avanti, a
Bologna
[6] Dialettale per “là”, come
poi “Marostega” per “Marostica”.
[7] N. T., Matteo, 20, 15, forse il tuo occhio è cattivo perché io sono
buono?
[8] Un altro, tal Magnani, qui
a Bologna chiamò in tre anni contro di me due ispettori che lo sbugiardarono in
malo modo. Se è vivo costui merita la galera, se è morto la damnatio memoriae.
[9] N. T. Matteo, 23, 34, e perseguiterete di città in città.
[10] Giovenale, II, 63, la
censura lascia impuniti i corvi e tormenta le colombe.
Con la "buona scuola" chi non si conforma alle aspettative metodologiche dei collegi può fare le valigie e tornare a casa....come nella scuola privata,chi non si conforma alle richieste dei genitori e della dirigenza è fuori. Giovanna Tocco
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