NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 5 giugno 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte VIII


Un tovpo" può avere due o più aspetti. La mutatio locorum. La religione. L’economia. L’ossimoro “guerra santa”. Euripide (Ifigenia in Aulide). La guerra fatta di propaganda: Alessandro Magno e Dario III in Curzio Rufo. Il console Claudio Nerone prima del Metauro.
La propaganda contro la guerra: Omero, Eschilo, Visconti (film Senso), E. Fromm (Anatomia della distruttività umana), Sofocle, Empedocle, Aristofane (Acarnesi e Pace), Euripide (Troiane, Elena, Oreste), Christa Wolf, Virgilio, Orazio, Tibullo, Curzio Rufo. L’età dell’oro: Esiodo, Virgilio (Eneide e Georgica I con il veternus) Ovidio (Metamorfosi, Ars amatoria e Medicamina faciei ) Lucrezio, Orazio (Epodi VII e XVI e Carmen saeculare) Leopardi: Storia del genere umano.

Un topos può essere interpretato in modi diversi, magari dal medesimo autore: abbiamo già accennato ai due diversi imperialismi di Tacito; un esempio più netto è quello della mutatio locorum che secondo Orazio[1] e Seneca[2] è inutile, mentre per Ovidio[3] e per Properzio[4] è uno dei Remedia amoris.
Un tovpo" ambivalente riguarda la religione che può essere interpretata come strumento di regno (Crizia, Polibio, Curzio Rufo, Machiavelli)[5], ovvero come causa di crimini (Lucrezio), oppure come salvezza dell’umanità (Sofocle).
Con una bella sintesi T. Mann definisce la religione: " il senso e il gusto dell'infinito"[6].
L’economia, da alcuni autori e personaggi della letteratura, è considerata l’antitesi della religione, o perfino dell’umanesimo inteso come amore per l’uomo : " E poi viviamo in un’epoca economica: l’economia è il carattere storico del nostro tempo… Nell’economia si vede sempre più la mancanza dell'infinito"[7].
“Voi Italiani avete inventato i cambi e le banche, che Dio ve la perdoni, ma gli Inglesi inventarono la dottrina economica, cosa che il genio dell’uomo non potrà mai perdonare…I Padri della Chiesa hanno condannato le parole “mio” e “tuo”, hanno dichiarato usurpazione e ladrocinio la proprietà privata…Essi erano sufficientemente umani, sufficientemente antiaffaristici da chiamare l’attività economica un pericolo per la salvezza dell’anima. Odiarono il denaro e il traffico del denaro, chiamando la ricchezza capitalista tizzone d’inferno…essi chiamarono usura ogni speculazione e dichiararono ogni ricco: ladro o erede di un ladro. Oh, arrivarono molto in là. Come Tommaso d’Aquino, videro nel commercio in generale, nel puro traffico commerciale, nel comprare e vendere, insomma nel trarre vantaggio da una circostanza che non implica la lavorazione e il miglioramento del patrimonio trafficato, un atto riprovevole”[8].
“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[9].
Leopardi in Il pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59 - 64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi : " anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61 - 67).

La guerra, viene generalmente maledetta, ma non manca l’ossimoro “guerra santa”: Alessandro Magno per stimolare i suoi soldati stanchi dopo la conquista della Partia e l’uccisione di Dario III da parte del fellone Besso (330 a. C.), arringa la truppa sostenendo che i Persiani saranno più obbedienti al nuovo re, lo stesso Alessandro, se il satrapo della Battriana, l’infame traditore del suo re, verrà inseguito e punito: essi capiranno : “vos pia bella suscipere[10] che voi vi sobbarcate una guerra santa. Quindi i soldati entusiasti, lo invitarono a condurli dove voleva[11].
Santa è anche la guerra che Agamennone deve condurre contro Troia, secondo la figlia primogenita che pure deve dare la vita per la partenza dell’armata. parei'ce crhvmata Peloponnhsivoi" ej" to; nautikovn La guerra, allora come ora, era fatta pure di propaganda e i duci ne erano consapevoli. Alessandro Magno, dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi”[12] affermò che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā[13] enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità[14].
 Dopo la conquista della rupe di Aorno (326 a. C.) Alessandro magnae victoriae speciem fecit[15], creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli dèi.
Nelle Storie di Livio, il console Claudio Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a. C.) arringa brevemente i soldati dicendo: “Famam bella conficere, et parva momenta in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le guerre e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla paura.

La propaganda contro la guerra.
Nella letteratura antica non mancano le maledizioni della guerra
Ne voglio riferire alcune perché i rischi che corriamo adesso rendono non solo attuali ma anche necessarie queste deprecazioni.
Già nell'Iliade Zeus dice ad Ares: "e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi} [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
 Nel primo Stasimo dei Sette a Tebe di Eschilo il Coro di ragazze tebane dissacra il dio della guerra: Ares è un domatore di popoli che infuriando soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma" - miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343 - 344).
Nell'Agamennone[16] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459 - 454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[17].
In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore austriaco amante della contessa adultera, del film Senso di Visconti pone questa domanda retorica: "Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".
“Al soldato si era tradizionalmente cercato di inculcare il concetto che ubbidire ai suoi capi fosse un obbligo religioso e morale, che egli doveva adempiere a costo della vita…Ma vi sono altre motivazioni emozionali, più sottili, che rendono possibile la guerra”[18]. Vediamole in inglese, perché lo studio e la conoscenza delle lingue classiche non deve accompagnarsi all’ignoranza di tutte le moderne: “War is exciting, even if it entails risks for one’s life and much physical sofference. Considering that the life of the average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine of daily life - and to throw oneself into an adventure, the only adventure, in fact, the average person may expect to have in his life[19], la guerra è eccitante, perfino se implica rischi per la propria vita e grandi sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è noiosa, fatta di routine, e carente di avventure, la disposizione a partire per la guerra deve essere intesa come il desiderio di porre fine alla noiosa routine della vita quotidiana e di gettarsi in un’avventura, l’unica avventura, di fatto, che la persona media può aspettarsi nella vita.
 Il coro (di marinai di Salamina) dell’Aiace di Sofocle condanna la guerra e chi ha mostrato ai Greci la presenza universale di Ares dalle armi odiose : prima sarebbe dovuto sprofondare nel grande etere o nell’Ade (vv. 1192 - 1195). E’ un rifiuto indiretto di Omero educatore, almeno quale lo vede Eschilo personaggio delle Rane di Aristofane: il divino poeta, afferma il tragediografo, insegnò cose utili: schieramenti di eserciti, valore guerresco e armamenti di eroi. (v. 1035) .

Quindi Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è dissacrato poichè la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica, delle consuetudini cavalleresche, e senza riguardo per l'umanità: Tucidide nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli Ateniesi ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini.
Empedocle[20] nel Poema lustrale narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia: "oujdev ti" h\n keivnoisin [Are" qeo;" oujde; Kudoimov"", fr. 119, . Inoltre non si bagnava l'altare con il sangue dei tori, ma si offriva mirra, incenso e miele, poiché per gli uomini era massima contaminazione (muvso~mevgiston, v. 9) divorare le membra staccandone l'anima (vv. 9 - 10)
Il protagonista degli Acarnesi[21] di Aristofane, fieramente avverso alla guerra, promette: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986 - 987).
 Il pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché gli opliti spartani nella fase archidamica della guerra (431 - 421) ogni anno distruggevano i raccolti dell’Attica.
 Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito, un paraninfo che offre a Diceopoli le carni del banchetto di nozze per avere una coppa di pace: " i[na mh; stratevouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (Acarnesi, v. 1052), al fine di non andare in guerra ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, per lo sposo - non sposo non si commuove, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di soffrire per la guerra (v. 1062). Nella seconda commedia pacifista di Aristofane (Pace del 421) la Festa per la pace (Qewriva) odora di frutta, di conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[22] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano" , v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni[23].
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, il vecchio contadino ateniese che brama Irene e vuole liberarla : essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345).
Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448). Alla fine questi riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace portava ai contadini la zuppa d'orzo verde e significava la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi [24]: Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. Alla pace ritrovata conseguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate di cibo e orge sessuali: Teoria ha un culo da festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto: "tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi Trigeo cita due esametri omerici[25]: "è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097 - 1098).
Ogni guerra degli uomini contro gli uomini è una guerra civile.
Nella II Parabasi il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[26] Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Di questo gode il contadino invece di essere arruolato ancor prima dei cittadini, e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero, che lui vende, può servire al massimo per pulire la tavola, e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce ( th'~ d’ hJdu; to; su'kon, v.1352).

Anche Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane : "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", - naou;" te tuvmbou" q j, iJera; tw'n kekmhkovtwn, - ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95 - 97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena (vv. 37 - 40) e nell'Oreste (vv. 1640 - 1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.
Tale giudizio contro la guerra si trova anche Zeu;~ d j wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n, - ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy j ej~ [Ilion ei[dwlon[27]

 Ora passiamo in rassegna alcuni autori latini.
 Virgilio nella prima Georgica (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro. Orazio ricorda che le guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque matribus - detestata” (carm. 1. 1. 24 - 25), quindi qualifica il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e cruentus (carm. 2. 14. 13).
 attribuisce la colpa della guerra alla brama dell'oro: " Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?[28]/Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1 - 8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[29] fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?
 Questa è colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande. Non era ancora l'età del business .

Curzio Rufo nota che durante la campagna di Alessandro Magno in India succedeva che gli assediati dessero fuoco alla loro città e gli assedianti cercassero di spegnere il fuoco: “adeo etiam naturae iura bellum in contrarium mutat” (Historiae Alexandri Magni, 9, 4, 7), a tal punto la guerra stravolge perfino le leggi di natura.
Questi e altri del genere sono biasimi e moniti che dobbiamo continuare a rivolgere ai promotori di guerre se non vogliamo essere loro complici.
 Un tovpo" mitico - storico che assume più di un aspetto è quello dell'età dell'oro[30] Esiodo, Virgilio nell'Eneide, e Ovidio nelle Metamorfosi[31] la collocano in tempi antichi, mentre lo stesso Ovidio nell' Ars amatoria e nei Medicamina faciei la situa nella contemporaneità.
 (III, 121 - 122), 127 - 128) Nel De rerum natura di Lucrezio[32] l'età dell'oro non esiste.
Dionigi sostiene che Lucrezio "sembra preferire" la vita dell'uomo primitivo "a quella dell'uomo civilizzato, minacciato da guerre, sazietà, inganni (V, vv. 999 - 1010)"[33], mentre secondo Bettini l'intento di Lucrezio è stato quello di indicare "nel lavoro un valore positivo e laico, l'unico mezzo attraverso il quale, faticosamente, l'uomo poteva elevarsi al di sopra di una condizione primitiva semiferina"[34].
Nell'Epodo XVI[35] di Orazio[36] il luogo aureo è un altrove: isole fertili in mezzo all'Oceano e campagne felici lontane da Roma la quale si consuma nelle guerre civili e crolla per le sue stesse forze.
Nell’Epodo VII il poeta ricorda il crimine dell’uccisione fraterna (scelusque fraternae necis, v. 18) per cui scorse in terra il sangue di Remo sacer nepotibus cruor (v. 2), maledetto per i nipoti.
Lo stesso Orazio nel Carmen saeculare[37] invece preannuncia il ritorno dell'età dell'oro a Roma, come aveva fatto Virgilio nella IV ecloga[38].
Del resto nell'età primitiva un gravis veternus paralizzava l'attività umana: Virgilio nella Georgica[39] I dà questa spiegazione della genesi dell'età moderna: Giove procurò agli uomini fatiche e angosce (curae ) in quanto non lasciò che il suo regno restasse paralizzato in un pesante letargo"nec torpere gravi passus sua regna veterno " (v. 124). Infine il lavoro ostinato vinse tutte le difficoltà: “Labor omnia vicit - improbus” (vv. 145 - 146). Il compito di Virgilio nelle Georgiche in effetti è quello di celebrare il lavoro del bonus agricola.[40]
" Centrale è il concetto di veternus , una specie di pigra indolenza, un torpore che affliggeva l'umanità nell'età dell'oro, e che avrebbe indotto Giove a introdurre il lavoro nel mondo, per stimolare l'ingegno umano e rendere gli uomini attivi, vigile e intraprendenti"[41] .
Leopardi nella Storia del genere umano[42] afferma che Giove in una fase della storia del mondo, quella successiva al diluvio universale, con il quale “fu punita la protervia dei mortali”, impose gravi oneri alla nostre specie, la quale bramava "sempre e in qualunque stato l'impossibile", paradossalmente, perché non si estinguesse: "deliberò valersi di nuove arti a conservare questo misero genere: le quali furono principalmente due. L'una mescere la loro vita di mali veri; l'altra implicarla in mille negozi e fatiche, ad effetto d'intrattenere gli uomini, e divertirli quanto più si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col desiderio di quella loro incognita e vana felicità".
Questo argomento insomma si presta quale a essere presentato come percorso problematico e variamente rimodulabile.

Gianni Ghiselli




[1] Epistulae, 1, 11, 27 - 28.
[2] Ep., 69, 1.
[3] Remedia amoris, 224 - 225.
[4] Elegie, III, 21, 9 - 10.
[5] Per questo argomento cfr. il mio Mu'qo" kai; lovgo" Loffredo, Napoli, 200, pp.543 - 547.
[6] Doctor Faustus, (1947) p. 119.
[7] T. Mann, Doctor Faustus, p. 163 e p. 164.
[8] T. Mann, La montagna incantata, II, p. 41 e p. 67. E’ Naphta che parla.
[9] Nietzsche, Aurora, p. 130.
[10] Curzio Rufo,
[11] Curzio Rufo , op. cit. Vi, 4.
[12] Avvenuta in Sogdiana, l’attuale Uzbekistan, nella primavera 327 a. C
[13] Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e mangia ma pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca: "nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".
[14] Cfr. Historiae Alexandri Magni, 3, 8, 7 dove pure Dario, prima della battaglia di Isso (novembre 333), dice “famā bella stare”. Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in conflitto hanno un pensiero comune.
[15] Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 8, 11, 24.
[16] Del 458 a. C.
[17] Storia dei Greci , II vol., p.91
[18] E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, p. 269.
[19] The Anatomy of human destructiveness, pp. 241 - 242.
[20] Fiorito intorno alla metà del V secolo.
[21] Del 425 a. C.
[22] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[23] A chi potremmo paragonare questi due guerrafondai?
[24] Dove Diceopoli racconta che dei giovanotti ateniesi avvinazzati rapirono una prostituta megarese, e i Megaresi per rappresaglia ne sottrassero due ad Aspasia: di qui si scatenò per tutti il principio della guerra: per tre puttane (Acarnesi, vv. 524 - 529).
[25] Da Iliade 9, 63 - 64.
[26] Questa, hJliomanhv~ (Uccelli, 1096), va pazza per il sole, e non dà segni ambigui come la rondine.
[27]C. Wolf, Cassandra , p. 85.
[28] S. Benni utilizza questo verso cambiando una parola per farne la didascalia di un quadro: “enorme e rotondo, con un’aquila che teneva fra gli artigli un piccolo animale e una scritta…QUIS FUIT OPTIMUS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES?” (Margherita dolcevita, p. 125). Il quadro si trova in una casa di razzisti guerrafondai.
[29] Cfr. Erodoto ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai
[30] Cfr. G. Ghiselli, Enea e Didone, pp. 110 sgg.
[31] Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il tema della metamorfosi. Fu composto fra l'1 e l'8 d. C
[32] 99? a. C. - 55? a. C.
[33]Ivano Dionigi (a cura di) Lucrezio, La natura delle cose, , p. 493.
[34]M. Bettini, La letteratura latina 2 , p. 453.
[35] Del 38 a. C.
[36] 65 a. C. - 8 a. C.
[37] Del 17 a. C.
[38] Del 40 a. C.
[39] Le quattro Georgiche costituiscono un poema didascalico sull'agricoltura. Furono composte tra il 37 e il 30 a. C.
[40] “Il protagonista delle Georgiche - il paziente, tenace agricola capace di coronare la sua fatica con il successo - è anche un carattere non privo di ombre, e richiede, anche lui, della vittime” . Tradotto dall’inglese di Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press., n. 30, p. 205. Tale è Aristeo, e non farà meno vittime il “pio”Enea.
[41]M. Bettini, La letteratura latina, 2, p. 453.
[42] Del 1824.

1 commento:

  1. Quanti ossimori...la guerra santa, la buona scuola . Da sempre i tiranni hanno farcito i loro progetti più infami di belle parole cercando di aizzare le truppe (o gli insegnanti), speriamo che l'arte oratoria tradisca i nostri politici . La guerra e la brutta educazione portano a risultati simili , la vittoria dell'ingiustizia e l'aumento del divario tra poveri e ricchi. Anche la buona scuola favorirà l'economia che i consumatori saranno sempre più bovini....e anche le guerre che diminuirà la capacità di pensiero autonomo. Giovanna Tocco

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