Un tovpo"
può avere due o più aspetti. La mutatio
locorum. La religione. L’economia. L’ossimoro “guerra santa”. Euripide (Ifigenia in Aulide). La guerra fatta di
propaganda: Alessandro Magno e Dario III in Curzio Rufo. Il console Claudio
Nerone prima del Metauro.
La propaganda contro la guerra: Omero, Eschilo, Visconti
(film Senso), E. Fromm (Anatomia della distruttività umana),
Sofocle, Empedocle, Aristofane (Acarnesi
e Pace), Euripide (Troiane, Elena, Oreste), Christa Wolf,
Virgilio, Orazio, Tibullo, Curzio Rufo. L’età dell’oro: Esiodo,
Virgilio (Eneide e Georgica I con il veternus) Ovidio (Metamorfosi,
Ars amatoria e Medicamina faciei ) Lucrezio, Orazio (Epodi VII e XVI e Carmen
saeculare) Leopardi: Storia del
genere umano.
Un topos può essere interpretato in modi diversi, magari dal
medesimo autore: abbiamo già accennato ai due diversi imperialismi di Tacito;
un esempio più netto è quello della mutatio locorum che secondo Orazio[1]
e Seneca[2]
è inutile, mentre per Ovidio[3]
e per Properzio[4]
è uno dei Remedia amoris.
Un tovpo" ambivalente
riguarda la religione che può essere interpretata come strumento di regno
(Crizia, Polibio, Curzio Rufo, Machiavelli)[5],
ovvero come causa di crimini (Lucrezio), oppure come salvezza dell’umanità
(Sofocle).
Con una bella sintesi T. Mann definisce la religione: "
il senso e il gusto dell'infinito"[6].
L’economia, da alcuni autori e personaggi della letteratura,
è considerata l’antitesi della religione, o perfino dell’umanesimo inteso come
amore per l’uomo : " E poi viviamo in un’epoca economica: l’economia è il
carattere storico del nostro tempo… Nell’economia si vede sempre più la
mancanza dell'infinito"[7].
“Voi Italiani avete inventato i cambi e le banche, che Dio
ve la perdoni, ma gli Inglesi inventarono la dottrina economica, cosa che il
genio dell’uomo non potrà mai perdonare…I Padri della Chiesa hanno condannato
le parole “mio” e “tuo”, hanno dichiarato usurpazione e ladrocinio la proprietà
privata…Essi erano sufficientemente umani, sufficientemente antiaffaristici da
chiamare l’attività economica un pericolo per la salvezza dell’anima. Odiarono
il denaro e il traffico del denaro, chiamando la ricchezza capitalista tizzone
d’inferno…essi chiamarono usura ogni speculazione e dichiararono ogni ricco: ladro
o erede di un ladro. Oh, arrivarono molto in là. Come Tommaso d’Aquino, videro
nel commercio in generale, nel puro traffico commerciale, nel comprare e
vendere, insomma nel trarre vantaggio da una circostanza che non implica la
lavorazione e il miglioramento del patrimonio trafficato, un atto riprovevole”[8].
“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un
dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[9].
Leopardi in Il
pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua età
"superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù
nemica;/stolta, che l'util chiede,/e
inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59 - 64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il
poeta di Recanati nella Palinodia al
Marchese Gino Capponi : " anzi coverte/fien di stragi l'Europa e
l'altra riva/dell'atlantico mar...sempre che spinga/contrarie in campo le
fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di
melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61 - 67).
La guerra, viene generalmente maledetta, ma non manca
l’ossimoro “guerra santa”: Alessandro Magno per stimolare i suoi soldati
stanchi dopo la conquista della Partia e l’uccisione di Dario III da parte del
fellone Besso (330 a .
C.), arringa la truppa sostenendo che i Persiani saranno più obbedienti al
nuovo re, lo stesso Alessandro, se il satrapo della Battriana, l’infame
traditore del suo re, verrà inseguito e punito: essi capiranno : “vos pia bella suscipere”[10]
che voi vi sobbarcate una guerra santa. Quindi i soldati entusiasti, lo
invitarono a condurli dove voleva[11].
Santa è anche la guerra
che Agamennone deve condurre contro Troia, secondo la figlia primogenita che
pure deve dare la vita per la partenza dell’armata. parei'ce crhvmata
Peloponnhsivoi" ej" to; nautikovn La guerra,
allora come ora, era fatta pure di propaganda e i duci ne erano consapevoli.
Alessandro Magno, dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi”[12]
affermò che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā[13]
enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem
obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae
Alexandri Magni, 8, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere
(attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha
fatto le veci della verità[14].
Dopo la conquista della rupe di Aorno (326 a . C.) Alessandro magnae victoriae speciem fecit[15],
creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore
degli dèi.
Nelle Storie di Livio, il console Claudio
Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul
fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a . C.) arringa brevemente i soldati dicendo:
“Famam bella conficere, et parva momenta
in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le
guerre e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla
paura.
La propaganda contro la
guerra.
Nella letteratura
antica non mancano le maledizioni della guerra
Ne voglio riferire alcune perché i rischi che corriamo
adesso rendono non solo attuali ma anche necessarie queste deprecazioni.
Già nell'Iliade
Zeus dice ad Ares: "e[cqisto" dev
moiv ejssi qew'n oi} [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più
odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
Nel primo Stasimo dei
Sette a Tebe di Eschilo il Coro di ragazze tebane dissacra il dio della guerra: Ares è un domatore di popoli che infuriando
soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno"
d j ejpipnei' laodavma" - miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343 - 344).
Nell'Agamennone[16] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn"
(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e
arricchisce gli speculatori. Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa
tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre
ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per
combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù
Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella
campagna d'Egitto (anni 459 - 454) in cui fu impegnato il fiore delle forze
ateniesi"[17].
In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore austriaco
amante della contessa adultera, del film Senso di Visconti pone questa domanda retorica:
"Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a
pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".
“Al soldato si era tradizionalmente cercato di inculcare il
concetto che ubbidire ai suoi capi fosse un obbligo religioso e morale, che
egli doveva adempiere a costo della vita…Ma vi sono altre motivazioni
emozionali, più sottili, che rendono possibile la guerra”[18].
Vediamole in inglese, perché lo studio e la conoscenza delle lingue classiche
non deve accompagnarsi all’ignoranza di tutte le moderne: “War is exciting, even if it entails risks for one’s life and much
physical sofference. Considering that the life of the
average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness
to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine
of daily life - and to throw oneself into an adventure, the only adventure, in
fact, the average person may expect to have in his life ”[19],
la guerra è eccitante, perfino se implica rischi per la propria vita e grandi
sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è
noiosa, fatta di routine, e carente di avventure, la disposizione a partire per
la guerra deve essere intesa come il desiderio di porre fine alla noiosa
routine della vita quotidiana e di gettarsi in un’avventura, l’unica avventura,
di fatto, che la persona media può aspettarsi nella vita.
Il coro (di marinai di Salamina) dell’Aiace
di Sofocle condanna la guerra e chi ha mostrato ai Greci la presenza universale
di Ares dalle armi odiose : prima sarebbe dovuto sprofondare nel grande etere o
nell’Ade (vv. 1192 - 1195). E’ un rifiuto indiretto di Omero educatore, almeno
quale lo vede Eschilo personaggio delle Rane
di Aristofane: il divino poeta, afferma il tragediografo, insegnò cose utili: schieramenti
di eserciti, valore guerresco e armamenti di eroi. (v. 1035) .
Quindi Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come
"il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon
ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è dissacrato poichè la guerra del
Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario
Cleone senza rispetto dell'etica eroica, delle consuetudini cavalleresche, e
senza riguardo per l'umanità: Tucidide nel dialogo senza didascalie del V
libro fa dire dagli Ateniesi ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi
rovine agli uomini.
Empedocle[20]
nel Poema lustrale narra che gli
uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della
battaglia: "oujdev ti" h\n keivnoisin [Are" qeo;" oujde;
Kudoimov"", fr. 119, . Inoltre non si bagnava l'altare
con il sangue dei tori, ma si offriva mirra, incenso e miele, poiché per gli
uomini era massima contaminazione (muvso~…mevgiston, v. 9) divorare le membra staccandone l'anima (vv. 9 - 10)
Il protagonista degli Acarnesi[21]
di Aristofane, fieramente avverso alla guerra, promette: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione del
conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino"
aJnhvr, v. 981) il quale "ha
operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur
invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a
forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986 - 987).
Il pacifista
Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché gli opliti spartani
nella fase archidamica della guerra (431 - 421) ogni anno distruggevano i
raccolti dell’Attica.
Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa,
all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e
delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito, un paraninfo
che offre a Diceopoli le carni del banchetto di nozze per avere una coppa di
pace: " i[na mh; stratevouit j ajlla;
kinoivh mevnwn" (Acarnesi,
v. 1052), al fine di non andare in guerra ma rimanere in casa a fare l'amore.
Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, per lo sposo - non
sposo non si commuove, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di
soffrire per la guerra (v. 1062). Nella seconda commedia pacifista di
Aristofane (Pace del 421) la
Festa per la pace (Qewriva)
odora di frutta, di conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn,
v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[22]
si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno
abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però
il pestello (aJletrivbano" , v.
269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ
bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, Cleone, è morto.
Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni[23].
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, il
vecchio contadino ateniese che brama Irene e vuole liberarla : essa consente di
navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste,
banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345).
Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di
scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448). Alla fine questi riceveranno le
pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando
alla memoria l'antica vita che la
Pace largiva: i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il
dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La
pace portava ai contadini la zuppa d'orzo verde e significava la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le
vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete
accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di
quella presentata negli Acarnesi [24]:
Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa
sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci
lacrimavano. Alla pace ritrovata conseguono progetti e preparativi di feste a
base di scorpacciate di cibo e orge sessuali: Teoria ha un culo da festa
quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è
impastata e tutto il resto è pronto: "tou'
pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi
Trigeo cita due esametri omerici[25]:
"è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra
civile agghiacciante (vv. 1097 - 1098).
Ogni guerra degli uomini contro gli uomini è una guerra
civile.
Nella II Parabasi il Coro di contadini proclama la sua gioia
per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di
stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al
fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando
arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[26]
Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella
stagione! Di questo gode il contadino invece di essere arruolato ancor prima
dei cittadini, e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale
arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo,
mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero, che lui vende, può servire
al massimo per pulire la tavola, e la corazza per cacarci dentro. Le lance
segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra
Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce
( th'~ d’ hJdu; to; su'kon, v.1352).
Anche Euripide,
che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a
Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane
: "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti"
ejkporqei' povlei", - naou;" te tuvmbou" q j, iJera; tw'n
kekmhkovtwn, - ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95 - 97), è stolto tra
i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe,
sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena (vv. 37 - 40) e nell'Oreste (vv.
1640 - 1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi
per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.
Tale giudizio contro la guerra si trova anche Zeu;~ d j wJ"
e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n, - ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy j ej~ [Ilion ei[dwlon[27]
Ora passiamo in
rassegna alcuni autori latini.
Virgilio nella prima Georgica (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della
guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro. Orazio ricorda che le
guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque matribus - detestata” (carm. 1. 1. 24 - 25), quindi qualifica
il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e cruentus (carm. 2. 14. 13).
attribuisce la colpa della guerra alla brama
dell'oro: " Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?[28]/Quam ferus et
vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum
brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala
nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium
est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes "
(I, 10, 1 - 8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto
feroce e davvero ferreo[29]
fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra,
allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel
disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci
diede contro le belve feroci?
Questa è colpa del ricco oro, e non c'erano
guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande. Non era ancora l'età
del business .
Curzio Rufo nota che durante la campagna di Alessandro Magno
in India succedeva che gli assediati dessero fuoco alla loro città e gli
assedianti cercassero di spegnere il fuoco: “adeo etiam naturae iura bellum in contrarium mutat” (Historiae Alexandri Magni, 9, 4, 7), a
tal punto la guerra stravolge perfino le leggi di natura.
Questi e altri del genere sono biasimi e moniti che dobbiamo
continuare a rivolgere ai promotori di guerre se non vogliamo essere loro
complici.
Un tovpo" mitico - storico che assume
più di un aspetto è quello dell'età dell'oro[30]
Esiodo, Virgilio nell'Eneide, e Ovidio nelle Metamorfosi[31]
la collocano in tempi antichi, mentre lo stesso Ovidio nell' Ars amatoria
e nei Medicamina faciei la situa nella contemporaneità.
(III, 121 - 122), 127
- 128) Nel De rerum natura di Lucrezio[32]
l'età dell'oro non esiste.
Dionigi sostiene che Lucrezio "sembra preferire"
la vita dell'uomo primitivo "a quella dell'uomo civilizzato, minacciato da
guerre, sazietà, inganni (V, vv. 999 - 1010)"[33],
mentre secondo Bettini l'intento di Lucrezio è stato quello di indicare
"nel lavoro un valore positivo e laico, l'unico mezzo attraverso il quale,
faticosamente, l'uomo poteva elevarsi al di sopra di una condizione primitiva
semiferina"[34].
Nell'Epodo XVI[35]
di Orazio[36]
il luogo aureo è un altrove: isole fertili in mezzo all'Oceano e campagne
felici lontane da Roma la quale si consuma nelle guerre civili e crolla per le
sue stesse forze.
Nell’Epodo VII il
poeta ricorda il crimine dell’uccisione fraterna (scelusque fraternae necis, v. 18) per cui scorse in terra il sangue
di Remo sacer nepotibus cruor (v. 2),
maledetto per i nipoti.
Lo stesso Orazio nel Carmen saeculare[37]
invece preannuncia il ritorno dell'età dell'oro a Roma, come aveva fatto
Virgilio nella IV ecloga[38].
Del resto nell'età primitiva un gravis veternus
paralizzava l'attività umana: Virgilio
nella Georgica[39]
I dà questa spiegazione della genesi dell'età moderna: Giove procurò agli
uomini fatiche e angosce (curae ) in
quanto non lasciò che il suo regno restasse paralizzato in un pesante
letargo"nec torpere gravi passus sua
regna veterno " (v. 124). Infine il lavoro ostinato vinse tutte le
difficoltà: “Labor omnia vicit - improbus”
(vv. 145 - 146). Il compito di Virgilio nelle Georgiche in effetti è quello di celebrare il lavoro del bonus agricola.[40]
" Centrale è il concetto di veternus , una specie di pigra indolenza, un torpore che affliggeva
l'umanità nell'età dell'oro, e che avrebbe indotto Giove a introdurre il lavoro
nel mondo, per stimolare l'ingegno umano e rendere gli uomini attivi, vigile e
intraprendenti"[41]
.
Leopardi nella Storia
del genere umano[42]
afferma che Giove in una fase della storia del mondo, quella successiva al
diluvio universale, con il quale “fu punita la protervia dei mortali”, impose
gravi oneri alla nostre specie, la quale bramava "sempre e in qualunque
stato l'impossibile", paradossalmente, perché non si estinguesse: "deliberò
valersi di nuove arti a conservare questo misero genere: le quali furono
principalmente due. L'una mescere la loro vita di mali veri; l'altra implicarla
in mille negozi e fatiche, ad effetto d'intrattenere gli uomini, e divertirli
quanto più si potesse dal conversare col proprio animo, o almeno col desiderio
di quella loro incognita e vana felicità".
Questo argomento insomma si presta quale a essere presentato
come percorso problematico e variamente rimodulabile.
Gianni Ghiselli
[1]
Epistulae, 1, 11, 27 - 28.
[2] Ep., 69, 1.
[3]
Remedia amoris, 224 - 225.
[4]
Elegie, III, 21, 9 - 10.
[6] Doctor Faustus, (1947) p. 119.
[7] T.
Mann, Doctor Faustus, p. 163 e p. 164.
[8]
T. Mann, La montagna incantata, II,
p. 41 e p. 67. E’ Naphta che parla.
[9]
Nietzsche, Aurora, p. 130.
[10]
Curzio Rufo,
[11]
Curzio Rufo , op. cit. Vi, 4.
[12]
Avvenuta in Sogdiana, l’attuale Uzbekistan, nella primavera 327 a . C
[13]
Cfr. fhmiv. La gente non solo vive e
mangia ma pure fa e interpreta la guerra seguendo il “si dice”. Seneca: "nulla res nos maioribus malis implicat quam
quod ad rumorem componimur " (De
vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di
regolarci secondo il "si dice".
[14]
Cfr. Historiae Alexandri Magni, 3, 8,
7 dove pure Dario, prima della battaglia di Isso (novembre 333), dice “famā bella stare”. Come
nelle Eumenidi di Eschilo, le parti
in conflitto hanno un pensiero comune.
[15]
Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni,
8, 11, 24.
[16]
Del 458 a . C.
[17] Storia dei
Greci , II vol., p.91
[18]
E. Fromm, Anatomia della distruttività
umana, p. 269.
[20]
Fiorito intorno alla metà
del V secolo.
[21]
Del 425 a .
C.
[22]
Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[23]
A chi potremmo paragonare questi due guerrafondai?
[24]
Dove Diceopoli racconta che dei giovanotti ateniesi avvinazzati rapirono una
prostituta megarese, e i Megaresi per rappresaglia ne sottrassero due ad
Aspasia: di qui si scatenò per tutti il principio della guerra: per tre puttane
(Acarnesi, vv. 524 - 529).
[25]
Da Iliade 9, 63 - 64.
[26]
Questa, hJliomanhv~ (Uccelli, 1096), va pazza per il sole, e
non dà segni ambigui come la rondine.
[27]C.
Wolf, Cassandra , p. 85.
[28]
S. Benni utilizza questo verso cambiando una parola per farne la didascalia di
un quadro: “enorme e rotondo, con un’aquila che teneva fra gli artigli un
piccolo animale e una scritta…QUIS FUIT
OPTIMUS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES?” (Margherita
dolcevita, p. 125). Il quadro si trova in una casa di razzisti
guerrafondai.
[30]
Cfr. G. Ghiselli, Enea e Didone, pp. 110 sgg.
[31]
Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo
dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il
tema della metamorfosi. Fu composto fra l'1 e l'8 d. C
[32]
99? a. C. - 55? a. C.
[33]Ivano Dionigi (a cura di)
Lucrezio, La natura delle cose, , p. 493.
[34]M. Bettini, La letteratura latina 2 , p. 453.
[35]
Del 38 a .
C.
[36]
65 a . C.
- 8 a. C.
[37]
Del 17 a .
C.
[38]
Del 40 a .
C.
[39]
Le quattro Georgiche costituiscono un poema didascalico
sull'agricoltura. Furono composte tra il 37 e il 30 a . C.
[40] “Il protagonista delle Georgiche - il
paziente, tenace agricola capace di
coronare la sua fatica con il successo - è anche un carattere non privo di
ombre, e richiede, anche lui, della vittime” . Tradotto dall’inglese di Gian
Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the
Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University
Press., n. 30, p. 205. Tale è Aristeo, e
non farà meno vittime il “pio”Enea.
[41]M. Bettini, La letteratura
latina, 2, p. 453.
[42]
Del 1824.
Quanti ossimori...la guerra santa, la buona scuola . Da sempre i tiranni hanno farcito i loro progetti più infami di belle parole cercando di aizzare le truppe (o gli insegnanti), speriamo che l'arte oratoria tradisca i nostri politici . La guerra e la brutta educazione portano a risultati simili , la vittoria dell'ingiustizia e l'aumento del divario tra poveri e ricchi. Anche la buona scuola favorirà l'economia che i consumatori saranno sempre più bovini....e anche le guerre che diminuirà la capacità di pensiero autonomo. Giovanna Tocco
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