Le due
u{brei" di
Settembrini (La
montagna incantata
(e magica)
di T. Mann). Ci
sono anche due forme di e[ri~ (Esiodo)
e di aijdwv~ (Ippolito
di Euripide). I significati
delle parole possono capovolgersi, e anche quelli dei personaggi
della tragedia (Edipo), o
della storia (Dario III): da re a farmakoiv.
Settembrini,
l’ umanista “chiacchierone pieno di frasi”1
di La Montagna Incantata,
il “loquace razionalista e umanista”2
distingue una u{bri~ buona
da un'altra cattiva, e santifica quella di Prometeo in quanto essa è
amica dell'umanità:" E che cos’era l’umanesimo? Era amore
per l’umanità, nient’altro, e perciò era anche
politica…Prometeo! Era stato lui il primo umanista, identico a quel
Satana cui Carducci aveva dedicato il suo inno”3.
Il “vecchio anticlericale bolognese”4
celebra Satana per il suo essersi ribellato a un despota
oscurantista: “Salute, O Satana/ O ribellione,/O forza
vindice/Della ragione!”5.
Ma
l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è
altissima umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi
invidiosi...questa è sempre una rovina onorata. Anche l'azione di
Prometeo era "Hybris" e il suo tormento sulla roccia scita
noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come siamo invece di
fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla ragione,
all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta umana?"6.
Possono
esserci dunque due u{brei~,
come due e[ride~.
Esiodo
nelle Opere e giorni distingue due diversi tipi di
[eri": quella cattiva che fa crescere la guerra malvagia
e la lotta (v. 14), e l'altra che, generata prima della sorella dalla
Notte, Zeus pose alle radici della terra (v. 19), cioè alla base del
progresso umano. Questa suole svegliare al lavoro anche l'ozioso.
Allora il vasaio gareggia con il vasaio, l'artigiano con l'artigiano,
il mendico con il mendico e l'aedo con l'aedo (vv. 24-26)7.
Nietzsche
commenta la doppia [Eri~ di Esiodo con
queste parole :" tutta l'antichità greca la pensa diversamente
da noi circa l'astio e l'invidia e giudica come Esiodo, il quale
designa come cattiva una sola Eris, quella cioè che trascina gli
uomini gli uni contro gli altri in animose lotte distruttrici, e
stima invece buona un'altra Eris, che, come gelosia, astio e invidia,
sprona gli uomini all'azione, ma non all'azione della lotta
distruttrice, bensì a quella del certame ( ...) Togliamo
invece il certame della vita greca, subito ci affacceremo su
quell'abisso preomerico che è il feroce stato selvaggio di odio e di
voglia d'annientamento"8.
Aijdwv~
è considerato da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile:
nelle Opere e giorni il poeta afferma che nell'ultima fase
dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche
(poliokrovtafoi, v. 181), oltraggeranno
i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la
giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn
cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri"
, Gratitudine; Aijdwv" Pudore e
Rispetto; Nevmesi" , lo Sdegno;
quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou'
d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
“Aijdwv~
è generalmente tradotto con ‘Pudore’ o ‘Senso di onore’, e
Nevmesi~ con una frase goffa se pur
esatta, ‘Giusta Indignazione’. La grande caratteristica di
ambedue questi princìpi, come in genere dell’Onore, è che essi
sono attivi solo quando l’uomo è libero: qualora non vi sia
coercizione…Aijdwv~ è ciò che si
prova per una azione commessa da noi. Nevmesi~
è ciò che si prova per l’azione commessa da un altro…Quando gli
anziani di Troia guardano Elena, ‘Bene’ essi dicono, ‘se gli
uomini combattono e muoiono per una donna come quella, ouj
nevmesi~, nessuno può rimproverarli’ (G 157)”9.
Ma Fedra nell'Ippolito di
Euripide attribuisce un doppio significato alla parola
aijdwv~:"bisogna considerare
questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo
nella fatica (oujk ejkponou'men10:
alcuni per infingardaggine (ajrgiva"
u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono
molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto
cattivo, e l'irrisolutezza (scolhv, terpno;n
kakovn,-aijdwv~ te) "(vv.379-385). Esistono dunque due
forme di aijdwv~: “ dissai;
d’ eisivn, h{ me;n ouj kakhv,-h{ d j a[cqo~ oi[kwn” (vv.
385-386), una non cattiva, l’altra invece dolore delle famiglie.
Il ritegno buono, forse, è quello che trattiene dal fare il male,
quello cattivo dal fare il bene. Ma, continua Fedra, se la
circostanza dell’uno e dell’altro fosse chiara, non ci sarebbero
queste due cose con le stesse lettere.
Non solo il significato delle parole
può essere ribaltato, ma anche quello delle persone: nella tragedia
il re si capovolge spesso in farmakov~ :
nell’Edipo re di Sofocle, per esempio. E non solo nella
tragedia: nelle Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo, il
re Dario III, più volte sconfitto da Alessandro Magno, captivus
servorum suorum in sordidum vehiculum imponitur (5, 12, 16),
prigioniero dei suoi servi11,
viene messo su una lurida carretta. Quindi i traditori lo
incatenarono con ceppi d’oro “nova ludibria subinde
excogitante fortuna ” 5, 12, 20, in quanto la fortuna trovava
sempre nuove beffe. Chi sono questi farmakoiv?
“Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o
‘Guy Fawkeses’12?
La parola significa letteralmente ‘medicine umane’ ovvero ‘capri
espiatori’”13.
Il significato della pudicitia
viene capovolto dal malcostume dell’adulterio.
La pietas
sovvertita o criticata. Plauto (Asinaria).
Ovidio smaschera e ridicolizza il “pius”
Enea denunciando il suo ruolo di seduttore.
Seneca
nel De beneficiis scrive
: “Numquid
iam ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum
habeat, nisi ut adulterum inritet? Argumentum est deformitatis
pudicitia14”
(III, 16, 3): c’è forse più un poco di vergogna dell’adulterio,
dopo che si è arrivati al punto che nessuna donna ha il marito, se
non per stimolare l’amante? La pudicizia è prova di bruttezza.
Il
valore positivo della pudicitia
è capovolto.
Il significato comune di alcune parole
chiave è stato talora sovvertito, talora interpretato in maniera
anomala.
Il sovvertimento può riguardare la
pietas: lo fa, nell'Asinaria di Plauto, la lena
Cleareta parlando con la figlia, la meretrix Filenia la quale
non vuole più obbedire alla madre ruffiana, prostituendosi, poiché
si è innamorata:"Hoccine est pietatem colere, matri imperium
minuere?/An decorum est adversari meis te praeceptis? " (vv.
508-509), questo è praticare la devozione, scemare l'autorità
materna? Oppure è bello che tu ti opponga alle mie regole? Pietas
erga matrem dunque sarebbe che la ragazza si prostituisse.
Una reputazione consolidata di pietas
può essere criticata, o derisa.
Come da Ovidio riguardo alla fama
del pius Enea. "Tra gli amanti infedeli è menzionato
Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli “famam
pietatis habet “ (Ars III 39): giocosa polemica con
Virgilio che aveva giustificato il suo pio eroe"15.
Nel proemio dell'Eneide16
in effetti Virgilio domanda con meraviglia:"Musa, mihi causas
memora, quo numine laeso,/quidve dolens regina deum tot volvere
casus/insignem pietate virum, tot adire labores/impulerit. Tantaene
animis caelestibus irae?" (vv, 8-11), o Musa, dimmi le
ragioni, per quale offesa volontà divina, o di che cosa dolendosi la
regina degli dèi abbia spinto un uomo insigne per la devozione a
passare per tante peripezie, ad affrontare tante fatiche. Così
grandi sono le ire nell'animo dei celesti?
Ebbene Ovidio trova la ragione delle
grandi ire divine: dopo avere affermato che gli uomini ingannano
spesso, più spesso delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt,
tenerae non saepe puellae, Ars, III, 31) il poeta
aggiunge Enea al duetto dei seduttori perfidi, il fallax Iaso
(Ars, III, 33) e Teseo17:
"et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem18/praebuit
et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha
la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il
motivo della morte tua, Elissa.
In A midsummer-night’s dream
Hermia accoglie questa interpretazione di Enea e lo menziona come
amante infido: “when the false Troyan under sail was seen”
(I, 1), quando il Troiano falso fu visto alzare la vela.
Ovidio dunque smaschera Enea e il vate
che lo celebra come antenato di Augusto.
Si possono smontare altri pezzi
della pietas di Enea. I sacrifici umani e la
ferocia del figlio di Venere. La barbarie di quanti praticavano i
sacrifici umani: gli Etruschi, i Tirii, i loro coloni Cartaginesi,
gli stessi Romani (la questione appenninica), i Celti, i Galli e i
Britanni.
Durante la battaglia successiva alla
morte di Pallante il duce troiano cattura dall'esercito di Turno otto
giovani vivi: "viventis rapit inferias quos
immolet umbris/captivoque rogi perfundat sanguine flammas"19,
li cattura vivi, per sacrificarli come offerte infernali alle ombre e
irrorare le fiamme del rogo con il sangue dei prigionieri. Vero è
che a monte si trova il modello omerico20,
ma Achille non è mai stato insignis pietate vir!
Un altro atto del “pio” Enea
potrebbe entrare benissimo nella categoria dell'empio e del disumano:
dopo avere abbattuto Tàrquito gli taglia la testa che stava
supplicandolo, quindi gli dice che la madre non lo
seppellirà:"alitibus linquēre feris aut gurgite mersum/unda
feret piscesque impasti volnera lambent" (Eneide, X,
559-560), sarai abbandonato agli alati rapaci oppure l'onda ti
porterà sommerso nel gorgo e i pesci digiuni leccheranno le tue
ferite.
Tito Livio condanna l’uso del
sacrificio dei prigionieri da parte degli Etruschi come barbarico e
vergognoso: dopo un successo militare contro l'incauto console Fabio,
i Tarquiniesi sacrificarono trecentos septem milites romanos,
un supplizio brutale che rese ancora più notevole l'onta subita dal
popolo romano21.
Anche Curzio Rufo22
dà un giudizio negativo sui sacrifici umani quando racconta che i
Tirii, assediati da Alessandro Magno nel 332 a. C., pensarono di
ripristinare questo uso desueto: “ sacrum quoque, quod equidem
dis minime cordi esse crediderim…ut ingenuus puer Saturno
immolaretur”, addirittura un atto sacrificale, del quale io
sono propenso a credere che non possa essere per niente gradito agli
dèi… cioè di sacrificare a Saturno un fanciullo nato libero. Un
sacrilegium, verius quam sacrum (Historiae Alexandri Magni,
4, 3, 23) più che un sacrificio, di cui si dice che venne praticato
dai Cartaginesi usque ad excidium urbis suae , fino alla
distruzione della città, avvenuta nel 146 a. C. Se non si fossero
opposti gli anziani di Tiro “humanitatem dira superstitio
vicisset”, una terribile superstizione avrebbe vinto il senso
di umanità.
Cartagine dunque, colonia di Tiro,
praticò i sacrifici umani “Lo stesso rito repugnante del
sacrificio umano rimase in vigore in Cartagine fin nel IV secolo”23(d.
C).. Mentre Agatocle, tiranno di Siracusa, era in Africa (310-307)
“fu fatta un’immane ecatombe espiatoria di fanciulli, cinquecento
si dice, tra cui duecento delle famiglie più ragguardevoli,
deponendoli l’un dopo l’altro, per farli precipitare tra le
fiamme, sulle braccia protese della statua colossale d’un nume
assetato di sangue che i Greci chiamavano Crono”24.
(Diodoro, Biblioteca storica, XX, 14).
Tertulliano nell’Apologeticum25
ritorce contro i pagani le accuse che vengono rivolte ai cristiani
scrive: “infantes penes Africam Saturno immolabantur palam usque
ad proconsulatum Tiberii” (9, 2), in Africa si sacrificavano
pubblicamente dei fanciulli a Saturno, fino al proconsolato di
Tiberio. E commenta: si capisce come Saturno che non risparmiò i
propri figli, abbia continuato a non risparmiare quelli degli altri.
Poi questo costume cadde in disuso:
“Gli è che l’influsso irresistibile della civiltà greca aveva
addolcito a grado a grado i costumi”26
In effetti a Roma i sacrifici umani
furono praticati.
Titi Livio racconta che dopo Canne
(216 a. C.) “ex fatalibus libris sacrificia aliquot
extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca,
in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo
consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum”
(Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti
alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un
Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario, in un luogo
recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un
rito però non romano. E’ una contraddizione con quanto detto
sopra sugli Etruschi, ma “i fatti della storia non sono
sillogismi”27
Mazzarino ne ricava una concezione
cisappenninica della vera Italia cui consegue l’idea della
exterminatio dei due popoli transappenninici: Galli e Greci.
Appiano28
nell’Annibalica (8, 34) introduce il suo racconto della
battaglia del Trasimeno e sostiene che la vera Italia è quella
tirrenica, mentre quella adriatica e ionica è terra di Galli e di
Greci. Nello stesso anno 216 del resto i decemviri sacris
faciundis ricavarono dai libri sibillini l’ordine di mandare a
Delfi Fabio Pittore. Un’altra contraddizione.
C’era comunque fino a Canne una
questione appenninica: gli antichi intuivano il contrasto fra
l’economia padana ed economia appenninica.
Cesare spiega con un chiasmo che i
sacrifici umani vengono praticati dai Galli poiché pensano che non
si possa placare la maestà dei numi immortali “pro vita hominis
nisi hominis vita reddatur “(De bello gallico, 6, 16,
2), se per la vita di un uomo non si paga la vita di un uomo.
Tacito ricorda che i Britanni facevano
sacrifici umani: quando venne conquistata da Svetonio Paolino29
l’isola di Mona (vicina al Galles) vennero abbattuti i boschi,
sacri alle loro feroci superstizioni: excisique luci saevis
superstitionibus sacri: nam cruore captivo adolēre aras et hominum
fibris consulere deos fas habebant” (Annales, XIV, 30),
infatti i Britanni consideravano cosa santa far fumare gli altari
col sangue dei prigionieri e consultare gli dèi con le viscere degli
uomini.
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1
T. Mann, La Montagna incantata , vol. II, p. 148.
2
T. Mann, Introduzione alla “Montagna incantata” , in T.
Mann, Nobiltà dello spirito e altri saggi, p. 1517.
3
T. Mann, La montagna magica, p. 231
4
Ibidem, p. 231.
5
A Satana, vv. 97-100.
6T.
Mann, La Montagna incantata , vol. II, p.
18.
7
“Oh quanto è sottile e invisibile quasi la differenza che passa
fra il seme delle nostre virtù e dei nostri vizi!” ( Vittorio
Alfieri, Vita, 1, 5)
.
8Certame
Omerico, in Verità e menzogna e altri scritti giovanili , p.
117 e 120.
9
G. Murray, Le origini dell’Epica greca, p. 111.
10
Il bene, topicamente, costa povno"
, fatica.
11
I satrapi felloni Besso e Nabarzane. Siamo nel luglio del 330 a. C.
12
Fantocci di Guy Fawkes che .vengono bruciati in Inghilerra la notte
del 5 novembre.
Ricordano il terrorista cattolico che nel
1605 organizzò la cosiddetta Congiura delle polveri per far
saltare in aria il Parlamento con il re Giacomo I. Scoperto, venne
giustiziato.
13
G. Murray, Le origini dell’epica greca, p. 24.
14
Si ricordi
l’irrisorio
“casta est quam nemo rogavit”
di Ovidio (Amores,
I, 8, 44), è casta quella cui nessuno ha fatto proposte.
15
A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana , p. 189.
16
Scritta fra il 29 e il 19 a. C.
17
Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe
nutrito gli uccelli marini (Ars, III, 35-36). La Fedra di
Seneca entrando in scena, afferma che la fedeltà di Teseo è quella
di sempre: “stupra et illicitos toros/Acheronte in imo quaerit
Hippolyti pater” ( Fedra, vv. 97-98), cerca adulterii e
letti illegittimi il padre di Ippolito in fondo all’Acheronte.
Interessante è la versione dell’Odissea (11, 324-325) :
Artemide uccise Arianna in Dia in seguito alle accuse di Dioniso
abbandonato per Teseo che comunque rimane il seduttore principe.
18
Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale
dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide,
IV, 647, dono richiesto non per questo uso.
19
Eneide, X, 519-520.
20
Iliade, XXI, 26 sgg, poi XXIII, 175 sgg.
21
Storie, VII, 15. Siamo negli anni del IV secolo a. C.
successivi all’invasione gallica, intorno al 364 a. C.
22
Autore del I sec. d. C. Sotto il regno di Claudio scrisse Historiae
Alexandri Magni in dieci libri. Ne sono andati perduti i primi
due.
24
Gaetano De Sanctis, op. e p. citate.
25
Del 197 d. C.
26
Gaetano De Sanctis, op. cit., p. 73.
27
S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, II, 1, p. 216.
28
Vissuto nel secondo secolo d. C. crisse una Storia di Roma in greco.
Sono conservati 11 libri con il prologo, la vicenda di Annibale, le
guerre civili.
29
Governatore della Britannia in età neroniana, fino al 61 d. C.
Sono in lutto....è passata la "buona scuola". Giovanna Tocco
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