(cliccare sull'immagine per ingrandire) |
La Commedia antica. Aristofane: Le Rane
Venerdì 22 Settembre alle 18
ne parlerò presso la Biblioteca Lame-Cesare Malservisi, sala studio primo piano
Nell'ambito di "Un tuffo nei classici", due conferenze a cura del prof. Gianni Ghiselli:
Le Rane di Aristofane: il mito. la politica, la guerra, la critica letteraria
la
Commedia di mezzo, fino al 325
circa, e quella nuova che arriva
fino alla metà del III secolo in lingua greca, poi viene ripresa in latino dai
drammi di Plauto e Terenzio.
La
Poetica di Aristotele afferma che la tragedia vuole imitare (mimei'sqai bouvletai)
personaggi migliori di quelli reali (beltivou") mentre commedia è imitazione di
uomini peggiori di quelli reali (ceivrou" tw'n nu'n, 1448a), ossia volgari e tali che
non suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del
ridicolo, "Il ridicolo infatti" (to; ga; r geloi'on) spiega il filosofo "è
qualche cosa di sbagliato e una deformità indolore e che non dannosa " (aJmavrthma ti kai; ai\sco"
ajnwvdunon kai; ouj fqartikovn 1449a).
L'errore
a dire il vero viene menzionato anche per i personaggi tragici (ajmartiva, 1453a);
la differenza è che nei loro confronti deve nascere pietà e terrore per la loro
disgrazia (dustuciva) causata
da sbagli appunti, non da vizio malvagità (dia; kakivan kai; mocqhrivan), mentre la maschera ridicola è
qualche cosa di deforme e stravolto senza sofferenza (to; geloi'on provswpon
ajscrovn ti kai; diestrammevnon a[neu ojduvnh", 1449a).
La
commedia dunque è mivmhsi" faulotevrwn imitazione di personaggi più
incapaci del necessario, ed è l'assenza di pietà che contraddistingue la
commedia dalla tragedia.
Hegel nella sua Estetica sostiene che "sono propri del comico l'infinito buon
umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della
propria contraddizione. . . ossia la
beatitudine e l'essere a proprio agio della soggettività che, certa di
se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue
realizzazioni" (p. 1591). Il comico è il soggettivo che non soffre delle
sue contraddizioni. Può essere uno scopo meschino perseguito con serietà e non
raggiunto senza sofferenza. Oppure individui frivoli che si pavoneggiano mentre
tendono a fini seri, come le Ecclesiazuse.
Nel crollo di tutti i valori politici rimane quello della soggettività (cfr. nel
tragico, Medea superest).
Ancora
una volta il personaggio della commedia non suscita pietà. Viene fatto
l'esempio delle Ecclesiazuse di
Aristofane, le donne a parlamento che"vogliono deliberare e fondare una
nuova costituzione" ma "conservano tutti i loro capricci e passioni
di donne" (p. 1592).
Invece
nella commedia nuova di Menandro entrerà la compassione ed essa, esclusa dal
comico, verrà inclusa nell'umorismo del noto saggio su L’umorismo di Pirandello: "Vedo
una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale
orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti
giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario
di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere… Il comico è
appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la
riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun
piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa
soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le
rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più
giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la
riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento,
o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha
fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza
tra il comico e l'umoristico".
Gli
altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e
castigo e Sant’Ambrogio di Giusti.
Cfr.
la terapia del rovesciamento, mettersi nei panni degli altri.
A
questo proposito sentiamo Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola
dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto
il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che
lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’
suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto
che la principal dote di un buon maestro e la più utile, non è l’eccellenza in
quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare”[1].
Il
sentimento del contrario è dunque una forma di compassione, in senso
etimologico.
Il comico nasce dalla superiorità in cui viene a
trovarsi il pubblico rispetto all'attore[2]: deriva
dunque dalla differenza di significato che le parole hanno nella bocca e nelle
intenzioni di chi le pronuncia rispetto all'intendimento di chi le ascolta, più
avanzato, siccome a maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce
dalla soddisfazione dello spettatore il quale si sente superiore poiché non
partecipa del ridicolo o (nella tragedia9 delle sofferenze o del che colpiscono
il personaggio.
Ma,
tornando alla Poetica di Aristotele e
alle origini della commedia, questa
nacque da "coloro che dirigevano i canti fallici" (1449a).
I Dori rivendicano
l'invenzione della commedia etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio): il nome sarebbe derivato dal fatto che
gli attori passavano kata; kwvma", di villaggio in villaggio.
L'altra etimologia possibile, pur se scartata
dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw (faccio baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione
bacchica).
Ne
risulta la possibile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e
mordaci che sembra anticipare i Fescennini romani: "versibus alternis opprobria rustica ", insulti rustici in
versi alterni, come li definisce Orazio (Epistole
II, 1, 146).
Certo
è il collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della
fertilità e con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costuiva al tempo
stesso una speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della
vicenda delle messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno
alternarsi delle stagioni.
Cfr.
Ammiano Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium
frugum " (Storie, XXII, 9, 15).
CONTINUA
Giovanna Tocco
RispondiElimina