La stoa sulla difensiva (p.359)
Lelio fu conquistato dalla Stoà.
Panezio fu allievo di Diogene di Seleucia e pure di Cratete di Mallo che poi
ttenne a Pergamo un magistero filologico.
Cratete fu il principale
rappresentante della scuola pergamena, che prende il nome dalla città di Pergamo, e della
filosofia stoico
- platonica
e di tendenza anomalista. Seguace di Diogene di Seleucia (240 - 150), si
avvicinò allo stoicismo.Inviato, nel 168 a.C. da Attalo II
a Roma come
ambasciatore, riunì un folto gruppo di allievi ai quali diffuse gli
insegnamenti della scuola di Pergamo.
Diogene fu scolarca stoico ad Atene
e dopo di lui Antipatro. Antipatro scriveva più che parlare e fu soprannominato
“calamo urlante”. Panezio fu il suo allievo prediletto. Diogene scrisse un Peri; fonh'",
intorno all’espressione linguistica. In Cratete divennero preminenti gli
interessi filologici. Del resto volle compenetrare la filologia di spirito
filosofico anticipando Nietzsche. Si definiva kritikov" per significare che
l’interpretazione dells poesia deve essere giudicante (krivnw).
Cercava negli scritti le tracce del logos
divino. Pensava che Omero e gli antichi fossero depositari di conoscenze più
pure e genuine. Il suo metodo allegorizzante interpretava gli dèi omerici come
forze della natura. Omero avrebbe già avuto l’intuizione delle conoscenze
scientifiche uccessive come la sfericità della terra e le lunghe e le corte
notti polari.
Cratete utilizzò le anomalie della
lingua già notate da Crisippo per combattere l’analogia degli Alessandrini.
L’utilità e la bellezza della lingua richiedono non la pedantesca regolarità ma
il libero sviluppo e la varietà. Andò a Roma nel 168 sub ipsam Enni mortem.
Diogene stoico riprese da Platone
l’idea che la musica esprime un determinato ethos e ha forza psicagogica, potenza
educativa
Diogene e Panezio manifestarono
dubbi sulla ejkpuvrwsi".
Antipatro esaminò il matrimonio e
ravvisò un segno di decadenza nella moda dell’età che esaltava la vita dello
scapolo come una vita da dèi (cfr.caelibes - caelites negli Adelphoe
di Terenzio)
Insegnava che sposarsi e avere figli è un
dovere verso lo Stato e verso la patria. Apriva la strada a una valutazione
nuova della donna.
Parte seconda Il periodo di mezzo della Stoa. La stoà come forza
spiritale dominante nel mondo greco - romano. Panezio infuse uno spirito nuovo
nella Stoà . L’ellenizzazione della Stoa: Panezio
Panezio è il fondatore della Media
stoà.
Era di Rodi, di sangue greco
dorico. Nacque intorno al 185 da famiglia nobile e ricca. Ad Atene seguì le
lezioni di Diogene e di Antipatro. Polibio lo segnalò a Scipione e Panezio
entrò nel circolo. Fu amico di Scipione e di Lelio. Si impadronì del latino.
Polibio lo spinse a capire meglio il presente attraverso lo studio della storia
Poi tornò ad Atene e nel 129, alla morte di Antipatro, assunse la direzione
della scuola.
Il suo capolavoro Peri; tou'
kaqhvkonto", Sul dovere, uscì dopo il 129. Ebbe molti
discepoli. Il più importante fu Posidonio di Apamea. Morì intorno al 100.
Si sentiva più vicino al divino
Platone e ad Aristotele che a Zenone e a Crisippo. La Stoà derivava da Socrate
come l’Accademia e il Peripato.
Da aristocratico uomo di mondo,
rifiutava la discendenza dai Cinici. A Roma, per effetto di Panezio, gli Stoici
venivano chiamati socratici (p. 395) Scrisse Intorno alla Pronoia. Peri;
pronoiva". Essa è una forza creatice dotata di senso del bello.
L’uomo è il coronamento del creato. Ha la stazione eretta perché il suo spirito
non aderisce al suolo (p.99)
Nella V cornice del Purgatorio
di Dante, le anime degli avari e dei prodighi piangevano stese a terra e
recitavano il versetto del Salmo CXIX: “adhaesit pavimento anima mea” (XIX,
v. 72)
Il corpo umano è lo strumento del logos.
Poiché l’uomo è logikovn
ti zw'/on, bisogna che il corpo umano sia stato costruito come o[rganon,
strumento appropriato alla necessità del logos.
Panezio fu il primo a dare valore
all’uomo estetico che è capace di apprezzare la bellezza del mondo e pure di
crearla con le sue mani
Panezio non condivide l’idea della
Stoà antica che il mondo è stato creato per l’uomo; celebra piuttosto, come
Sofocle, la grandezza dell’uomo che è riucito a farsi padrone degli animali e
delle piante, della terra e del mare e del mondo intero” (p. 401)
Non concordo con questa
interpretazione del I stasimo dell’Antigone, dove il Coro afferma sì che
l’uomo si è impdronito del mondo e degli animali ma non è riuscito a vincere la
morte e rimane un’ombra che passa sulla terra e se con la sua audacia offende
il bello morale deve essere cacciato dalla polis.
excursus
La vita umana come
ombra e sogno.
Non è l'uomo
comunque sogno di un'ombra? E' questa una considerazione che va da Pindaro:" skia'" o[nar/a[nqrwpo""[1]; a Sofocle che nell'Aiace fa dire
a Ulisse, preso da rispetto e compassione per il nemico precipitato nella
follia :" JOrw''
ga;r hJ ma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n - ei[dwl j, o{soiper zw'men,
h] kouvfhn skiavn "(vv.125 - 126) vedo infatti che non siamo altro
che larve, quanti viviamo, o muta ombra; a Shakespeare nel Macbeth fa dire al protagonista prossimo alla
fine:"Life's but a walking shadow; a poor player, That struts and frets
his hour upon the stage, And then is heard no more: it is a tale Told by an
idiot, full of sound and fury, Signifyng nothing" (V, 5), la vita è
solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla
scena nella sua ora e poi non se ne parla più: è la storia raccontata da un
idiota, piena di frastuono e di furia, che non significa nulla.
Prospero nella La tempesta (del 1612) conclude
:" We are such stuff/as dreams are made on; and our little life/is
rounded with a sleep", Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la
nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1).
Per la fede personale di Panezio, il logos
rimase l’unica divinità, tuttavia distinse tre categorie di figure divine : le
forze naturali personificate (gevno" fusikovn), gli dèi della religione pubblica (gevno"
politikovn) e gli dèi del mito (gevno" muqikovn). Fondò così la tripertita
theologĭa che fu utile alla teologia razionalistica dei Romani
Non credette che l’anima
sopravvivesse alla morte. Negò esplicitamente l’immortalità individuale anche
se ciò lo metteva in contrasto con il prediletto Platone (p. 405)
Da stoico eretico Panezio sostenne che anche
la salute e il favore delle circostanze concorrono alla eudaimonia. Gli
sembrava assurdo considerare un adiaforon la salute se il logos per
agire ha bisogno del corpo.
Diogene Laerzio (VII, 128) scrive
che Panezio e Posidonio oujk autavrkh levgousi th;n ajrethvn, ajlla; creivan ei\naiv fasi
kai; uJgieiva" kai; corhgiva" kai; ijscuvo", non dicono
che la virtù basta a se stessa, ma affermano c’è necessità anche di salute e di
abbondanza di mezzi e di forza Comunque solo il bene morale è il vero bene
dell’uomo movnon
to; kalo;n
ajgaqovn cfr. Cic. Off. I, 66. II, 12. Il dolore deve essere
vinto irrobustendo il corpo e l’anima: il logos non deve lasciarsene ostacolare
nell’adempimento dei suoi compiti morali.
Si ispirarono a Panezio gli artisti
rodiesi del gruppo del Laocoonte che vuole salvare i figli, incurante delle
proprie sofferenze e il suo grido di dolore non è un urlo bestiale.
Cfr. J. J. Winckelmann:"
Infine, la generale e principale caratteristica dei capolavori greci[2] è una
nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che
nell'espressione…la nobile semplicità e la quieta grandezza delle statue greche
costituiscono il vero segno caratteristico degli scritti greci dei tempi
migliori…"[3].
Panezio cercò di vivere una vita condotta
conformemente alle risorse dateci dalla natura; “to; zh'n kata; ta;" dedomevna" hJmi'n ejk
fuvsew" ajformav"”.
CONTINUA
[1] Pitica VII, vv. 95
- 96.
[2] Viene fatto l’esempio del
Laocoonte (Aghesandro, Polidoro, Atanadoro, metà del I sec. a. C. Si trova nei
Musei Vaticani): “Come la profondità del mare che resta sempre immobile per
quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per
quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata.
Quest’anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del
Laocoonte…Il dolore che si mostra in ogni muscolo e in ogni tendinedel
corpo…non si esprime affatto con segni di rabbia nel volto o
nell’atteggiamento. Il Laocoonte non grida orribilmente come nel canto di
Virgilio…Laocoonte soffre; ma soffre come il Filottete di Sofocle: il suo
patire ci tocca il cuore, ma noi desidereremmo poter sopportare il dolore come
quest’uomo sublime lo sopporta”. Il verso incriminato di Virgilio è “clamores
simul horrendos ad sidera tollit” (Eneide, II, 222), nello stesso
tempo lancia grida orrende alle stelle.
[3] J. J. Winckelmann, Pensieri
sull'imitazione dell'arte greca (del 1755), p. 29 - 30 e p. 32.
Giovanna Tocco
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