NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 24 settembre 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XV parte

Panezio


Il bene morale si dentifica con il bello. L’anima bella e armoniosa si manifesta nelle parole e negli atti dell’uomo che la possiede. Non condivise il dogma democratico dell’uguaglianza degli uomini, ma ne notò la naturale differenza (p. 409). L’uomo non porta una sola maschera provswpon, persona sulla scena della vita. Una è quella di uomo in generale, una è quella della disposizione individuale, altre le impongono le circostanze della vita. Panezio scrisse il Peri; tou' kaqhvkonto" perché servisse alla vita pratica. Il dovere è la sovranità della ragione sugli istinti.
Il dovere tiene conto anche della personalità individuale: una persona di un certo rango deve avere p. e. una lingua scelta e non deve mettersi a correre per la strada (p. 410).
La frovnhsi" è la scienza del retto operare. La virtù fondamentale è la socialità, come giustizia che dà a ciascuno il suo e come collaborazione al benessere della comunità.
Una virtù cardinale è la megaloyuciva, la magnanimità, un atteggiamento di superiorità di fronte alle cose esterne che non devono determinare il nostro stato d’animo. La magnanimità non deve essere asservita all’ambizione personale ma rendersi utile all’interesse collettivo. Servire la comunità avendo posti di comando è un alto dovere morale
La swfrosuvnh, la salute mentale, ci comunica la coerenza, l’oJmologiva.
Noi siamo contenti quando vediamo in noi stessi un’opere d’arte con un bello stile, affabilità, garbo, gusto nel vestire, insomma nella persona il riflesso esterno della sua bellezza interiore. Cfr. Cicerone Off. I, 93 - 151
Con espressioni simili Plutarco descrive la compostezza e la coerenza dell’olimpico Pericle.
Di Pericle, Plutarco scrive che si meritò il soprannome di Olimpio perché mostrava un carattere buono eujmene;" h\qo" e una vita capace di restare pura e priva di macchie kai; bivon kaqaro;n kai; ajmivanton, pur nel potere ejn ejxousiva/ (Vita di Pericle, 39, 2). Parlava con un’eloquenza immune da ciarlataneria, con il volto composto che mai cedeva al riso, la sua andatura era calma, era elegante con semplicità, non si scomponeva mai (5). Poi era palesemente incorruttibile e superiore al denaro (15, 3).
Insomma la megaloyuciva, la magnitudo animi è una ejpisthvmh h] e{xi" uJperavnw poiou'sa twn sumbainovntwn koinh'/ fauvloi" te kai; spudaivoi", è una scienza o una dote che rende superiore alle cose che capitano agli sciocchi come ai seri (412).

Pericle era stato un vero capo della polis e dell’impero ateniese, ma la figura del capo non poteva più essere individuata nei politici dei piccoli Stati greci, bensì negli uomini che reggevano l’impero romano, particolarmene Scipione (Emiliano) che Panezio propose come modello. Riuniva in sé quelle dignità intima ed esteriore che Panezio stesso perseguiva. Inoltre incarnava l’aijdwv", verecundia, il rispetto per la sensbilità morale ed estetica del prossimo. Per questo a Panezio riscivano sgraditi i Cinici i quali volevano abolire il pudore e offendevano di proposito il decorum (il ; prevpon di Panezio).
L’attività di comando presuppone la disinteressata dedizione al bene collettivo (p. 414).
Panezio scrisse per educare gli aristocratici romani. Voleva indicare alla loro magnanimità l’associarsi di politica e filanqrwpiva. (p. 414)
Cicerone, seguendo Panezio, scrive che lo Stato è coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus (Rep. I, 39), una riunione di gente associata da un accordo sul diritto e dalla comunanza di interessi.
Est igitur res publica res populi.
Non è uno Stato la comunità il cui governo non abbia come scopo l’utilità di tutti il koino;n sumfevron, e non riconosca l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Polibio elogiava la costituzione di Roma dove il popolo aveva il diritto elettorale ma era controllato da magistrati provvisti di poteri monarchici e governato dal senato aristocratico. La mikth; politeiva però gli fu probabilmente indicata da Panezio.
Da Platone, Panezio prese l’idea che ad ogni cittadino vada assegnato il posto in cui può operare nel modo migliore al servizio dell’insieme. La simpatia per il diritto del Romano si associava al sentimento etico dell’Elleno.
Panezio considerava la difesa della proprietà privata il motivo principale che porta a fondare uno Stato. Panezio scriveva nel tempo dei moti graccani che condannava poiché attaccavano la proprietà privata e minavano le basi dell’ordinamento giuridico. Nel Peri; tou' kaqhvkonto" prese posizione contro i Gracchi.
Gaio Blossio di Cuma che con Panezio aveva seguito in Atene le lezioni di Diogene e Antipatro era invece consigliere di Tiberio Gracco. Le condizioni della sua terra campana e l’idea stoica dell’uguaglianza di tutti gli uomini avevano convinto Blossio della necessità di una riforma agraria.

Cfr, Plutarco, Tiberio Gracco, 8, 17, 20)
Plutarco racconta che Tiberio appena eletto dhvmarco", nel 133, si dispose alla realizzazione della riforma agraria spinto dal retore Diofane esule da Mitilene e dal filosofo Blossio che era di Cuma e a Roma avevafrequentato Antipatro di Tarso (8, 6)
Andando in Campidoglio, Tiberio incespicò nel terreno spezzandosi l’unghia di un alluce e perdendo sangue, poi si videro su un tetto a sinistra dei corvi che si azzuffavano (w[fqhsan ujpe;r keravmou macovmenoi kovrake" ejn ajristera'/, 17, 4) e fecero cadere una pietra ai piedi di Tiberio. Questi brutti segni spaventarono perfino i più audaci della sua scorta, ma Blossio di Cuma disse che sarebbe stata aijscuvnhn kai; kathvfeian pollhvn, una grossa vergogna e umiliazione se Tiberio, figlio di Gracco e della figlia dell’Africano, kovraka deivsa" (17, 5) per paura di un corvo, non avesse ascoltato i cittadini che lo chiamavano
Tiberio poi venne ucciso dai reazionari guidati da Scipione Nasica che aveva chiesto un senatus consultum ultimum la cui formula è videant consules ne quid res publica detrimenti capiat, ma il decreto formale non ci fu e Nasica procedette privatus ut si consul esset (Cic. Tusc. IV, 23, 51)

 Il cadavere di Tiberio fu gettato nel fiume con quelli dei seguaci. Venne costituita una sezione speciale del tribunale quaestio extraordinaria per giudicare i suoi seguaci superstiti. L’oratore Diofane fu arrestato e ucciso, Blossio portato davanti ai consoli rispose di avere obbedito a Tiberio. Nasica gli chiese che cosa avrebbe fatto se Nasica gli avesse ordinato ejmprh'sai to; Kapetwvlion (20, 6), di incendiare il Campidoglio. Blossio rispose che mai gliel’avrebbe ordinato, ma, nel caso, l’avrebbe fatto poiché gli ordini di Tiberio erano dati nell’interesse del popolo. Blossio non fu incriminato e andò in Asia presso Aristonico figlio naturale di Eumene II di Pergamo e fratellastro del re lunatico Attalo III che aveva lasciato il regno in eredità al popolo romano. Aristonico lo rivendicò, ma venne sconfitto da Perpenna nel 130.


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