Panezio |
Il bene morale si dentifica con il
bello. L’anima bella e armoniosa si manifesta nelle parole e negli atti
dell’uomo che la possiede. Non condivise il dogma democratico dell’uguaglianza
degli uomini, ma ne notò la naturale differenza (p. 409). L’uomo non porta una
sola maschera provswpon,
persona sulla scena della vita. Una è quella di uomo in generale, una è
quella della disposizione individuale, altre le impongono le circostanze della vita.
Panezio scrisse il Peri; tou' kaqhvkonto" perché servisse alla vita pratica.
Il dovere è la sovranità della ragione sugli istinti.
Il dovere tiene conto anche della
personalità individuale: una persona di un certo rango deve avere p. e. una
lingua scelta e non deve mettersi a correre per la strada (p. 410).
La frovnhsi" è la scienza del retto
operare. La virtù fondamentale è la socialità, come giustizia che dà a ciascuno
il suo e come collaborazione al benessere della comunità.
Una virtù cardinale è la megaloyuciva,
la magnanimità, un atteggiamento di superiorità di fronte alle cose esterne che
non devono determinare il nostro stato d’animo. La magnanimità non deve essere
asservita all’ambizione personale ma rendersi utile all’interesse collettivo.
Servire la comunità avendo posti di comando è un alto dovere morale
La swfrosuvnh, la salute mentale, ci
comunica la coerenza, l’oJmologiva.
Noi siamo contenti quando vediamo
in noi stessi un’opere d’arte con un bello stile, affabilità, garbo, gusto nel
vestire, insomma nella persona il riflesso esterno della sua bellezza interiore. Cfr.
Cicerone Off. I, 93 - 151
Con espressioni simili Plutarco
descrive la compostezza e la coerenza dell’olimpico Pericle.
Di Pericle, Plutarco scrive che si meritò
il soprannome di Olimpio perché mostrava un carattere buono eujmene;"
h\qo" e una vita capace di restare pura e priva di macchie kai; bivon
kaqaro;n kai; ajmivanton, pur nel potere ejn ejxousiva/ (Vita di Pericle, 39,
2). Parlava con un’eloquenza immune da ciarlataneria, con il volto composto che
mai cedeva al riso, la sua andatura era calma, era elegante con semplicità, non
si scomponeva mai (5). Poi era palesemente incorruttibile e superiore al denaro
(15, 3).
Insomma la megaloyuciva, la magnitudo
animi
è una ejpisthvmh
h] e{xi" uJperavnw poiou'sa twn sumbainovntwn koinh'/ fauvloi" te kai;
spudaivoi", è una scienza o una dote che rende superiore alle cose
che capitano agli sciocchi come ai seri (412).
Pericle era stato un vero capo
della polis e dell’impero ateniese, ma la figura del capo non poteva più essere
individuata nei politici dei piccoli Stati greci, bensì negli uomini che
reggevano l’impero romano, particolarmene Scipione (Emiliano) che Panezio
propose come modello. Riuniva in sé quelle dignità intima ed esteriore che
Panezio stesso perseguiva. Inoltre incarnava l’aijdwv", verecundia, il
rispetto per
la sensbilità morale ed estetica del prossimo. Per questo a Panezio riscivano
sgraditi i Cinici i quali volevano abolire il pudore e offendevano di proposito
il decorum (il ; prevpon di Panezio).
L’attività di comando presuppone la
disinteressata dedizione al bene collettivo (p. 414).
Panezio scrisse per educare gli
aristocratici romani. Voleva indicare alla loro magnanimità l’associarsi di
politica e filanqrwpiva.
(p. 414)
Cicerone, seguendo Panezio, scrive
che lo Stato è coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione
sociatus (Rep. I, 39), una riunione di gente associata da un accordo sul
diritto e dalla comunanza di interessi.
Est igitur res publica res populi.
Non è uno Stato la comunità il cui
governo non abbia come scopo l’utilità di tutti il koino;n sumfevron, e non
riconosca l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Polibio elogiava la costituzione di
Roma dove il popolo aveva il diritto elettorale ma era controllato da
magistrati provvisti di poteri monarchici e governato dal senato aristocratico.
La mikth;
politeiva però gli fu probabilmente indicata da Panezio.
Da Platone, Panezio prese l’idea
che ad ogni cittadino vada assegnato il posto in cui può operare nel modo
migliore al servizio dell’insieme. La simpatia per il diritto del Romano si
associava al sentimento etico dell’Elleno.
Panezio considerava la difesa della
proprietà privata il motivo principale che porta a fondare uno Stato. Panezio
scriveva nel tempo dei moti graccani che condannava poiché attaccavano la
proprietà privata e minavano le basi dell’ordinamento giuridico. Nel Peri; tou'
kaqhvkonto" prese posizione contro i Gracchi.
Gaio Blossio di Cuma che con
Panezio aveva seguito in Atene le lezioni di Diogene e Antipatro era invece
consigliere di Tiberio Gracco. Le condizioni della sua terra campana e l’idea
stoica dell’uguaglianza di tutti gli uomini avevano convinto Blossio della
necessità di una riforma agraria.
Cfr, Plutarco, Tiberio Gracco,
8, 17, 20)
Plutarco racconta che Tiberio
appena eletto dhvmarco",
nel 133, si dispose alla realizzazione della riforma agraria spinto dal retore
Diofane esule da Mitilene e dal filosofo Blossio che era di Cuma e a Roma
avevafrequentato Antipatro di Tarso (8, 6)
Andando in Campidoglio, Tiberio
incespicò nel terreno spezzandosi l’unghia di un alluce e perdendo sangue, poi
si videro su un tetto a sinistra dei corvi che si azzuffavano (w[fqhsan ujpe;r
keravmou macovmenoi kovrake" ejn ajristera'/, 17, 4) e fecero
cadere una pietra ai piedi di Tiberio. Questi brutti segni spaventarono perfino
i più audaci della sua scorta, ma Blossio di Cuma disse che sarebbe stata aijscuvnhn kai;
kathvfeian pollhvn, una grossa vergogna e umiliazione se Tiberio, figlio
di Gracco e della figlia dell’Africano, kovraka deivsa" (17, 5) per paura
di un corvo, non avesse ascoltato i cittadini che lo chiamavano
Tiberio poi venne ucciso dai
reazionari guidati da Scipione Nasica che aveva chiesto un senatus consultum
ultimum la cui formula è videant consules ne quid res publica detrimenti
capiat, ma il decreto formale non ci fu e Nasica procedette privatus ut
si consul esset (Cic. Tusc. IV, 23, 51)
Il cadavere di Tiberio fu gettato nel fiume
con quelli dei seguaci. Venne costituita una sezione speciale del tribunale quaestio
extraordinaria per giudicare i suoi seguaci superstiti. L’oratore Diofane
fu arrestato e ucciso, Blossio portato davanti ai consoli rispose di avere
obbedito a Tiberio. Nasica gli chiese che cosa avrebbe fatto se Nasica gli
avesse ordinato ejmprh'sai
to; Kapetwvlion (20, 6), di incendiare il Campidoglio. Blossio rispose
che mai gliel’avrebbe ordinato, ma, nel caso, l’avrebbe fatto poiché gli ordini
di Tiberio erano dati nell’interesse del popolo. Blossio non fu incriminato e
andò in Asia presso Aristonico figlio naturale di Eumene II di Pergamo e
fratellastro del re lunatico Attalo III che aveva lasciato il regno in eredità
al popolo romano. Aristonico lo rivendicò, ma venne sconfitto da Perpenna nel
130.
CONTINUA
Giovanna Tocco
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