NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 1 settembre 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XIII parte

Zenone

Stolti e saggi. L’uomo ideale (p. 309)
Gli Stoici presentano l’aut aut e la separazione fino al paradosso. Solo la virtù è un bene. Gli uomini si dividono in saggi e stolti. Tutte le mancanze sono uguali tra loro pavnta ta; ajmarthvmata i[sa (omnia peccata paria)
L’azione è buona se corrisponde alla legge razionale e a quella morale.
Gli stolti però non sono tutti uguali. Achille non è saggio ma è comunque differente dal vile e dall’imbroglione. L’individuo può conseguire la prokophv, il progresso morale (prokovptw, avanzo) Cfr. Seneca Epist. 75, 8: “qui proficit in numero quidem stultorum est, magno tamen intervallo ab illis diducitur”, chi fa progressi, si conta sì nel numero degli stolti, però è di gran lunga diviso da loro.
Gli stolti sono malati nello spirito poiché non hanno la sanità del logos. Tutto quello che fanno è senza senso e senza scopo siccome non hanno criteri di valutazione. Il saggio è ajpaqhv", non ha passioni. Non ha bisogno di rinunciare alla civiltà come fanno i cinici. Vede in ciò che gli accade la mano della provvidenza e acconsente a lei con letizia. Egli vuole solo ciò che può e può ciò che vuole, quindi non subisce mai degli insuccessi. La sua ricchezza è l’interiorità ed è ricco anche se è avvolto nei cenci: movno" oj sofo;" plouvsio". Non ha bisogno di nulla: è autarchico. E’ bello poiché la sua bellezza interiore si manifesta anche all’esterno. Il suicidio non è escluso se è eu[logo" ejxagwghv, una ragionevole uscita: se avviene quando il logos interno è paralizzato. Zenone si suicidò.
Orazio (Epistole I, 1, 106 - 108)) ironizzò su questo saggio che è bello, sano, ricco e non inferiore a Zeus, tranne quando piglia il raffreddore.
Ad summam, sapiens uno minor est Iove, dives,/liber, honoratus, pulcher, rex denique regum;/praecipue sanus, nisi cum pituīta molesta est”, insomma il sapiente è inferiore solo a Giove, ricco, libero, onorato, bello, re dei re addirittura, soprattutto sani, a meno che ci sia un fastidioso catarro.
 Il saggio è l’esempio assoluto, è il logos fatto uomo. Sulla forza dell’esempio cfr. Seneca Epist. 6, 6.
Platon et Aristoteles et omnis in diversum itura sapientium turba plus ex moribus quam exverbis Socratis traxit”, Platone e Aristotele e tutta la moltitudine dei filosofi che avrebbe preso direzioni diverse, prese più dai costumi che dalle parole di Socrate

La nuova visione del mondo p. 319
Cratete, l’apostolo di Diogene, fu il maestro di Zenone. Socrate era il capostipite spirituale degli Stoici. Zenone però era uno dei figli della terra che ammetteva come esistente solo il corporeo (cfr. Platone Sofista, 247c)
Tuttavia lo spirito doveva avere la preminenza. Tutto quanto è spirituale rientra nel logos. Già per l’oscuro Eraclito il logos era il concetto centrale. Nel cosmo e nell’uomo regna la medesima legge razionale. Anche il logos era connesso alla materia, la materia più pura: il fuoco. La sua concezione materialistica unisce spirito e materia. Eraclito si esprime per aforismi che gli sciocchi non possono comprendere, mentre Zenone costruisce un sistema filosofico con il quale vuole educare l’umanità. La logica stoica attribuisce importanza alla matematica e all’espressione linguistica.
F
Gli stoici introdussero nell’etica il concetto di dovere che non le sarebbe stato più dissociato. Zenone presupponeva in ogni individuo la predisposizione al bene
Zenone scelse come suo successore Cleante che era un Elleno ricco di sensibilità artistica e attribuiva valore alla forma poetica. Zenone attribuì a tutti gli astri un carattere divino, mentre Cleante vide nel Sole l’hJgemonikovn del mondo, la sua facoltà direttrice, la sorgente di quel calore che trovava anche nel suo corpo. Il sole è Helios - Apollo che desta l’armonia delle stagioni e dei suoni; conferisce il tono, l’energia psichica agli esseri razionali. Helios è il sovrano di questo mondo ma sopra lui c’è Zeus che può chiamarsi fuvsi", eiJmarmevnh, provnoia, logo". Gli elementi sono ordinati nella natura e al momento della conflagrazione si dissolvono gioiosamente in lei. Cleante definiva se stesso il somaro che portava avanti il grave fardello della filosofia zenoniana
Lo ionico Aristone proclamò l’assoluta ajdiaforiva delle cose esterne
Crisippo respinse la ajdiaforiva di Aristone poiché voleva che la filosofia stoica fosse un’arte del vivere. Volle essere l’apostolo di Zenone. Erano entrambi semiti. Ma ellenica negli Stoici è l’idea dell’autonomia dell’individuo. Tuttavia la rigida teoria dell’eiJmarmevnh si accorda meglio con il fatalismo degli Arabi che con la libertà greca
 Cfr. quanto dice Zeus nel I canto dell’Odissea: Egisto andò contro l’avvertimento di Ermes e contro il destino (uJpe;r movron, v. 35) seducendo Clitennestra e uccidendo Agamennone.
 Anche l’antropocentrismo per cui piante e animali sono stati creati in funzione dell’uomo è estraneo allo spirito della grecità più antica. Al tu puoi greco, si associa il tu devi. La vita istintiva risulta soffocata rispetto alla visione ellenica. L’anima semitica si vede nell’assenza degli half - tones, nel nothing beyween love or hate.
 La fine della polis fece proclamare a Epicuro un individualismo etico che ebbe successo.
Al materialismo che vedeva nello spirito un prodotto della materia, Zenone oppose il monismo che legava lo spirito alla materia ma gli assicurava il dominio su di essa.
Zenone salvò la concezione ellenica che l’uomo diventa uomo solo in seno alla comunità, estesa però oltre la polis, a tutti gli esseri razionali. Gli Stoici volevano guidare gli uomini nella vita.

La difesa del sistema. Successi e opposizioni (p.335)
Eratostene si definiva filologo ma prese dagli Stoici l’idea che il criterio di valore per l’uomo non è la sua appartenenza etnica ma la sua personale valentia
Il medico Erasistrato prese dagli Stoici la provnoia, come la cura che la natura ha degli esseri viventi.
Árato di Soli (in Cilicia) fu ad Atene membro della Stoà, poi nel 276 si recò in Macedonia da re Antigono. I suoi Fenomeni vollero essere una guida per la vita. La bellezza e la regolarità degli astri evocano la divinità. Come Cleante, Arato rende omaggio a Zeus che chiama gli uomini, la sua stirpe, al lavoro. Arato andò dal re Antigono con Perseo e Filonide, mandati da Zenone. Antigono operò sempre perché il suo regno fosse una e[ndoxo" douleiva. Lo stoico Sfero collaborò con Cleomene III per risvegliare a Sparta lo spirito di Licurgo. Polibio adopera il concetto di katavlhyi" di Zenone e aderisce ai suoi princìpi basilari (VI, 26)
La Stoà ha il merito di avere suggerito all’uomo responsabilità morali e politiche, I cinici furono vicini agli Stoici che li assorbirono. La Stoà trovò un alleato nell’astrologia
Lo scettico Timone (di Fliunte) in una descrizione satirica dell’oltretomba faceva ironia sull’avida vecchia fenicia (cfr. l’origine semitica di Zenone) che voleva tutto per sé, ma con la sua nassa prendeva solo pesci piccoli e stupido com’era, raccoglieva intorno a sé solo studenti miserabili.
 Epicuro vedeva nel mondo un prodotto del caso. Il mondo non può essere prodotto di una natura divina natura tantā stat praedita culpā (V, 199) la natura è fornita di tanti difetti. (p 343).
 In polemica con l’antropocentismo stoico, negli epicurei la natura è indifferente o addirittura matrigna dei viventi, come sarà nel Leopardi
Dove è raffigurata come”una forma smisurata di donna seduta in terra (…) di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi”. L’islandese la accusa di essere “nemica scoperta degli uomini e degli altri animali”, ma la Natura gli risponde: “Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo: il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimenti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento” (Dialogo della Natura e di un islandese). In fondo non è del tutto assente una forma di provvidenza o previdenza da queste parole.
Epicuro in una monografia si ribellò anche contro la eiJmarmevnh che offendeva il sentimento greco della libertà. Per quanto riguarda l’etica Epicuro sosteneva che i discorsi sulla virtù sono chiacchiere e fumo se la virtù non porta alcun vantaggio né piacere.
 Del resto già Isocrate nel Panatenaico (30 - 32) aveva scritto che l’uomo deve dominare le passioni e sopportare virilmente i colpi della sorte. Teofrasto scrisse un Peri; paqw'n, dove difendeva l’ira come uno sprone ad agire fortemente. I Peripatetici sostenevano che non si devono estirpare le passioni ma tenerle nel giusto mezzo.
 Cfr. Seneca De ira I, 5 - 17 e Cicerone Tusc. IV, 38 - 57.
L’accademico Arcesilao e poi tutta l’Accademia lottarono contro il dogmatismo
Arcesilao fu colui che iniziò l'indirizzo scettico all'interno dell'Accademia platonica, di cui divenne scolarca attorno al 265 a.C.
Carneade sulla metà del II secolo sviluppò la critica in maniera metodica.
Carneade di Cirene (214–129 a.C.) viene considerato come il fondatore della terza Accademia di Atene (nota anche come Nuova Accademia).
Nel 155 a.C. Carneade fece parte, con Critolao e Diogene di Babilonia, della celebre ambasceria inviata a Roma dagli Ateniesi multati per aver saccheggiato Oropo; qui riscosse successo argomentando, in due giorni successivi, a favore e contro l'esistenza di una legge naturale universalmente valida. Le sue argomentazioni scettiche sulla giustizia scandalizzarono e sconvolsero gli ambienti della cultura conservatrice di Roma: egli affermava che se i Romani avessero voluto essere giusti avrebbero dovuto restituire i loro possessi agli altri e andarsene, ma in tal caso sarebbero stati stolti. In questo modo arrivò alla conclusione che saggezza e giustizia non andassero d'accordo.
«ed espose tale tesi: tutti i popoli dominatori, innanzitutto i Romani capi del mondo, se avessero voluto essere giusti con il rendere le altrui proprietà, avrebbero dovuto ritornare come poveri alla vita nelle capanne » Cicerone, De re publica, 3,21)
Fu uno scettico radicale e il primo filosofo a sostenere il fallimento dei metafisici che volevano scoprire un significato razionale nelle credenze religiose. Criticò lo stoicismo ad Atene e divenne scolarca dell'Accademia platonica attorno al 265 a.C.
Carneade parlava anche contro la provvidenza, la mantica e l’astrologia
Nelle conferenze che tenne a Roma nel 155 sostenne che non esiste un diritto di natura uguale per tutti. Il diritto positivo si basa su convenzioni umane e su considerazioni utilitaristiche.
Comunque gli Stoici, i Platonici e i Peripatetici erano uniti contro l’edonismo di Epicuro.

Nel 155 gli Ateniesi furono condannati a pagare una multa per avere saccheggiato Oropo. Allora mandarono a Roma, la capitale del mondo avida di cultura, i filosofi più ragguardevoli scelti dall’Accademia (Carneade), dal Peripato (Critolao) e dalla Stoà (Diogene di Seleucia sul Tigri). Non invitarono gli Epicurei il cui materialismo egoistico alieno dallo stato era incompatibile con la res publica.


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