Combattimento tra Greci e barbari |
La comunità umana.
Legge razionale e dovere. La moralità nella vita quotidiana
Le leggi umane si nutrono di quella divina, aveva già detto
Eraclito.
Al posto della polis subentra la cosmopoli universale la
quale ha bisogno di un novmo" che la tenga insieme. Questo è il diritto
naturale. Ciò che è necessario (ta; devonta) viene dalla legge morale che è pure razionale.
E’ conforme alla nostra natura di uomini anche la buona creanza e ogni sgarbo
secondo Panezio è una mancanza contro il kaqh'kon, il dovere (cfr. Cic. Off.
I 126 ss.).
Cicerone raccomanda la verecundia della quale la
stessa natura è stata specialmente maestra e guida (praesertim natura ipsa
magistra et duce”, lasciando nascoste, per esempio, le parti del corpo che
non sono specie honesta, di apparenza decente.
I romani identificarono il kaqh'kon con il loro officium.
Gli Stoici non suddividono gli uomini in Greci e barbari.
Aristotele considerava ancora il barbaro spiritualmente inferiore e destinato
da natura alla schiavitù.
Per gli Stoici schiavo è solo colui che si fa servo dei suoi
appetiti, libero è chi conserva la propria autonomia interiore.
Già Alcidamante (fr. 1) nel 366 aveva scritto ejleuqevrou"
ajfh'ke pavnta" qeov": oujdevna dou'lon hJ fuvsin pepoivhken
riferendosi alla guerra dei Messeni contro Sparta nel Messeniaco. Cfr.
la polemica con Isocrate.
La massina a[nqrwpo" ejk fuvsew" dou'lo" oujdeiv"
raggiunse la sua efficacia con la Stoà. Tuttavia questi filosofi non pensarono
di abolire anche giuridicamente la schiavitù (cfr. Ep. 47 di Seneca).
Epitteto che era nato schiavo voleva che in ogni schiavo
vedessimo un fratello. Contro l’egoismo predicato da Epicuro possiamo vedere l’Heautontimoroumenos
di Menandro con il v. 77 di Terenzio homo sum: humani nil a me alienum puto.
Quell’alienum (ajllovtrion), estraneo, è l’antitesi di oijkei'on, familiare.
E’ stata la Stoà a superare la chiusura nazionalistica dei
Greci.
Contro i Pitagorici, dalla comunità degli esseri razionali
sono invece esclusi gli animali e gli uomini non hanno obblighi giuridici o
morali nei confronti delle bestie. La cosmopoli comprende uomini e dèì. La
parola cosmopolita fu coniata da Diogene il cane.
Zenone scrisse una politeia con il quadro di una
società ideale che sarebbe esistita in un’età promitiva. Gli uomini vivevano
d’accordo guidati dall’unica legge razionale senza leggi scritte né matrimoni
né proprietà privata né monete, né tribunali. Uomini e donne uguali, vestiti
uguali. Il protettore era Eros che teneva tutti uniti nella concordia,
nell’amore, nella libertà.
Di Crisippo gli avversari dicono che avesse giustificato il
matrimonio di Edipo con la madre negando il male dell’incesto (cfr. Freud).
Le opinioni convenzionali non hanno sempre la loro ragion
d’essere nella natura. Anche a proposito della sepoltura, gli Stoici negavano
che il cadavere fosse il morto stesso. Per quanto riguarda il cannibalismo, a
volte è l’unico modo per salvare la vita. I rapporti omoseesuali per Zenone e
Crisippo erano un ajdiavforon.
L’incesto tra un padre e una figlia può giustificarsi se i due devono
conservare la specie essendo rimasti solo loro (cfr. Lot e le figlie).
Zenone, come Socrate. dava grande importanza al legame
affettivo con gli allievi. Ma senza attrazione sessuale.
Panezio rifiutò la politeia di Zenone e si scagliò contro
ogni atteggiamento ispirato al cinismo. Panezio considerava lacostituzione
mista come la più giusta e conveniente. Antigono Gonata e Sfero, consigliere di
Cleomene III, furono discepoli di Zenone. Propugnavano un tenore di vita
semplice: proverbiali furono il piatto di lenticchie di Zenone e la sua vita
ascetica. Crisippo trovava giusto che il maestro venisse pagato dagli allievi.
Il matrimonio e l’educazione dei figli lo consideravano un dovere, l’adulterio
un delitto contro la collettività. Le donne frequentavano piùttosto le lezioni
di Epicuro che quelle di Zenone.
Le filosofie di origine anche solo in parte semitica hanno
qualcosa di troppo difficile da attuare (cfr. il cristianesimo del vangelo, il
marxismo, e Il castello di Barbablù di Gerorge Steiner.)
Gli Stoici diedero grande importanza all’educazione dei
bambini e dei fanciulli cui si deve insegnare un senso di responsabilità.
L’amicizia deve comprendere la cavri", la cortesia.
Cleante scrisse un Peri; cavrito". L’amicizia quale comunione spirituale è
possibile solo tra i saggi. hJ filiva sumfwniva kai; oJmovnoia.
L’amicizia vera è del tutto disinteressata: la relazione
determinata dall’utile”negotiatio est, non amicitia” (Seneca, Ep.
9 - 10), è uno scambio commerciale, non amicizia.
Le malattie
dell’anima e la loro cura 284
pavqo" è ogni processo psichico provocato dall’esterno.
Può essere anche una alterazione negativa e noi possiamo rimanere “affetti”
dalle cose. Epicuro chiamava taracaiv i turbamenti psichici
Per Zenone le affezioni rappresentano un grave pericolo
contro l’autodeterminazione del logos. L’istino che eccede la misura pleonavzousa
oJrmhv si trasforma nel pavqo" dove il logo" rinuncia alla sua libertà. Ne
consegue un movimento sfrenato dell’anima che Zenone paragona al volo convulso
di un uccello in preda allo spavento (ptoiva, ptoevw, io spavento).
L’anima è materiale e noi proviamo dolore nell’anima anche
per un’offesa recata al corpo. Crisippo pensa che il pathos sia un logos
sfrenato in seguito a un giudizio perverso.
Cfr. l’Estetica di Hegel: il pathos come elmento
della ragione nella tragedia.
L’ira, il timore e simili emozioni sono giudizi cattivi.
Seneca considera l’ira una specie di pazzia, sia pure di
breve durata,
L’eccitazione passionale è un uscire fuori da se stessi, un’e[kstasi"
(ejxivstamai). L’affezione è allontanamento da logos. Questo
allontanamento può essere una decisione cosciente, come nella Medea di
Euripide:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de;
kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n
brotoi'"" (vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per
compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei
mali più grandi per i mortali", dice la madre furente nel quinto episodio
dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
Il pathos per Zenone è un movimento innaturale dell’anima.
Il logos si altera. La vera causa del pathos è l’a[gnoia, l’ignoranza del destino
dell’uomo. Allora interviene l’ajkolasiva, la sfrenatezza che Cicerone traduce intemperantia.
Questa è dovuta alla ajtoniva, la mancanza di tensione del pneu'ma psichico. Allora
cediamo al pathos. Un particolare grado di debolezza è l’ajrrwvsthma,
l’ illanguidimento (cfr.a[rrwsto", debole, formato con l’aj - privativo e rJwvnnumi,
“rendo forte”).
Quattro sono le affezioni fondamentali: hjdonhv, il
piacere; luvph,
il dolore (povno"
invece è quello fisico); ejpiqumiva, il desiderio; fovbo", la paura. Secondo Zenone il
dolore di un uomo è l’ancor fresca opinione che un male lo opprima nel presente dovxa provsfato"
tou' kakou' auJtw'/ parei'nai.
Il dolore secondo Crisippo dà un restringimento (sustolhv) o
rimpicciolimento meivwsi"
del pneuma,
mentre il piacere è un sollevamento e[parsi" (ejpaivrw), e il timore uno
scansare e[kklisi".
L’o[rexi" è
un tendere. Le affezioni sono tutte da condannare in quanto dipendono dalla debolezza
del logos. Crisippo combatte i Peripatetici i quali consideravano le affezioni
tenute nei giusti limiti un aiuto per la ragione. Crisippo replica che il
pathos non tollera limiti e che le affezioni sono malattie del logos. Vanno
estirpate.
Cfr. il De ira di Seneca: se l’ira è sotto controolo
e può essere usata contro i nemici, in modo funzionale alla vittoria degli
irati, non è ira.
Crisippo scrisse a questo proposito uno therapeutikòs
approvato anche da un avversario come Galeno (130 - 200). Si deve tenere
presente l’inutilità del dolore e che l’apparente grandezza del male dipende da
una valutazione soggettiva. La profilassi è essere sempre preparati ai
cambiamenti della sorte. Poi essere convinti che fuori dalla sfera morale non
esiste alcun bene né alcun male. Dunque bisogna giungere alla apatia, la
libertà dalle affezioni. Del resto esistono anche sentimenti legittimi e buoni eujpavqeiai.
La gioia carav
invece dell’hjdonhv.
Gioia è il razionale sollevarsi dell’anima.
Poi bouvlhsi" il desiderio conforme a ragione invece
dell’appetito, la precauzione e[kklisi", scansare ragionevolmente il pericolo, invece
della paura, l’aijdwv",
la vergogna che si prova per un giusto rimprovero, mentre è da
condannare l’aijscuvnh,
la paura della cattiva fama. La compassione non deve turbarci ma spingerci ad
aiutare il prossimo. L’apatia stoica non comporta la rinuncia all’attività ma
contiene un disprezzo per il corpo e la vita dei sensi che darà fastidio a
molti Greci.
CONTINUA
Giovanna Tocco
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