NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 11 agosto 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. VI parte

Victor Ehrenberg

La teoria della conoscenza
L’idealistico volo del pensiero presentato da Platone non si confaceva al modo di sentire positivo dell’età ellenistica, orientata verso la realtà concreta, tipicamente greco.
Secondo Nietzsche, Socrate Platone sono antigreci.
Non esiste conoscenza del mondo che non parta dalla percezione sensibile
Zenone presenta una teoria della conoscenza che è sensistica. Alla percezione sensibile però deve associarsi il logos. L’immagine dell’oggetto colpisce la nostra retina. L’aijsqhsi" la percezione però acquista valore anche mentale quando il pneu'ma che circola negli organi di senso la trasmette al to; hJgemonikovn, la facolta direttrice dell’anima. Allora la percezione diventa fantasiva e l’immagine percettiva, la rappresentazione, una volta accolta nella coscienza prende luce (gli Stoici favevano derivare fantasiva da fw'" invece che da fantavzw, rendo visibile e da faivnw, faccio vedere) e si appalesa all’ hJgemonikovn. Zenone definisce la fantasiva come l’impronta lasciata nella parte direttiva dell’anima tuvpwsi" ejn h;gemonikw'/.
L’anima pneu'ma è di natura corporea.
La fantasiva dunque come hJ aijsqhsi" è un pavqo" . Allora il lovgo" deve dare l’assenso (sugkatavqesi" - sugkatativqhmi, depongo insieme p. e. th;n yh'fon, il voto) e la fantasiva diviene efficace in rapporto al conoscere e all’agire. La rappresentazione rimane fissata nella memoria e può riaffiorare nel sogno o nel delirio come immaginazione (favntasma), come quando Oreste vede la madre uccisa e le Erinni nell’Orestea.

La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste già nelle Coefore, quando l'assassino della madre le vede uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd j, ejgw; d ‘ oJrw' ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv
La memoria è un qhsaurismo;" fantasiw'n, un accumulo di rappresentazioni. Anche l’animale ha le rappresentazioni, ma solo l’uomo sa rielaborarle logicamente. L’uomo sa anche formare l’e[nnoia, il concetto universale che in natura non esiste e diviene ejnnovhma, oggetto di pensiero. Già nel bambino si formano concetti universali, prima come prolhvyei", anticipazioni le quali ai sette anni già formano una scorta. L’istruzione e l’esperienza conferiscono chiarezza alle anticipazioni. Le koinai; e[nnoiai, le communes notitiae presenti in tutti non corrono il rischio della soggettività. Anche le fantasie che non hanno riscontro nella realtà, come i Centauri, partono dalle rappresentazioni. I centauri derivano da una composizione mentale di cose viste.

E i concetti morali?
Ognuno di noi ha fin dalla nascita la una percezione di se stesso (sunaivsqhsi"). Questa ci dà un certo compiacimento e proviamo un sentimento di attrazione (oijkeivwsi", inclinazione). L’essere vivente cerca per natura quello che favorisce la propria esistenza ed evita il contrario
(Se è sano, mentre se è malsano è sempre inclinato verso il male ndr).
Quindi valuta le cose esterne come utili o dannose. Le prime cose secondo natura ta; prw'ta kata; fuvsin costituiscono il primo valore per l’essere vivente
Agostino nel De libero arbitrio (II 7 ss.) scrive che c’è un “sensus oculis e uno intus in ipsa anima, quo vel appĕtunt animalia delectata et assūmunt vel offensa devītant et respŭunt” - Anche l’animale ha l’istinto di conservazione, ma l’uomo procede oltre.
La provlhyi" del bambino si precisa e chiarisce con la consapevolezza che veramente buono e bene è solo ciò che giova alla natura razionale dell’uomo e lo aiuta a raggiungere il pieno sviluppo. Il logos che si potenzia non è solo un vantaggio ma è il kalovn, il bene morale.
Seneca tratta questo problema nell’Ep. 120 e Cicerone nel De finibus III, 33.
Cfr. i versi 368 - 375 del I stasimo dell’Antigone di Sofocle:
"E le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città; bandito dalla città è quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale, per la sfrontatezza./Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno che ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" - novmou" ... cqono;": l'uomo deve agire unendo (pareivrwn) le leggi della terra e la giustizia giurata (oJvrko" è il giuramento) degli dèi. Qualche cosa di simile è espresso dal ius (la legge degli uomini) e il fas (la norma sacra agli dèi) dei Romani. Tra questi termini non vi è contraddizione se non nell'apparenza, sotto la quale c'è un'armonia invisibile che, come dice Eraclito è più forte della visibile (aJrmonivh ajfanh;" fanerh'" kreivsswn, fr. 27 Diano), ma l'uomo pio deve scoprirla. L'uomo empio invece crea contraddizione tra l'umano terreno e il celeste divino i quali fanno parte di un unico ordine. "Sussiste per lo meno la possibilità di intendere i novmoi cqonov"[1] novmo"[2] - uJyivpoli": è degno di trovarsi ai vertici della città chi vede l'unità tra le leggi e le cose dell'universo in quanto la natura è tutta imparentata con se stessa, come dice Platone ("aJvte ga;r th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh"", Menone, 81d.) - a[poli": in forte contrapposizione con il termine che lo precede, il bandito dalla città è quello con il quale coesiste (oJvtw/... xuvnesti) to; mh; kalo;n, il brutto morale che è una formula generica per indicare quanto è riprovevole dal punto di vista etico ed estetico nello stesso tempo. In Tucidide II 60 Pericle si proclama "filovpoliv" te kai; crhmavtwn kreivsswn", amante della città e superiore al denaro.
 Qui i due termini contrapposti potrebbero riferirsi al tiranno:"Il coro, personaggio del dramma e non certo "spettatore ideale", si trova in una posizione di attesa e di incertezza e prospetta l'idea che dal comportamento di Creonte possano scaturire esiti differenti, idea espressa attraverso l'efficace antinomia "alto nella città"/"fuori dalla città" (uJyivpoloi"/a[poli")": un esito positivo ed uno negativo rispetto alla realtà della polis"[3].

Sentiamo ancora Ehrenberg: "Anche se la morte non può essere vinta, non per questo la grandezza dell'uomo risulta pregiudicata. Il pericolo sta piuttosto nel fatto che l'uomo, divenuto norma di sé medesimo, non possiede, nonostante la propria deinovth" e la propria maestria inventiva (v. 365), norme etiche stabili, in base alle quali possa decidere caso per caso. "Ora inclina al male, ora al bene". Solo colui che osserva "la legge della patria, il diritto degli dei consacrato dal giuramento" (o li tiene in onore), è altamente onorato nello Stato, mentre "è privo di patria colui che con sfida temeraria indulge al male". Ancora manca all'uomo ciò che Protagora chiama hJ politikh; tevcnh, l'arte di vivere nella comunità della polis, che è frutto della reverenza e della giustizia, di aijdwv" e di divkh... Io ritengo che qualsiasi interpretazione debba fondarsi sulla esegesi del passo novmou"...cqono;" qew'n t& e[norkon divkan e delle parole uJyivpoli" e a[poli", tra loro contrapposte...Appare evidente a prima vista che "il diritto degli dèi consacrato dal giuramento" non è altro che la legge divina, di cui già abbiamo ampiamente parlato, e che più tardi ricompare nel dramma (v. 450) contrapponendosi a quelle leggi che non furono emanate da Zeus e da "Dike che tiene dimora presso gli dèi Inferi"[4] - tovlma" cavrin: questa sfrontatezza non trattiene l'uomo al di qua del limite che non deve essere superato per quel senso della misura che è caratteristico dell'uomo greco. In Edipo re (v. 125) tovlmh è l'audacia del predone che uccise Laio, ossia quella di Edipo stesso. Nel commento di Heidegger tovlma è "il rischio" nel quale "sta costantemente il violentante, il creatore, il quale avanza nell'inespresso e irrompe nel non pensato, e che a forza ottiene il non - accaduto e fa apparire il non - veduto. Nell'arrischiarsi a dominare l'essere, deve altresì abbandonarsi al flusso del non - essente, mh; kalovn, alla distruzione, all'instabilità, all'indocilità, al disordine" (Introduzione alla metafisica, p. 168).


CONTINUA 



[1] V. Ehrenberg, Sofocle e Pericle op. cit., p. 92.
[2] A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000, p. 95.
[3] G. Ugolini, Sofocle e Atene, p. 127.
[4] Sofocle e Pericle, pp. 91 - 92.

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