Lucrezio scrive di un’origine ferina degli uomini, mentre
gli Stoici credono che in origine gli uomini fossero più vicini all’origine
divina.
Gli Stoici diedero importanza all’etimologia,
il vero (e[tumo")
significato delle parole.In origine i nomi riflettevano i veri significati:
maschili i nomi di entità attive come il cielo, femminili quelli di cose
ricettive come la terra, (la quale però è anche produttiva ndr). Poi l’uso
linguistico (sunhvqeia)
ha dimenticato tale principio e ha introdotto il neutro (paidivon). Tebe è una ma è
plurale, al pari di Atene.
Verbi come mavcesqai, hanno forma passiva e
significato attivo.
Crisippo trattò questo problema in un
trattato sull’anomalia, dimostrando che a volte concetti simili vengono
espressi con parole differenti. Gli Stoici difendevano l’anomalia contro
l’analogia degli Alessandrini. Ma spesso questi antichi linguisti cadevano
nella arbitrarietà, come quando spiegavano il nome di Hera con ajhvr, aria.
Zenone, seguendo in questo Aristotele,
distinse le sette vocali fwnhventa
a e h i o u w
e le sei consonanti mute (a[fwna
b g d p k t).
Le sillabe costituiscono il raggruppamento
(cfr. sullambavnw,
raggruppo) di suoni più semplice.
Il logos è una voce significante proveniente
dal pensiero.
Il nome e il verbo sono i due pilastri
dell’edificio linguistico
Zenone si attenne alle parti del discorso già
indicate da Platone (Sofista, 262) e
Aristotele (Poetica): o[noma è il nome (nel Sofista di Platone il soggetto); rJh'ma è il verbo (nel Sofista); a[rqra, articolazioni, articolo e pronome
dimostrativo; sundesmoiv
sono le congiunzioni.
Per Crisippo, o[noma è il nome proprio, proshgoriva il nome comune.
Gli Stoici hanno creato quella terminologia
che con la mediazione della latinità si è imposta all’Occidente.
Nella categoria del nome inclusero
l’aggettivo to;
ejpivqeton (l’aggiunto) che in greco diventa nome se gli si prepone
l’articolo. p. 73.
Tra gli a[rqra,
oltre l’articolo, inclusero i pronomi, tra i sundesmoiv,
misero anche le preposizioni (proqetikoi;
sundesmoiv, proqevsei"), comunque meno importanti delle
congiunzioni che nei sillogismi sono
il contrassegno formale del rapporto logico.
Voglio ricordare che se la congiunzione serve al logos,
l’asindeto invece è funzionale al pavqo~
secondo l’Anonimo Sul sublime: “to; pavqo~ uJpo; tw`n sundevsmwn kai; tw`n a[llwn
prosqhvkwn ajganaktei`: th;n ga;r ejleuqerivan ajpolluvei tou` drovmou”
(21), il pathos rifiuta di essere inceppato dalle congiunzioni e dalle altre
aggiunte: infatti perde la libertà del suo slancio.
L’avverbio ejpivrrhma
raccoglie il materiale che non può essere classificato altrove.
L’a[rqron l’articolo,
è stoicei'on lovgou ptwtikovn, diorivzon
ta; gevnh tw'n ojnomavtwn kai; tou;" ajriqmouv", è l’elemento del discorso declinabile che distingue i
generi dei nomi e i numeri.
Tali sono anche i pronomi che però sono Jorismevna determinati e indicano sempre
singoli oggetti concreti, mentre l’articolo è ajoristwvdh,
meno definito.
Zenone creò anche la teoria della declinazione, pur se il
termine ptw'si", flessione,
(lat. casus) si trova già in Aristotele ma solo come variazione in
generale (p. e. comparativo). Zenone lo circoscrisse al nome. Crisippo scrisse
un libro sui cinque casi Peri; tw'n pevnte
ptwvsewn. Zenone contrappose la ptw'si"
ojrqhv, il caso retto (lat. casus rectus) che verrà chiamato nominativo
dai casi obliqui ( ptwvsei" plavgiai).
hJ ptw'si" significa
“caduta”, come casus-us poiché in magister
docet discipulum, magister ha la
sua forma normale, naturale, e il nome si mantiene dritto, mentre discipulum viene piegato dal verbo
reggente p. 76.
Il vocativo è klhtikhv,
il dativo dotikhv, per la sua
associazione con i verbi del dare. L’accusativo aijtiatikhv
che i romani resero con accusativo per una bizzarro equivoco con aijtia'sqai, nel senso di accusare.
Invero aijtiatikhv vuole
indicare un rapporto di causa (aijtiva)
effetto tra il verbo e il nome p. 76
Anche il genitivo dei Romani (genetivus, di nascita) è frutto di un errore. Genikhv infatti si riferisce non a una
origine ma al genere, indica il caso generale, il caso nella sua funzione più
universale in quanto si unisce senza limitazioni con tutte le classi dei
vocaboli, mentre l’accusativo, a parte casi speciali (acc. Di relazione) vuole
il verbo; il dativo il verbo o l’aggettivo
L’attivo e il passivo sono concepiti come diatesi “disposizioni”
del verbo.
ojrqa; kathgorhvmata
sono le diatesi attive, u{ptia le
passive. Non colsero la natura del medio.
Gli Stoici distinsero i tempi determinati crovnoi wJrismevnoi, dai crovnoi ajovristoi, indeteminati.
I determinati sono distinti in durativi (paratatikoiv-parateivnw, che si estende) e compiuti (suntelikoiv).
Durativo nel presente è il presente ejnestwv" nel passato l’imperfetto (parw/chmevno" - da paroivcomai - sono passato).
Compiuto nel presente è il perfetto: ejnestw;" suntelikov", presente compiuto.
Compiuto nel passato è il piuccheperfetto parw/chmevno" suntelikov"
I Tempi indeterminati
Nel futuro il mevllwn
ajovristo", futuro
Nel passato il parw/chmevno"
ajovristo", l’aoristo.
Il principio classificatore è l’aspetto dell’azione.
Aristotele nella Poetica
(20) aveva invece sostenuto che le forme verbali indicano dei momenti nel
tempo.
Gli stoici sono influenzati dalle lingue semitiche dove le
forme fondamentali del verbo indicano il carattere perfettivo o durativo
dell’azione.
Durativo: “io scrivo”, e non ho ancora finito, l’azione si
estende e unisce passato a futuro. Il tempo è una corrente che ci trasporta con
moto uniforme e noi esperimentiamo la durata. Sentiamo la cesura quando un
processo è arrivato alla sua conclusione.
Gli Stoici dunque sono stati i fondatori della grammatica.
CONTINUA
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