Dionisio Trace (Διονύσιος Θρᾷξ, Dionýsios Thrâx; floruit
144 a.C.
circa; Alessandria d'Egitto, 170 a.C. circa – Rodi, 90 a.C. circa) è
stato un filologo
e grammatico.
Dionisio era alessandrino di origine e fu detto trace solo
perché il nome del padre era ritenuto di origine trace. Nacque intorno al 166
a.C. e, ad appena ventidue anni divenne allievo di Aristarco di Samotracia.
La Techne grammatike (Τέχνη
Γραμματική) tramandata sotto il nome di Dionisio Trace è la più antica
opera greca pervenutaci di contenuto grammaticale. Sin dall'antichità molti
studiosi hanno dubitato della sua attribuzione a Dionisio, che ha però trovato
anche autorevoli sostenitori.
Dopo un'introduzione dedicata alla definizione della grammatica, alla lettura, agli accenti, all'interpunzione e a digressioni, probabilmente frutto di interpolazioni, l'opera contiene un'esposizione tecnica della grammatica, nella quale si esaminano le lettere dell'alfabeto (divise in vocali, dittonghi e consonanti), le sillabe
Dopo un'introduzione dedicata alla definizione della grammatica, alla lettura, agli accenti, all'interpunzione e a digressioni, probabilmente frutto di interpolazioni, l'opera contiene un'esposizione tecnica della grammatica, nella quale si esaminano le lettere dell'alfabeto (divise in vocali, dittonghi e consonanti), le sillabe
Dionisio Trace scrive che le parti del discorso sono otto (tou' de; lovgou
mevrh ejsti;n ojktwv: o[noma (nome); rh'ma (verbo); metochv (paticipio- metevcw
partecipo); a[rqron
aticolo; ajntwnumiva,
pronome; provqesi"
preposizione; ejpivrrhma,
avverbio; sundesmov",
congiunzione.
Il pilastro della proposizione è il predicato (kategovrhma),
inclusa l’unione della copula con il nome. Il predicato senza il soggetto è
però un lekto;n
ejllipev",
un enunciato incompleto, mentre soggetto e predicato è un lekto;n
aujtotelev", una proposizione completa
Se manca l’oggetto, abbiamo un predicato minore e[latton
kathgovrhma.
Dal punto di vista filosofico gli Stoici ritennero importante
(ajxiwvma),
la proposizione giudicativa che pretende alla validità obbiettiva.
Il sillogismo
deduttivo categorico di Aristotele premetteva un concetto ristretto
(Socrate è ateniese), poi metteva un termine medio (gli Ateniesi sono Greci)
poi inseriva la premessa nella categoria più ampia (dunque Socrate è greco).
Teofrasto e Eudemo presero in considerazione anche i sillogismi categorici.
Crisippo pose
altre basi al sillogismo.
Se è vero A è vero B
Ma A è vero
Dunque anche B è vero
La premessa maggiore (lh'mma) contiene un’assunzione ipotetica
o disgiuntiva, (o è vero A o è vero B); premessa la minore (provlhyi"),
aggiunge una constatazione fattuale in forma categorica e la conclusione (ejpiforav) trae
l’inferenza. Il sillogismo non è valido, è inconcludente (ajpevranto")
se fra le tre proposizioni non esiste nesso di causalità.
La dialettica si
poneva il compito di eliminare i paralogismi. Crisippo scrisse centinaia di
opere logiche (Diogene Laerzio ne menziona 311) e spesso cadeva nella
sottigliezza e nel sofisma, un tratto ereditario della sua razza.
La retorica fu eclissata dalla dialettica poiché nelle
monarchie ellenistiche
L’arte oratoria aveva perduto molto della sua importanza.
Come a Roma dopo la fine della repubblica (cfr. Il Dialogus de oratoribus
di Tacito)
“Il discorso finale di Materno-che è la voce stessa dell’autore- contiene un proclama di
fede monarchica e un annunzio di morte della grande eloquenza” ( Marchesi, Tacito,
p. 47)
Senza la “licenza” della libertà civile non può esistere grande
oratoria
La licenza produsse una poderosa eloquenza (37-38)
La grande e
sublime eloquenza è alunna della licenza (sed est illa magna et notabilis
eloquentia alumna licentiae, quam stulti libertatem vocant, Dialogus, 40).
Una licenza che non alligna negli Stati bene ordinati. A Sparta, a Creta, tra i
Macedoni e i Persiani non ci fu licenza né eloquenza. Atene ebbe molti oratori
“apud quos omnia populus, omnia imperiti, omnia, ut sic dixerim, omnes
poterant”. Anche a Roma l’eloquenza fiorì nel disordine “sicut indomitus
ager habet quasdam herbas laetiores” (40)
Ma l’oratoria dei Gracchi non era così
preziosa da sopportarne le leggi eversive. “Sed nec tanti
rei publicae Gracchorum eloquentia fuit ut
pateretur et leges”.
La Stoà era contraria alla retorica corrente che insegnava solo
a lusingare e ingannare la folla. Aristotele aveva scritto che lo scopo della
retorica era quello di convincere (Rhet. 1355b 25).
La Stoà invece pensava che la differenza con la dialettica è
che questa sintetizzai pensieri, mentre la retorica li sviluppa.
Zenone rappresentava
plasticamente questa differenza chiudendo il pugno, poi stendendo le dita.
Lo scopo è parlare bene che consiste nel dire la verità: “to; de; eu\
levgein e[legon to; ajlhqh' levgein”. Per gli Stoici la retorica non era
soltanto un’arte ma una episteme che solo il saggio possiede.
La verità del resto non esclude la uJpovkrisi",
l’arte del porgere, la recita, la declamazione.
Cfr, il De inventione di Cicerone. che suddivide l'ars
rhetorica in inventio, dispositio, elocutio, memoria,
actio, il modo di porgere, la drammatizzazione, la
recita
Gli Stoici si occuparono della teoria dell’espressione (levxi"). Aristotele
aveva posto la purezza come prima esigenza (Rhet. III, 5). Così
Teofrasto e gli Stoici li seguirono.
Definirono eJllenismov" l’espressione corretta delle persone colte.
Accettarono anche le tre altre virtù teofrastèe: la safhvneia (chiarezza), la convenienza
(prevpon),
la kataskeuhv,
la veste artistica ottenuta con una elocuzione scelta. Aggiunsero la suntomiva, la
brevità. Vedi Seneca o il Manuale di Epitteto.
Zenone aborriva le parole superflue, il chiacchericcio
vuoto. Le parole del filosofo devono prendere colore dal senso. Per amore della
concretezza, secondo Crisippo, si potevano violare alcune regole dell’arte.
Cicerone confutò questo (Fin. IV, 7)
Cleante usò la forma poetica nell’Inno a Zeus. La
poesia deve esercitare un’azione educativa, avere una bella forma e musicalità.
CONTINUA
Bravo!
RispondiEliminaAlessandro