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martedì 19 settembre 2017

La Commedia antica. Aristofane: “Le Rane”. II parte

(cliccare sull'immagine per ingrandire)

La Commedia antica. Aristofane: Le Rane

Venerdì 22 Settembre alle 18 
ne parlerò presso la Biblioteca Lame-Cesare Malservisi, sala studio primo piano
Nell'ambito di "Un tuffo nei classici", due conferenze a cura del prof. Gianni Ghiselli:
Le Rane di Aristofane: il mito. la politica, la guerra, la critica letteraria

Quanto ai primi autori di commedie, Aristotele fa i nomi di Epicarmo e Formide, entrambi vissuti a Siracusa nella prima metà del V secolo; quindi commenta: "perciò la commedia, almeno per quanto riguarda il comporre i racconti è venuta in principio dalla Sicilia" (to, de; muvqou" poiei'n ejx ajrch'" ejk Sikeliva" h\lqe, 1449b). Era comunque una Sicilia greca e dorica, e viene a proposito la Satira III di Giovenale dove il corrucciato moralista esprime la sua indignatio nei confronti dell'odiata stirpe dei Graeculi affermando: "natio comoeda est ", è una razza di commedianti (v. 100).

 Di Epicarmo (524-435) ci restano titoli e frammenti con parodie mitologiche, una delle quali, appartenente al Busiride rappresenta quell'Eracle dorico, rude, gagliardo, formidabile nel divorare e nel bere che si troverà anche nell’Alcesti di Euripide, ai vv. 759 e sgg.).
"Se lo avessi visto mangiare saresti morto!
Tuona la gola, strepita la mascella,
rumoreggia il molare, stride il canino,
fischiano le narici, sventolano le orecchie (Busiride, fr. 21 Kaibel).
Probabilmente la perdita dell'opera di Epicarmo siracusano è un fatto grave per la letteratura: Platone definisce il commediografo siciliano il miglior autore comico, mentre Omero sarebbe il tragico migliore (tw'n poihtw'n a[kroi th'ς poihvsewς eJkatevraς kwmw/divaς me; n J Epiivcarmoς, tragw/divaς de; {{Omhroς, Teeteto (152e)
 Sarebbe stato interessante studiarne quell'elemento mimico che prosperava nell'Occidente greco. Un aspetto che venne ulteriormente sviluppato da Sòfrone, siracusano pure lui, vissuto nel V secolo e autore di mimi anch'essi tenuti in alta considerazione da Platone che li aveva sotto il cuscino e che "conformò al suo stile alcuni caratteri" secondo la notizia di Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, III, 18).
I mimi erano dialoghi che imitavano (mimevomai) realisticamente scene di vita quotidiana: dai frammenti e dai titoli si può fare l'ipotesi che Sofrone abbia lasciato un segno sui mimi di Teocrito il cui influsso sarà grande nella poesia europea, da Virgilio a Leopardi.
Ci siamo soffermati un momento sui poeti sicilioti per suggerire possibili connessioni con forme predrammatiche italiche e italiote, come i già citati Fescennini, o come le Atellane, rozzi spettacoli originari di Atella, in Campania, basati su canovacci, trame schematiche e rudimentali, con maschere fisse, oppure i fliàci, (ijlarotragw/diva) tragicommedie, parodie di tragedie, di argomento mitologico e popolare diffusi nella Magna Grecia dove vennero portati a dignità da Rintone di Taranto (fine del III sec. a. C.).

A tutte queste forme vengono attribuiti quei sapori forti, quell'italum acetum che contraddistingue la commedia letteraria di Plauto rispetto ai modelli Greci della Commedia nuova. Ma tra questi autori italioti e sicelioti il più importante rimane Epicarmo del quale Orazio scrisse che fu un modello per Plauto: "Plautus ad exemplar Siculi properare Epicharmi ", Plauto si affretta dietro il modello del siciliano Epicarmo (Ep. II, 1, 58).


Aristotele (1448a) nomina Chionide e Magnete come autori attici più antichi, anche se comunque più recenti di Epicarmo (Poetica 1448a).
Scene comiche del resto si trovano già in Omero.
Nell’VIII canto dell’Odissea c’è l’adulterio di Arese Afrodite, la loro buffa punizione e il conseguente inestinguibile riso a[sbestoς gevlwς (VIII, 326) degli dèi. Nel secondo dell’Iliade viene coperto di ridicolo Tersite folkovς, strabico, cwlo; ς d j e{teron povda, zoppo di un piede (II; . 217), foxo; ς kefalhvn, dalla testa aguzza e mezzo pelata (v. 219).

Chionide avrebbe vinto il primo concorso comico celebrato alle grandi Dionisie (festa di fine marzo, la più importante per il teatro) del 486.

 Di Magnete, il collega Aristofane, nei Cavalieri (vv. 520 e sgg.) ricorda che da vecchio perse il favore del pubblico poiché "è rimasto lontano dal motteggiare" (o{ti tou' skwvptein ajpeleivfqh, 525) che gli aveva fatto vincere tanti trofei. Erano dunque contemporanei di Epicarmo.


CONTINUA 

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