Droysen dà il via a una rivalutazione del demagogo ateniese
tanto infamato da Tucidide e da Aristofane: “Si può dire quel che si vuole del
carattere di Cleone, ma in ogni modo egli era l’anima del sistema democratico
ateniese in quel periodo…Frattanto le eterie dovevano impegnarsi non poco nelle
trattative allacciate con Sparta; un accenno contenuto nelle Vespe ci fa capire che in quei circoli
si pensava seriamente già allora di limitare la democrazia…Cleone appariva il
vero difensore contro tali intrighi; ecco perché il coro delle Vespe lo chiama subito in sua difesa,
non appena crede di fiutare qualche congiura”[1].
Tucidide tende a infamarlo
Tucidide presenta il demagogo dicendo che era il più
violento dei cittadini ("biaiovtato"
tw'n politw'n", III, 36, 6) e quello più capace di persuadere
("piqanwvtato"")
la massa.
Mitilene nel 327 si ribellò, la rivolta venne repressa e,
dopo la resa, Cleone propone di uccidere tutti i Mitilenesi e gli
Ateniesi in un primo momento lo approvano. Poi Diodoto li persuase a punire
solo i colpevoli: così i sostenitori di Atene sarebbero stati incoraggiati. Il
partito di Diodoto vinse:"ejkravthse
de; hJ tou' Diodovtou" (III, 49, 1) e Mitilene scampò alla
distruzione. Comunque un poco più di mille ("ojlivgw/ pleivou" cilivwn", III, 50, 1) ribelli
furono uccisi, le mura di Mitilene vennero abbattute, le navi portate via e il
territorio dell'isola (tranne quello di Metimna) diviso in lotti per i cleruchi
ateniesi.
Torniamo ai Cavalieri.
I due servi non sanno come fare. Il servo II propone il suicidio bevendo sangue
di toro (ai\ma tauvreion piei'n, 83,
come fece Temistocle (Plutarco, Vita,
31, 6 e Cicerone Brutus 43). Il toro
del resto è un animale collegato al culto dionisiaco
nelle Rane,
Aristofane renderà omaggio al collega già morto chiamandolo:"Cratino il
divoratore del toro"(Taurofavgo"
v. 357), per esaltare la sua vocazione dionisiaca con un epiteto che veniva
attribuito allo stesso Dioniso.
Il toro è l’animale da sacrificare: (cfr. Virgilio, Georgiche, II,146-147:"et maxima taurus/victima).
Nell’ Edipo re
prefigura la fine del re di Tebe:"Infatti va e viene sotto
foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi/inutile con
inutile piede bandito in solitudine/cercando di allontanare i vaticini/dell'ombelico
della terra; ma questi sempre/vivi gli volano addosso (Edipo re, 477-482)
Qui il toro del sacrificio potrebbe essere Cleone-Paflagone
Il servo I invece suggerisce un altro elemento del culto
dionisiaco: il vino.
"Il sesso, l'alcool, il sangue. I tre momenti
dionisiaci della vita umana: non si sfugge, o l'uno o l'altro"[2].
Il vino, dice servo I (Demostene), stimola l’inventiva e
spinge all’azione.
Chiede al compare un boccale di vino per annaffiare il cervello
e dire qualcosa di intelligente to;n nou'n
i{n j a[rdw kai; levgw ti dexiovn (96)
Il servo II non sa cosa possa combinare l’altro con il vino
Il portiere del castello di Macbeth, una specie di
portiere dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea[3], disquisisce, intorno
agli effetti del bere sulla libidine: la provoca e la sprovoca; provoca il
desiderio ma ne porta via l'esecuzione. "Therefore, much drink may be
said to be an equivocator with lechery", perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la
lascivia: la crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro;
la persuade e la scoraggia; "makes him stand to, and not stand to",
la mette in piedi e non la tiene su,
insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (II, 3).
Il servo II torna con il vino e dice che ha rubato il vino
senza essere visto: Paflagone dorme uptio"
mequvwn, supino, ubriaci e russa (rjevgkei,
104), steso sulle pelli.
I due bevono alla salute del buon genio ajgaqou' daivmono" (106)
Il servo manda il II a rubare gli oracoli di Paflagone
Nicia va e torna con gli oracoli. Paflagone russava come
prima e per giunta scorreggiava sicché non se ne è accorto.
L’oracolo elenca i demagoghi: dopo la morte di Pericle (429)
prima uno stuppeiopwvlh", un
mercante di corde (Eucrate) governava la città, poi un probatopwvlh" (132), un mercante di pecore. E sono due
mercanti fa Nicia. Poi il terzo, più schifoso del secondo, bdelurwvtero" (134), bursopwvlh" oJ Paflagwvn, a{rpax, un
rapace che strilla kekravkth"
con la voce del Cicloboro (137)
La commedia i Cavalieri
di Aristofane completa l’opera riducendo Cleone a “una caricatura “ripugnante”[4]
Cicerone nel Brutus
scrive: “Cleonem etiam temporibus illis
turbulentum illum quidem civem, sed tamen eloquentem constat fuisse” (28),
si sa che in quei tempi visse anche Cleone, uomo politici certo sedizioso[5] ma eloquente.
Ma ce n’è un altro mercante (pwvlh"),
uno che esercita un mestiere straordinario, un ajllantopwvlh~ (143) -ajlla`~
-a`nto~ oj salsiccia. Questo mercante farà fuori Paflagone.
Proprio in quel momento, forse per destino, compare un
salsicciaio
Servo I lo chism
swth;r salvatore della città e di loro due (148)
FINE
[1] Op. cit., p. 140.
[2] C. Pavese, Il
mestiere di vivere, 2 luglio 1945.
[3] Egli esordisce
dicendo: questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere
dell'inferno (if a man were porter of hell-gate) avrebbe l'abitudine
antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire
che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente
vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).
[4] Droysen, Op. cit., p. 177.
[5] Nei Cavalieri (424 a. C) di Aristofane Cleone-Paflagone è chiamato
“borborotavraxi” (v. 307), il mescola-fango;
egli si comporta come i pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se
mettono sottosopra il fango,: “kai; su;
lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu
arraffi, se scompigli la città, gli fa il salsicciaio.
Giovanna Tocco
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