Storia del genere
umano
Comunque nell’età primitiva una dura tellus creò un genere umano multo durius (926), et maioribus et solidis magis ossibus intus
(927) connesse da nervi possenti, più resistenti al freddo, al caldo e ai mali.
Vivevano una vita da belve. Mangiavano quod
terra crearat- sponte sua. Si nutrivano di ghiande e di purpurei corbezzoli
(arbita puniceo colore). La novitas tum florida mundi “pabula dura tulit, miseris mortalibus ampla”
(944)
A sedare la sete li chiamavano fiumi e sorgenti At sedare sitim fluvii fontesque vocabant
(945). Non conoscevano il fuoco, non si servivano di pelli, celavano le ruvide
membra in mezzo ai cespugli et frutices
inter condebant squallida membra (956).
Non conoscevano leggi né mores.
Nelle selve Venere congiungeva i corpi degli amanti. Il concilium con la donna lo favoriva vel mutua
cupido, “vel violenta viri vis atque
impensa libido” (964) la libidine grande, “vel pretium, glandes atque arbita vel pira lecta” (965).
Inseguivano le fiere scagliando pietre e brandendo clave,
alcune le vincevano, con altre fuggivano nei covi e, come irsuti cinghiali saetigerisque pares subus (970) membra nuda dabant terrae avvolgendoli
con foglie e fronde, quindi in silenzio, sepolti nel sonno aspettavano la luce.
Temevano che il sole non tornasse. Succedeva che venissero sbranati dalle
fiere: qualcuno di loro “pabula viva
feris praebebat, dentibus haustus” 991, sorso per i denti,
”et nemora ac montis gemitu silvasque
replebat
Viva videns vivo
sepeliri viscera busto” (992-993), vedendo le proprie viscere vive sepolte
in un vivo sepolcro.
Allitterazione in “v” e ossimoro co vivo busto
Gorgia chiama gli avvoltoi sepolcri viventi – gũpeς e[myucoi tavfoi (in Sublime, 3, 2).
Chi fuggiva ferito, premendo i palmi tremanti (995) sopra le
piaghe orrende, invocava la morte con urla agghiaccianti
“posterius tremulas
super ulcera taetra tenentes- palmas
horriferis accibant vocibus Orcum” (996), finché atroci spasimi li
privavano della vita, senza aiuti né cure.
Però non morivano a migliaia in un sol giorno di guerra, nec turbida ponti-aequora lidebant-sbattevano- navis ad saxa virosque (1001).
“nec poterat quemquam placidi pellacia ponti
subdola pellicere in
fraudem ridentibus undis.
Improba navigii ratio
tum caeca iacebat” (1004-6) non c’era l’adescamento del mare e la funesta
arte di navigare.
Allora si poteva morire di fame, “contra nunc rerum copia mersat” (1008) sommerge
Vedi la satira Giovenale sui morti per cibo.
Giovenale nella I
satira descrive persone che
Comedunt patrimonia una
mensa (138).
Gente imbandisce per
sé cinghiali interi,
quanta est gula quae
sibi totos
ponit apros, animal
propter convivia natum!, animale nato per banchetti numerosi
poena tamen praesens
cum tu deponis amictus
turgidus et crudum
pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes
atque intestata senectus (140 ss,)
Il funerale riceve applausi dai clenti adirati.
Allora, per ignoranza-imprudentes,
mangiavano cibi velenosi, ora lo somministrano accortamente ad altri.
Poi arrivò la monoandria- Inde casas postquam ac pellis ignemque pararunt-et mulier coniuncta viro concessit in unum-concubitum,
prolemque ex se videre creatam- tum genus humanum primum mollescere coepit (1011-1014)-
la donna nell’unione con l’uomo, passò a uno solo, i padri riconobbero la
prole,
cominciò a
indebolirsi, “ingentilirsi”, secondo Luca Canali.
La proprietà privata vuole figli di paternità indiscussa.
Secondo F. Engels (1820-1895) la ragione più vera della
famiglia monogamica e della sottomissione della donna è questa:"la
monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola,
precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali
ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[2].
Ma, subito dopo, Lucrezio scrive che il fuoco rese i corpi alsia, freddolosi e incapaci di
resistere al freddo, poi Venus imminuit
viris (1017) ridusse le forze, e i fanciulli con le blandizie piegarono il
duro carattere dei padri.
Intervenne anche la pietà per i deboli. Non c’era concordia
ovunque
sed bona magnaque pars
servabat foedera caste (1025)
aut genus humanum iam tum foret omne peremptum
nec potuisset adhuc
perducere saecla propago”, già allora sarebbe andato distrutto e la stirpe
umana non si sarebbe protratta fino a oggi.
Il foedus osservato è dunque funzionale pure alla
conservazione della vita.
L’origine del
linguaggio
All’origine del linguaggio ci sono l’istinto e il bisogno.
Il bambino incapace di parlare prima fa dei gesti, come i piccoli degli uccelli
accennano a volare quando ancora non sanno farlo.
E’ dunque follia pensare che un uomo abbia assegnato i nomi
alle cose e gli altri abbiano imparato da lui i primi vocaboli.
Epicuro sostiene che
c’è stata una iniziale fase naturalistica (“ojnovmata ejx ajrch̃ς mh;
qevsei genevsqai” (a Erodoto, 75), ma poi di comune accordo furono
stabilite espressioni particolari di ciascun popolo, perché le indicazioni
reciproche fossero meno ambigue e venissero rese note in modo più sintetico ( “u{steron de; koinw̃ς kaq j e[kasta e[qnh ta; i[dia teqh'nai pro;ς to; ta;ς
dhlwvseiς h|tton ajmfibovlouς genevsqai ajllhvloiς kai; suntomwtevrouς dhloumevnaς ”).
Ma Lucrezio è più epicureo di Epicuro
Lucrezio è assertore
della istintività naturale del linguaggio e ne nega la convenzionalità (qevsei in Epicuro, secondo un accordo).
Platone invece
nel Cratilo presuppone un ojnomatourgovς (389a) un legislatore creatore di nomi, il più raro tra gli
artefici. Le lettere dei nomi nelle varie lingue sono diverse. Ma al nomoqevth" è bastato rendere l’idea
che conviene (ei\do" prosh'kon)
a ciascuna cosa.
Prima di lui Pitagora sostenne che un saggio omnibus rebus imposuit nomen (in Cic. Tusc. I, 62).
Lucrezio: anche gli animali fanno versi differenziati secondo
gli umori-Ergo si varii sensus animalia
cogunt /muta tamen cum sint varias emettere voces, quindi è giusto a
maggior ragione pensare gli uomini abbiano usato parole diverse per oggetti
diversi (1090).
CONTINUA
Giovanna Tocco
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