venerdì 19 febbraio 2021

Debrecen 1966. XXI parte . “Quel casinetto è mio: soli saremo (…) Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”

Contiguo allo stadio c’è quella casetta o casinetto[1] che ho già ricordato nella storia di Helena, particolarmente nell’episodio di una notte simile a quella di Valpurga con la  tentazione mia da parte di Josane quando ni comportai come un santo evitando umiliazione e dolore  alla Sarjantola[2]. Eravamo nel 1971.

E’ una casa non grande, a due piani[3], con due terrazze, una per piano, come quella di Eufileto, il marito becco e vendicativo omicida difeso da Lisia.

Nel 1966 sedetti sulla terrazza più bassa per trangugiare un caffè e ingozzare dei pasticcini, indifferente a quel luogo che sarebbe diventato uno dei più significativi della mia vita mortale.  

Al secondo piano il custode abitava; al primo teneva un bar con seggiole e tavolini, sia nell’interno sia nella terrazza, dove ci sarebbero state alcune feste intermedie tra quella della conoscenza e quella dell’addio dove Afrodite riuniva ragazze e ragazzi perché si conoscessero nella prima, e si salutassero per sempre, con gratitudine eterna, nell’ultima. Là si sarebbero consolidate oppure avrebbero vissuto ore di crisi i miei rapidi amori  pellegrini; là donne straniere e pure italiane, come vedremo, mi avrebbero approvato o redarguito, esortato o confutato insegnandomi buona parte di quello che ora so.

Su uno di quei tavolini piansi lacrime catartiche alla fine della storia di Päivi [4] che forse già conosci, lettore.

Nel luglio del ’66 però, imbestiato com’ero, in quel casinetto vidi soltanto un bar dove sedermi  per bere un caffè assai zuccherato e perdere altri dieci minuti di questa rapida vita mortale oziosamente, ossia senza agire, né osservare, né meditare in modo costruttivo, ma solo cercando di tenere a bada l’angoscia e assecondare l’ingordigia animalesca  del ventre. Trangugiato il lungo caffè pieno di zucchero non senza delle paste dolciastre che avevo aspettato a lungo con impazienza frenetica, si era fatto il tocco, come dicevano a casa mia, cioè l’una, insomma l’ora di desinare. Un pranzo del tutto immeritato da parte mia. Mi avrebbe fatto meglio una bastonatura da bestia quale ero.

 

Note

1 Cfr.  Mozart-Da Ponte, Don Giovanni, I, 9: “Quel casinetto è mio: soli saremo, e là gioiello mio, ci sposeremo. Là ci darem la mano, là mi dirai di sì”.

2 Capitolo intitolato “La festa al casinetto del tennis. Josiane: la tentazione”.

3 Cfr. l’orazione giudiziaria di Lisia Per l’uccisione di Eratostene, l’amante punito: “oijkivdiovn ejsti diplou`n, i[sa e[con ta; anw toi`" kavtw” , 9.  E’ una casetta a due piani che ha gli ambienti di sopra simmetrici a quelli di sotto.

4 Capitolo XIX intitolato Il pianto. L’aedo di Debrecen, dove tutto è pieno di dèi. Pensieri di un cervello ebbro al tramonto

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLXXXI La fedeltà mal riposta. Il rimpianto della rosa bianca trascurata.

  Il sole aveva sbaragliato le nubi. Mi tolsi la maglietta per   l’abbronzatura che va ripassata, come le lezioni. Mi guardai il petto e i...