martedì 3 maggio 2022

La storia di Päivi. 19 Il bagno catartico nel Danubio.

 

Come epilogo dell’amore di Päivi in Ungheria, ricordo il tardo pomeriggio del 25 agosto, il giorno della “gita scolastica” a Visegrád dove il Danubio si incurva tra le colline.

Ero immerso nella corrente vicino alla riva con alcuni altri giovani del corso estivo: ricordo l’Austriaco cieco, quello che suonava il piano al ricevimento del Rettore [1], Antonella, la fanciulla claudicante di Roma, Fabrizia, una ragazza bruttina di Reggio Emilia, e Danilo.

Päivi era seduta sulla sabbia lucente alle mie spalle.

Il sole al tramonto, luminoso senza essere caldo, non le dava fastidio.

 Ricordo quell’ora, forse le sei di sera, come una delle più lucide di questa mia vita terrena: tanta chiarezza sentivo in me e proiettavo su tutte le persone e le cose, che intravvedevo l’esistente conciliato con l’Essere, con Dio. Come in un quadro di Raffaello Urbinate o di Piero della Francesca da Borgo Sansepolcro, il paese della madre mia, la bella mamma dai capelli bruni bruni, dal naso aquilino, dalle gambe perfette e dai preziosi occhi azzurri, gli zaffiri che non ho ereditato.

 

La mia donna seduta sulla riva indorata dal sole e dall’acqua sfavillante dei suoi lucidi raggi, Päivi, la luminosa, la Fedra, era buona, era attraente, era di stile elevato, e aspettava una bambina da me; con lei potevo avere progetti di amore e di vita; anzi la mia vita attraverso quella figlia sarebbe scorsa qui sulla terra, come la corrente del fiume nella luce del sole, ancora dopo la morte mia che non mi faceva paura perché sarebbe stato un ritorno nella divina armonia del cosmo; intanto Antonella, mentre nuotava, sembrava avvalersi di gambe aggiustate nell’acqua scintillante che appianava ogni ostacolo; il cieco sorrideva con gioia, ringraziando, forse, il dio onnipotente e misericordioso che gli aveva restituito il lume degli occhi: la vile gelatina [2], illuminata dai raggi risanatori del tramonto sereno pareva contemplare la bellezza del mondo con stupore riverente e commosso.

Di Fabrizia, quella sacra armonia aveva messo in risalto gli aspetti più belli: il florido seno, la bocca ridente, lo sguardo pulito, rendendola dolce e attraente.

Danilo, “sotto infino al ciglio” [3, finalmente beveva dell’acqua, sorseggiandola maesto cum murmure, rimpiangendo forse il succo dell’uva, senza sapere che l’ottimo liquido [4], il migliore di tutti, gli allungava la vita abbassandogli il tasso alcolico e purificando la corrente del sangue troppo scura e densa quia musto plena erat [5].

Così si sarebbe salvato, forse per sempre dall’ intemperantia bibendi di quell’altro liquido, dionisiaco quanto si vuole, ma oramai di dubbio effetto benefico per lui.

In effetti oggi Danilo è uno dei pochissimi superstiti tra quanti amici ho incontrato qui sulla terra. Bravo Danilo caro compagno dell’età mia nova, arcibravo!

Stavamo dunque facendo un bagno catartico che ci toglieva grinze e difetti, spianava ogni gibbosità, appulcrava miserie e brutture quae discors protulerat natura [6], prodotte dalla natura in discordia con se stessa. 

Mi mancavano alcuni amici, soprattutto Fulvio con il suo caos illuminato da lampi [7].  

Eppure nel petto mi sentivo un cuore pieno di mitezza e di forza: ero certo di amare Päivi, credevo di volere una figlia, di poter aiutare il prossimo nostro; insomma mi sentivo in sintonia con il mondo pieno di luce e di bene, anzi mi pareva di assomigliare a dio, poiché ero uscito dal mio narcisismo, amavo una donna e avevo progetti di vita, di creazione con lei. Quel momento epifanico non sarebbe più tornato e la bambina non sarebbe nata mai. Eppure non mi sbagliavo del tutto. La creatura sarebbe stata questa storia che sto scrivendo e costituisce una figlia adottivo in sostituzione di quella in carne e ossa, che non abbiamo lasciato nascere. Questo mio scrivere è anche un’ammenda per impetrare perdono di tanto misfatto.

 

 

Note

Cfr. Il primo capitolo di questa storia.

2 Cfr. Shakespeare, Re Lear III, 7. Il duca di Cornovaglia marito di Regana, strappa il secondo occhio a Gloster e dice: “out, vile jelly!” 

3 Dante, Inferno XII, 103.

4 Cfr. Pindaro: a[riston me;n u{dwrOlimpica I, 1, ottima è l'acqua

5 Cfr. Actus Apostolorum 2, 13

6 Cfr. Lucano, Pharsalia, 559 - 590

7 “Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Prefazione, 5.


Bologna 3 maggio 2022 ore 15, 51

giovanni ghiselli

p. s

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