venerdì 25 luglio 2025

Ifigenia CCXL. Se ho fornicato fu in altri paesi e probabilmente quelle ragazze sono morte


 

Mercoledì ventisette maggio, pieno di  doloroso amore, volevo

capire il mio sentimento non integralmente cattivo né tutto

buono che Ifigenia mi infondeva nel petto da parecchi mesi

oramai: io la amavo e la apprezzavo, ma la detestavo anche, e la

consideravo pure spregevole.

Sul monte delle formiche, tre giorni prima, era stata bravissima:

aveva sì vacillato faticando a dismisura; anzi, quando mancava un

chilometro solo, il più duro, era stata vicina a cedere stramazzando

al suolo e singhiozzando come una grossa fagiana colpita a morte da un cacciatore spietato e ghiotto della sua carne saporita; invece Ifigenia incitata

da me, aveva raccolto tutte le forze, aveva stretto i denti,

conservato l'equilibrio, spinto i pedali con le belle gambe sode,

tirato il manubrio con le forti braccia tornite, e ci era riuscita.

L'avevo ammirata per la prova di forza e di volontà. Mi era

sembrata una persona degna:  cosciente di quanto voleva e

capace di conseguirlo, soprattutto se la incoraggiavo.

Quel giorno ero arrivato a pensare che non fosse un obbrobrio amare una donna sifffatta1.

Nei due giorni seguenti  Ifigenia alternò un'allegria forzata e rumorosa con

una muta e cupa stanchezza. In certi momenti mi si appoggiava

addosso con tutto il peso del corpo statuario e della piccola testa; a

volte appariva estranea, quasi ostile alla mia persona.

 Seguivo i suoi sbalzi mentali con pena, ma non

disperavo di arrivare a capire le cause più vere di tanto squilibrio

che mi contagiava. Comunque volevo comprendere per quale

ragione non funzionasse più l'amore con quella ragazza che pure

aspirava all'arte, e aborriva la vita ostile alle Muse della gente

ordinaria. Questo almeno era quanto affermava lei stessa, con la

sua bocca. Era bugiarda?

Gli ultimi giorni di maggio ella temeva la prova finale  che doveva affrontare ed era sempre più squilibrata. Io ne soffrivo senza potere aiutarla.

Infatti, come ebbe avuto il commento scritto al dramma di Horvàth

e lo ebbe approvato con ringraziamenti e salamelecchi cerimoniosi, per due dì e due notti non si fece vedere né sentire, onde impiegare tutto il  tempo,

le emozioni e le forze nella preparazione della prova d'esame, suppongo.

Io  rileggevo i miei maestri educatori e annotavo alcuni versi belli assai

e confacenti al mio stato d'animo. Li trascrivo, sperando di indurti,

lettore, a studiarne con amore i volumi.

 

Ottima è l'acqua2

 

E bruciarono nella solitudine 3

 .

Mi manca l'occhio dell'esercito 4

 

I fiumi della notte tenebrosa eruttano un'oscurità infinita 5

 

Nessuna delle fatiche mi si presenta nuova o inattesa: io ho

presofferto tutto 6

 

 

Non sapere in anticipo, è assenza di pensiero7

 

 

 Quel pomeriggio prevaleva Pindaro il poeta “ infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale disordine”8.

Non oso scrivere “come la mia” però lo pensavo

 

Il pomeriggio di giovedì 28 maggio Desdemona mi telefonò e mi

diede l'angoscia. Mi fece capire che con me si annoiava, mentre si

sentiva viva e reale quando preparava l'esame di recitazione che

pure la terrorizzava. Intanto si emozionava nel lavoro preparatorio

che la teneva in contatto con il regista, con i compagni e con il

testo; poi, sabato sera, si sarebbe eccitata nel rapporto con il

pubblico cui oltretutto avrebbe fatto ammirare  il  proprio corpo inguainato in

una calzamaglia molto aderente e diafana. Nel locale notturno, il

Maxim, su un palcoscenico di cabaret, Marianne doveva apparire

per diversi minuti vestita soltanto delle mutandine e di una guaina

color carne, attillatissima e trasparente. Il regista, quello panciuto,

forse per valorizzare o sfruttare la bellezza della ragazza, aveva

enfatizzato e prolungato la scena, facendo mimare uno Zeppelin dai movimenti più o meno aerei delle membra di lei. Questo non

mi faceva piacere, ma non era un elemento che scatenava ire o

tristezze. La sera comunque ero depresso: la notte prima non

avevo dormito per il tormento del raffreddore da fieno, e quel

giorno avevo dubitato delle mie capacità di scrivere quel

capolavoro che da diversi mesi oramai mi premeva molto più della

pudicizia e dell'amore stesso della mia compagna sviata oramai dal mio amore con pretese educative.

Mi veniva in mente Catullo: un consolatore per gli amanti non

contraccambiati e dolenti. Alcune sue parole, se ne sostituivo una

soltanto, si confacevano bene alla mia pena amorosa: Non iam

illud quaero, contra me ut diligat illa,/ aut( quod non potis est)

esse pudica velit; ipse scribere  opto et taetrum hunc deponere

morbum./ O di, reddite mi hoc pro pietate mea "9.

Il poeta della venusta Sirmio piaceva molto anche ai ragazzi: per il fatto che scriveva di amore e non voleva sapere se Cesare fosse bianco o nero 10.

  I giovani di fatto erano diventati apolitici.

I telegiornali del regime parlarono a lungo dello scandalo della P2.

Sperai che tale questione cruciale  diventasse  urgente per molte

coscienze. Ero triste. Pertini invece scherzava con i giornalisti.

L'arzillo vecchietto diceva:"Bisogna prendere le cose con animo

lieto, altrimenti è finita".

"Infatti da non pochi anni- pensai- affaristi, assassini e mafiosi si

sganasciano dalle risate".

All'una di notte telefonò un'altra volta Ifigenia.

Disse solo:"Sono io. Vieni a prendermi davanti alla mia scuola". Stavo

studiando per darle altri suggerimenti. Ci andai di corsa. Mi aspettava, sola,

sulla soglia dell'edificio che contiene  anche  un

cinema, e chissà quali altri locali destinati a vari incontri.

Era scura in volto, quasi adirata.

La salutai, la feci entrare nell'automobile, le domandai come

fossero andate le prove.

"Male", rispose. "Questa sera al regista non sono piaciuta".


"Come mai?", le chiesi, ostentando stupore. A lei infatti dicevo

che la credevo brava, e forse ne ero convinto.

"Non voglio parlarne; non questa sera. E' tardi. Portami a casa

subito".

Arrivata, mi salutò appena. La odiai. Pensavo:"Stai attento, bischero,

perché quella ha preso tanto potere su te da usarti e trattarti come

il suo autista. Ma non un servo amico di cui si fida; tu sei il lacché

tenuto a distanza e spregiato, quello cui la padrona non si degna di

rivolgere lo sguardo altero né la parola superba".

Ebbi anche il sospetto che avesse fornicato : le altre volte che,

dopo le prove, si era fatta accompagnare a casa, mi aveva

chiamato intorno alle undici e mezzo: strano tale spostamento

dell'orario, e ancora più strano il fatto che lei si trovasse già tutta sola

davanti al portone cinque minuti dopo il termine delle prove. Il malumore e il non guardarmi in faccia mentre le facevo un piacere, poteva essere

segno di un incontro erotico non soddisfacente, con il

regista o con un attore. Forse quello che faceva la parte di Alfred:

 Ifigenia doveva baciarlo, per esigenza di

copione, nella scena sul bel Danubio, al suono del valzer "Voci di

primavera ".

"Il Danubio è morbido come un velluto".

" Come un velluto ".

Mi consolai con l’ironia ricordando: “anche tu giovanni non sei onesto come il tuo santo, quel Giovanni che volle vivere solo e che per salti fu tratto al martirio: tu hai fornicato più volte, seppure in altri paesi e con diverse ragazze”. Feci una pausa poi mi giustificai: “Oramai però sono  morte,  mentre il ganzo di quella è vivo.

 

Note

1

Cfr. Iliade, III, vv. 156-157:" ouj nevmesi" Trw'a" kai; ejϋknhvmida"  jAcaiou;"

-toih'/d  j ajmfi; gunaiki; polu;n crovnon a[lgea pavscousin", non è peccato che

Troiani e Achei dai begli schinieri  soffrano a lungo dolori per una donna siffatta.

2

Cfr. Pindaro, Olimpica I , v. 1.

3

Cfr. Pindaro, Nemea X , v. 72.

4

Cfr. Pindaro, Olimpica VI, v. 18.

 

5 dovrebbe essere Pindaro anche questo ma non so da quale ode provenga o se sia un frammento.

6

Cfr. Eneide, VI, vv. 103-105.

7

Cfr. Pindaro, Olimpica VIII , 60.

8

Leopardi, Zibaldone, 1856.

9

Cfr. Catullo, Carmi,  76, 23-27. Non chiedo più quello, che ella contraccambi il

mio amore, o, (cosa che non può essere) che voglia essermi fedele; io desidero

scrivere (ma nel testo catulliano c'è valēre, stare bene) e mettere via questo male

oscuro. O dei, datemi questo in cambio della mia devozione.

10

Cfr. Catullo, Carmi,  93.

 

 

Villa Fastiggi   25  luglio 2025 ore 20, 24 giovanni ghiselli.

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Ifigenia CCXXXIX. L’esame di recitazione. Storie del bosco viennese.


 

L'ultima settimana di maggio Desdemona  impiegava tutto il suo

tempo per preparare l'esame finale della sua scuola di aspiranti attori.

 La sera del 30 doveva recitare davanti a una commissione .

Era  suo compito dare vita a Marianne, la protagonista di Storie del

bosco viennese , un dramma del 1930, di Ödön Von Horváth

  Si tratta di  una donna giovane e bella, ma senza alcuna preparazione

culturale né professionale; una di quelle disgraziate che vivono

nell'attesa di un marito, e, mentre aspettano, passano il tempo in ambigui rapporti nevrotici e regressivi con i familiari.

"Non mi hai lasciato imparare niente, nemmeno la ginnastica

ritmica: mi hai allevata soltanto per il matrimonio ", rinfaccia al

padre, un venditore di giocattoli, detto il Mago.

Il fidanzato che vuole sposarla è un macellaio ricco, Oskar, che lei non ama, ma si adatta a maritarsi con lui in quanto ragazza senza arte né parte.

 In casa si sentiva ripetere che l'indipendenza economica della donna è l'ultimo passo verso il bolscevismo 1.

Un giorno però la  nota Alfred, un  giovane bellimbusto fannullone, mantenuto da tre donne: la madre, la nonna, e Valerie, un'amante cinquantenne proprietaria di una tabaccheria. Il cicisbeo adocchia la figlia del Mago attraverso la vetrina, e il suo sguardo viene contraccambiato. L’uomo incoraggiato entra nella bottega, corteggia la ragazza che ne è compiaciuta e lo invita a una gita collettiva nel bosco viennese, su una sponda del bel

Danubio. La domenica seguente tutti i personaggi si trovano là.

Alfred lascia l'amante e Marianne gli dice che non ama Oscar né

vuole sposarlo. I due si trovano soli. Hanno lo sguardo sognante.

"Il Danubio è morbido come un velluto".

"Come un velluto".

Si baciano. Lei domanda: "Mi ami come dovresti? "

"Sento di sì ", risponde lui. "Vieni, sediamoci ".

"Sono contenta almeno che non sei uno stupido. Intorno a me non

ho che degli stupidi. Anche papà non è certo una cima".

"Mi ami come dovresti? Intendo dire: mi ami a ragion veduta? "fa Alfred.

E Marianne: "Tesoro, non tormentarti, non tormentarti. Guarda le

stelle. Quelle saranno ancora lassù quando noi saremo sotto

terra". Poi gli chiede: "Lo sai che mi hai colpita come un fulmine,

che mi hai spaccata in due?" E, senza aspettare risposta,

aggiunge:"Ma adesso ne sono sicura ".

"Di che?"

"Che non lo sposerò ".

Quindi rompe il fidanzamento e va a vivere con Alfred.

 Il padre la maledice. Il macellaio continua ad amarla, nonostante

il garzone gli dica:"Signor Oskar, la prego, non se la pigli così a

cuore per quella sua ex fidanzata; guardi, di donne ce n'è come la

cacca. Anche l'ultimo degli storpi si trova una donna, anche i

sifilitici. E poi le donne, lì dove conta, si assomigliano tutte, mi

creda. Non hanno anima: sono soltanto carne e pelle! ".

Gli amanti mettono insieme un bambino. Ma la loro unione va

male. Lui, persi i sussidi delle tre donne ausiliarie, non ha più alcun

provento, lei non sa fare niente: vivono nella miseria e nella

disistima reciproca. Marianne cerca di lavorare, nonostante i

Cardinali abbiano proclamato che"la donna lavoratrice è la rovina

dell'unione familiare ". La disgraziata però non ha mai imparato

un mestiere, e quando Alfred la pianta, deve fare quello che può  per campare e nutrire il bambino: si esibisce seminuda in un cabaret dove una sera capita

la brigata dei bottegai. Nel locale si rappresenta il numero dello

Zeppelin, dove appaiono alcune giovani poco vestite. Valerie

riconosce la figlia del Mago e scoppia in un grido isterico. Ne

segue un subbuglio, e un tale pieno di dollari cerca di

comprare  il corpo di Marianne. Questa risponde:"Io riesco a

darmi a un uomo solo se lo voglio con tutta l'anima."

"Eppure-riflette poi-come donna senza istruzione, non ho altro

che il corpo da dare. Non mi resta che il treno ".

Il confessore le aveva negato anche l'assoluzione poiché non era

pentita di avere messo al mondo una creatura da ragazza madr. "Anzi, sono felice di averlo, molto felice".

Marianne cerca di rubare i biglietti verdi del viennese-americano

che però se ne accorge e la manda in galera. Il padre la maledice

un'altra volta. Oskar l'ha perdonata e la sposerebbe, se non ci fosse

il bambino che intanto è stato affidato alla nonna e alla bisnonna

paterne. Alfred si mette di nuovo con la tabaccaia. Quando la

Marianne esce di prigione, tutto torna come prima. Il neonato infatti

viene eliminato dalle ave che  espongono l’innocente all'aria fredda della

notte, e Oskar può sposare l’amata che non lo ama:"Ti perdóno volentieri tutto quello che mi hai fatto, perché amare dà più felicità che essere

amati. Una volta ti ho detto che non saresti sfuggita al mio

amore".

"Non posso più. Ora non posso più".

"Vieni allora". La sorregge, la bacia sulla bocca ed

esce lentamente con lei. Nell'aria si ode della musica, come se

un'orchestra suonasse le Storie del bosco viennese di Johann

Strauss.

A parte l'identificazione della mia compagna con la povera

Marianne interpretata non male da lei, l'aspetto più interessante della commedia è la denuncia dei luoghi comuni della

gente ignorante: antifemminista, potenzialmente  guerrafondaia e predisposta a sostenere orrendi tangheri criminali capaci di incantare le menti sprovvedute ripetendo i  luoghi comuni correnti, infarcita di falsità per lo più, e pronta a sbandierare vessilli con slogan oppressivi delle persone

capaci di pensare.

Ifigenia mi chiese un commento al dramma. Scrissi che

bisognava vederci un campanello di allarme verso la mentalità


retrograda della piccola borghesia filistea, dei capitalisti che la sostiene e della pretaglia sedicente cristiana.Insomma il pericolo sempre vivo dell’ignoranza che genera mostri.

L’aspirante attrice mi ringraziò per l'aiuto che, disse, le aveva fatto

comprendere il significato storico della commedia. Ma per lei

quella rappresentazione fu soprattutto una palestra dove si allenò

all'abbandono del nostro amore, all'adescamento attivo e passivo

e al resto. Dopo avere recitato piuttosto bene la parte di Marianne, volle viverla davvero, tragicamente, la notte tra il 12 e il 13 giugno 1981 a Riccione. Ma tale vicenda è la conclusione, prossima, della nostra storia e di questo romanzo.

 

Nota

1

Le citazioni sono tratte dalla traduzione di Adelphi, Milano, 1974.

 

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Oggi si scrivono e si leggono i post più dei libri.

Scrisse bene Giacomo Leopardi in una lettera a Pietro Giordani mandata da Recanati a Milano il 16 gennaio 1818: “Non sarò meno virtuoso né magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalisti parlarne”