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L'ultima
settimana di maggio Desdemona impiegava tutto il suo tempo per
preparare l'esame finale della sua scuola di aspiranti attori. La sera del 30 doveva recitare davanti a una
commissione. Era suo compito dare vita a Marianne, la
protagonista di Storie del bosco
viennese, un dramma del 1930, di
Ödön Von Horváth. Si tratta di una donna giovane e bella, ma senza alcuna
preparazione culturale né
professionale; una di quelle disgraziate che vivono nell'attesa
di un marito, e, mentre aspettano, passano il tempo in ambigui rapporti
nevrotici e regressivi con i familiari. "Non
mi hai lasciato imparare niente, nemmeno la ginnastica ritmica:
mi hai allevata soltanto per il matrimonio ", rinfaccia al padre, un
venditore di giocattoli, detto il Mago. Il fidanzato
che vuole sposarla è un macellaio ricco, Oskar, che lei non ama, ma si adatta a maritarsi con lui in quanto ragazza
senza arte né parte. In casa si sentiva ripetere
che l'indipendenza economica della
donna è l'ultimo passo verso il bolscevismo 1. Un giorno
però la nota Alfred, un giovane bellimbusto fannullone, mantenuto
da tre donne: la madre, la nonna, e Valerie, un'amante cinquantenne
proprietaria di una tabaccheria. Il cicisbeo adocchia la figlia del Mago
attraverso la vetrina, e il suo sguardo viene contraccambiato. L’uomo, incoraggiato, entra nella bottega, corteggia la ragazza che ne è compiaciuta e
lo invita a una gita collettiva nel bosco viennese, su una sponda del bel Danubio. La
domenica seguente tutti i personaggi si trovano là. Alfred
lascia l'amante e Marianne gli dice che non ama Oscar né vuole
sposarlo. I due si trovano soli. Hanno lo sguardo sognante. "Il
Danubio è morbido come un velluto". "Come
un velluto". Si baciano.
Lei domanda: "Mi ami come dovresti?" "Sento
di sì - risponde lui - Vieni,
sediamoci". "Sono
contenta almeno che non sei uno stupido. Intorno a me non ho che
degli stupidi. Anche papà non è certo una cima" "Mi
ami come dovresti? Intendo dire: mi ami a ragion veduta?" fa Alfred. E Marianne:
"Tesoro, non tormentarti, non tormentarti. Guarda le stelle.
Quelle saranno ancora lassù quando noi saremo sotto terra". Poi gli chiede: "Lo sai che mi hai
colpita come un fulmine, che mi
hai spaccata in due?" E, senza
aspettare risposta, aggiunge: "Ma
adesso ne sono sicura". "Di
che?" "Che
non lo sposerò ". Quindi rompe
il fidanzamento e va a vivere con Alfred. Il padre la maledice. Il macellaio continua
ad amarla, nonostante il garzone
gli dica: "Signor Oskar, la prego, non se la pigli così a cuore per
quella sua ex fidanzata; guardi, di donne ce n'è come la cacca.
Anche l'ultimo degli storpi si trova una donna, anche i sifilitici.
E poi le donne, lì dove conta, si assomigliano tutte, mi creda.
Non hanno anima: sono soltanto carne e pelle! ". Gli amanti
mettono insieme un bambino. Ma la loro unione va male. Lui,
persi i sussidi delle tre donne ausiliarie, non ha più alcun provento,
lei non sa fare niente: vivono nella miseria e nella disistima
reciproca. Marianne cerca di lavorare, nonostante i Cardinali
abbiano proclamato che "la donna lavoratrice è la rovina dell'unione
familiare". La disgraziata
però non ha mai imparato un mestiere,
e, quando Alfred la pianta, deve fare quello che può per campare e nutrire il bambino: si
esibisce seminuda in un cabaret dove una sera capita la brigata
dei bottegai. Nel locale si rappresenta il numero dello Zeppelin,
dove appaiono alcune giovani poco vestite. Valerie riconosce la
figlia del Mago e scoppia in un grido isterico. Ne segue un
subbuglio, e un tale pieno di dollari cerca di comprare il corpo di Marianne. Questa
risponde: "Io riesco a darmi a
un uomo solo se lo voglio con tutta l'anima." "Eppure - riflette
poi - come donna senza istruzione, non ho altro che il
corpo da dare. Non mi resta che il treno ". Il
confessore le aveva negato anche l'assoluzione poiché non era pentita di
avere messo al mondo una creatura da ragazza madre. "Anzi, sono felice
di averlo, molto felice". Marianne
cerca di rubare i biglietti verdi del viennese-americano che però se
ne accorge e la manda in galera. Il padre la maledice un'altra
volta. Oskar l'ha perdonata e la sposerebbe, se non ci fosse il bambino
che intanto è stato affidato alla nonna e alla bisnonna paterne.
Alfred si mette di nuovo con la tabaccaia. Quando Marianne
esce di prigione, tutto torna come prima. Il neonato infatti viene
eliminato dalle ave che espongono l’innocente
all'aria fredda della notte, e
Oskar può sposare l’amata che non lo ama: "Ti perdóno volentieri tutto
quello che mi hai fatto, perché amare dà più felicità che essere amati.
Una volta ti ho detto che non saresti sfuggita al mio amore". "Non
posso più. Ora non posso più". "Vieni allora". La sorregge, la bacia sulla
bocca ed esce
lentamente con lei. Nell'aria si ode della musica, come se un'orchestra
suonasse le Storie del bosco viennese di Johann Strauss.
A parte
l'identificazione della mia compagna con la povera Marianne
interpretata non male da lei, l'aspetto più interessante della commedia è la
denuncia dei luoghi comuni della gente
ignorante: antifemminista, potenzialmente
guerrafondaia e predisposta a sostenere orrendi tangheri criminali capaci
di incantare le menti sprovvedute ripetendo i luoghi comuni correnti, infarcita di falsità per lo più, e pronta a sbandierare
vessilli con slogan oppressivi delle persone capaci di
pensare. Ifigenia mi chiese un commento al dramma. Scrissi che bisognava
vederci un campanello di allarme verso la mentalità retrograda
della piccola borghesia filistea, dei capitalisti che la sostiene e della
pretaglia sedicente cristiana. Insomma il pericolo sempre vivo dell’ignoranza
che genera mostri. L’aspirante
attrice mi ringraziò per l'aiuto che, disse, le aveva fatto comprendere
il significato storico della commedia. Ma per lei quella
rappresentazione fu soprattutto una palestra dove si allenò all'abbandono
del nostro amore, all'adescamento attivo e passivo e al resto.
Dopo avere recitato piuttosto bene la parte di Marianne, volle viverla davvero,
tragicamente, la notte tra il 12 e il 13 giugno 1981 a Riccione. Ma tale
vicenda è la conclusione, prossima, della nostra storia e di questo romanzo.
Villa Fastiggi,
25 luglio 2025- ore 19, 28 giovanni
ghiselli
p. s
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scrivono e si leggono i post più dei libri.
Scrisse bene
Giacomo Leopardi in una lettera a Pietro Giordani mandata da Recanati a
Milano il 16 gennaio 1818: “Non sarò meno virtuoso né magnanimo (dove ora sia
tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma
di giornalisti parlarne”
Not a 1 Le citazioni sono tratte dalla traduzione di Adelphi, Milano, 1974.
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